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Mille frammenti di luce

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Avete presente quelle giornate che sanno di fine inverno, con quel vago sapore di inizio primavera che comincia ad affacciarsi?
 
 
Ecco, ieri era una di quelle così.
 
Nonostante il calendario dica ‘fine settembre’, e l’unico sapore che dovrebbe comparire è quello dei dolci che di lì a poco porteranno al Natale, la giornata sapeva proprio di dopo-letargo.
 
C’era un insolito calore.
 
I 20 gradi dichiarati dalle previsioni meteo sono apparsi veramente, anche se non possono riscaldare come i venti gradi di giugno, per ovvie ragioni di tipo astronomico.
 
Ma l’astronomia non tiene conto del calore all’interno dei corpi e di come quei raggi di sole possano toccare le emozioni.
 
Il solito vento, a tratti, pungeva, ma qualcuno osava comunque le maniche corte. Senza rendermene conto, io stessa indossavo colori brillanti e molto più adeguati all’estate – bianco, sabbia, arancio.
 
Come è tipico dell’essere umano, il sole porta ad uscire dalle tane; e allora, ieri, tutti si sono riversati all’aperto.
 
I bar accanto alla stazione erano letteralmente gremiti di gente. Passavo e li ho osservati.
 
Qualcuno si è accorto dello sguardo che si posava su di loro ma si è subito rigirato a fare conversazione.
 
Era, in effetti, anche difficile non notarmi, visto che l’arancio che indossavo era del cappotto.
 
Comunque, passavo e li ho osservati.
 
Gruppi di lavoro alla fine del meeting; coppie di amici; dipartimenti d’ufficio interi. Seduti o in piedi. Sorrisi o grandi dialoghi, le facce di chi si liberava della giornata. Gente che arrivava, gente che andava; l’abbigliamento da lavoro li etichettava tutti. C’era la cravatta, c’era il completo blu, c’erano le cuffie da fonico al collo, c’era la ventiquattrore.
 
Poco più in là, il solito gruppo di skaters impegnava il piazzale con esercizi di stile, mentre l’amico fotografo li riprendeva dall’alto con il suo potente teleobiettivo.
 
Le scalinate contenevano personaggi seduti a godersi il sole in fronte.
 
Il tramonto stava cominciando. La luce abbracciava tutti, scendendo dolcemente.
 
È stato allora che mi ha assalita di nuovo la malinconia.
 
La perfetta sensazione da fine inverno della giornata si è miscelata alla perfetta sensazione della nostalgia da lontananza, accendendo la miccia della solitudine.
 
Solitudine, tuttavia, che bruciava alla luce del colorato sole, regalandomi uno stridente contrasto interiore.
 
Mi sono infilata nel bus e ho proseguito per i miei giri, lasciandomi cancellare la memoria dagli impegni previsti.
 
Quando mi sono trovata sulla strada del ritorno, il sole era ormai quasi del tutto tramontato.
 
L’ultimo raggio sparava sul grande palazzo della prestigiosa banca; si irradiava in mille frammenti di colore, dispersi anni luce.
 
 

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C’era una volta la festa del Re (ubriaco)

Olandesi gente sobria.

Da quando bazzico le terre del burro, ho visto gente vestita da coniglio andare in bicicletta, draghi che vanno a cena, equilibristi in mezzo alla strada, tute-pigiama alle cinque del pomeriggio e grida che gli ultrà allo stadio sembrano un convegno di sordomuti.

Oggi voglio raccontarvi della festa del Re: l’evento più arancione e chiassoso del mondo, simbolo della cultura dei Paesi Bassi e fertile terreno di rimorchio love-sex. Ma partiamo dal principio.

Il pippone ufficiale per spiegarvi l’argomento di questo articolo

carini loro! ecco i coniugi reali. curiosità: la signora con il cappellino a sinistra della foto è identica alla mia ex-padrona di casa

È il 25 aprile, è quasi ora di cena e sto scrivendo questo articolo. In Italia è festa nazionale, mentre in Olanda lo sarà tra 2 giorni, ovvero: il 27 aprile.

Il nobile motivo per cui c’è una festa nazionale è il compleanno del Re.

Per l’occasione, tutta la patria è autorizzata a fermarsi e a festeggiarlo.

L’evento è così speciale che il 27 aprile è l’unico giorno in cui ai cittadini viene concesso bere alcolici in strada.

Blablabla, ho finito il pippone: partiamo con i retroscena e la nuda verità.

C’era una volta la festa del Re

La festa del Re è una delle tante scuse che gli olandesi adottano per fare festa.

Ho già detto in più di una occasione che come fanno festa questi qui, non la fa nessuno. Ogni occasione è buona, e ogni occasione è buona per bere. Quando la prima volta ho sentito questa frase, credevo che fosse una malignità sparata lì per caso: ora ho capito che è vero.

Fase 1 della festa: procurarsi il bene primario

E insomma, quindi alla festa del Re c’è questa cosa che gli olandesi possono bere legalmente in strada. Questa legge esiste davvero e tecnicamente sarebbe ancora in vigore, anche se non se la fila nessuno. Fatto sta che gli olandesi prendono le leggi molto sul serio, così ci danno giù, in questo modo:

esempio di sobrietà

La foto è di oggi, 25 aprile. Questo angolino del supermercato dove vado spesso è quello adibito alle promozioni per le feste: ci trovi i dolcetti di natale, i pulcini di pasqua (non hanno le uova, vendono plotoni di pulcini di pelo in miniatura), le robe da barbeque, le birrette per la festa del Re. Giusto due. Non si sa mai che ti finisca la scorta, almeno hai varietà.

Fase 2 della festa: procurarsi l’abbigliamento adeguato

Il dress-code del palazzo reale vuole che ogni suddito indossi almeno una cosa arancione e che questa cosa sia a vista. Non sono valide le mutande, a meno che non vai in giro solo in mutande – cosa peraltro non così impossibile.

Siccome gli olandesi sono gente sobria, non ci facciamo mancare nemmeno il completino sado-maso per le notti reali, che come t’attizza l’arancione non t’attizza nient’altro.

(prego notare che lei indossa il calzino: che sexy)

Fase 3 della festa: procurarsi l’accessorio

Perché il calzino sopra non basta, bisogna anche aggiungere: cappelli, parrucche, perfino trucchi a forma di bandiera olandese pronta da stamparsi sulle guance. Sono estasiata.

 

Fase 4 della festa: ciaone proprio

Lasciatemi dire che camminare in città è assolutamente impossibile, tra la sera del 26 e il pomeriggio del 27, tempo in cui si estendono i festeggiamenti.

C’è gente ovunque, sulle barche, sui ponti, tra un po’ pure sui tetti, ci sono feste e mercatini in ogni piazza e pub, ci sono bande musicali e ballerini, dj, bagni chimici e punti di incontro “droghe sicure”.

L’aspetto stupefacente (scusate la scelta di parole) è che di tutto questo bordello la mattina dopo non vi è traccia: magici umpalumpa ripuliscono subito dopo che il suddito è andato a dormire, allo scopo di far trovare la città la mattina successiva pronta per essere immediatamente ripopolata dalle bici e dai mezzi pubblici che ti portano in ufficio a produrre.

Dov’ero io l’anno scorso e dove sarò quest’anno

L’anno scorso ero andata a fare la reporter CNN infilata nel mio bel cappotto arancione, e ho prodotto una cosa seria qui. Ci sono volute 3 ore di riprese, perché la gente passava e interrompeva continuamente tra corna, boccacce, saluti e rutti.

Quest’anno starò lavorando in un ristorante. Sì, da qualche mese mi sono data allo studio del mestiere del ristoratore, magari ve ne parlo più in là. Per ora, focalizzatevi su questo: con tutto quel che avete letto fin qui, provate a immaginare che genere di persone entreranno a mangiare. Oh sì, ne avrò da raccontare.

Sempre se ne esco. Fatemi gli auguri!

PS.

Il post si intitola “del Re ubriaco” perché si narra che il Re, quando non era Re, era un tipico baldo giovanotto olandese che ne ha combinate di cotte e di crude all’università. Non ho foto d’archivio in proposito da mostrarvi, ma posso supporre che anche lui qualche volta non sia stato sobrio.

Vi lascio comunque un gossip, il link a un video che ha fatto molti rumors: la presunta tastata di chiappe alla Regina durante una parata del 27 Aprile. Enjoy 😉

25 Aprile 2018

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Cinque nazioni a cena con me: l’internazionalità è a tavola

Ho messo questa bella foto di cibo italiano al solo scopo di invogliarvi a leggere l’articolo.

In realtà, oggi parliamo sì di cibo, ma di quello quotidiano, e non di quello che vorrei, con quelle belle fettine di prosciuttino, yum.

Allora, oggi sono andata a fare la spesa in un supermercato turco.

Volevo sapere cosa vendono, cosa c’è di caratteristico e, soprattutto, cosa c’è di turco.
In Olanda è normale trovare cibi misti in un supermercato qualunque, da AH (Albert Heijn), a Jumbo, a Dirk – che sarebbero i Conad, Coop ed Esselunga della situazione.
Capirete che un supermercato che si dichiara turco attiri la mia attenzione curiosa come sono, e pure tanto.
Primo impatto: è tutto costosissimo. Madò. Hai capito li turchi.
Più costoso di un supermercato olandese. E no, non sono le spese di importazione, alcuni di quei prodotti ci sono già alla Coop locale e costano meno.
All’ingresso ho trovato mega cassette di frutta e verdura come quelle dei mercati generali.
Dentro, ho trovato il gotha dei prodotti turchi.
Un enorme bancone, ordinato per il lato lungo della struttura, e animato da un inserviente (un tizio vivo), ospitava cibi pronti come in rosticceria. Ovviamente turchi, quindi non ho capito cosa fossero.
Non ho chiesto perché il mio olandese non è a un livello tale da poter chiedere “scusi, che cos’è questa cosa” e sentire la spiegazione in olandese con accento turco. Senza contare che io non posso mangiare pesce. Non so se in Turchia si mangi pesce, ma meglio non rischiare, quindi ho tirato avanti.
Alla fine del bancone, lo stesso tizio vivo gestiva anche il reparto macelleria, la slagerij. Certi tagli di carne che il mio amico Adriano direbbe “addio Roma, vado via, da zero a 100 km in 5 secondi e senza rancore”. Grandi, spessi, di taglio magro e basso-basso costo.
Ho tirato avanti, perché ero entrata per curiosare, ma ci devo tornare per quella carne, promesso.
Venti minuti, per girare tutti gli scaffali pieni di ogni ben di dio, o almeno credo, perché era scritto tutto in turco, quindi, in effetti, non saprei a quale ben di quale dio io stessi ammiccando esattamente.
C’era l’angolo pentolame, come Mondial Casa, o come Panorama oppure Auchan. Sia mai che ti si rompe un bicchiere. Mi pare una cosa intelligente, da mettere in un supermercato.
Poca scelta di rotoloni da cucina, discreta carta igienica, mega pacchi di riso di ogni tipo e tanto henné.
No pane, a parte quello confezionato tipico turco.
La parte di sinistra, tirata su tutta a suon di noccioline, altra frutta secca e mais tostato.
Merendine, cornetti, nutella.
Un cella frigorifera con prodotti così ambigui che non ero sicura di stare decifrando correttamente, e poi avevo freddo, la temperatura era simile a quella delle sale operatorie, il mio cervello stava smettendo di funzionare. Sono uscita prima che il ghiaccio mi attaccasse, ma non senza aver sfilato l’unica confezione che ho capito.
Mi sono detta ‘meno male che non vivo in Turchia, morirei di fame. No beh, forse starei studiando il turco, non morirei di fame. Comunque shampoo si scrive simile, i capelli me li potrei lavare. E se invece per lavarli sto prendendo una salsa idratante di noccioline?’
Ovetti kinder alla cassa, il marketing degli scaffali non muore mai.
Se ho visto cose strane? Penso tutte, erano turche e incomprensibili.
Non ho visto cibo Dutch. O se c’era, dormivo. O mi hanno narcotizzata per non farmelo ricordare.
Gli impiegati erano turchi. I clienti sembravano turchi e parlavano turco. Una cassiera scocciata dalle fattezze turche faceva il conto in olandese.

Alla fine sono uscita con una spesa esemplare e con 10€ ho comprato questo, che vado ad illustrarvi:

Savoiardi tipici turchi:
Wafer al cioccolato fondente tipici turchi:
Cellentani turchi e conchigliette turche, marca diversa per provare come tengono la cottura:
Cracker salati in superficie turchi:
Affettato di tacchino turco (o ‘affettato turco di turkey’, il mio gioco di parole preferito di questo articolo):
Una confezione di rotoloni per la cucina
(photo missing, ci servivano e abbiamo subito aperto il pacco.)
Risultato:

I savoiardi sanno di savoiardi italiani, tengono bene inzuppati nel latte, ci devo fare il tiramisu, sono prodotti in Austria.
I wafers sanno di wafers italiani, con crema al cacao, proprio buoni, sono prodotti in Austria pure questi.
I cellentani sanno di pasta italiana, tengono la cottura perfettamente, che bello finalmente ci sbarazziamo delle solite penne! Io poi, che detesto la monogamia pastara nel piatto. Sono prodotti in Turchia, by the way.
Pure le conchigliette ho visto che sono prodotte in Turchia, mi daranno le stesse soddisfazioni, lo sento.
I crackers non saprei dirvelo perché il pacco è finito in camera di mia figlia.
L’affettato di tacchino turco non è prodotto in Turchia, ma ha un marchio di garanzia del consorzio Islamici in Germania.
I rotoloni per la cucina hanno una profumazione a base di detersivo, molto allettante quando ti servono per pulirti la bocca. Io sapevo che per l’alito pesante bastava non mangiare topi morti e lavarsi i denti con regolarità.

In sostanza, non sai mai cosa mangi, avoglia a leggere le etichette.

No, non mi do al bio-macro-veg-etc.
Sì, sono una sperimentatrice in tutto quello che faccio, dal lavoro al cibo. Non ho comprato niente di più solo per ragioni di allergie. (Per il momento).
Ho pensato a Federica, corrispondente dalla Turchia per Donne Che Emigrano, promessa sposa di un fantastico ragazzo turco, e mi sono chiesta “ma che mangia quella ragazza?”. Federica, se mi leggi, cosa mangi?
Tutto il mondo è paese e dovunque vai trovi sempre la Nutella. Incredibile.
Andare al supermercato è divertente!
Non siamo gli unici a produrre pasta vera.
Stasera ho cenato con un italiano, un turco, un austriaco, un tedesco e un olandese, e me la sono goduta.

Ho messo questa foto solo perché lo sapete che sono una fissata della spiaggia; in realtà, ho cenato a Utrecht.

Ps.
La salsa idratante di noccioline non esiste.
Almeno spero.
Settembre 2017
io che misuro la mia altezza rispetto allo spioncino della porta

Vado a vivere in Olanda – Cosa vi serve per stare qui?

Uno specchio a figura intera.

Sarà che gli olandesi sono alti due metri e immagino riescano a vedere tutto il loro corpo dallo specchio del bagno, ma io ancora devo trovarne uno attaccato a una parete. Non mi vedo i piedi, non so come vado vestita. Fortuna che la moda non esiste, in questo paese.Portatevi uno specchio qualsiasi, in effetti, ora che ci penso.

Pure quelli dei bagni di casa e dei ristoranti sono in alto. Provate a sistemarvi trucco e capelli quando uscite con uno: un disastro. Se lui è basso, ve la potete cavare con un “tu puoi capirmi”. Sempre che lui sia anche autoironico. Se lui è alto, vi risponderà “è colpa tua, che sei tappa” (questa è autoreferenziale!).

Altrimenti, trovatevi un olandese. Sanno di essere fuori norma loro, non vi faranno storie.

Per le donne: un paio di tacchi da borsa.

E certo, è sempre per la questione dell’altezza, che credete? Solo se non volete sentirvi troppo fuori luogo (intendo fisicamente, se siete troppo basse nemmeno vi vedono e vi scambiano per un tavolino). Qui scarpe fiche e abbigliamento succinto non servono a niente. Il clima è troppo assurdo per preoccuparsi di dove vanno le mode. Ho visto cose che voi non potete nemmeno immaginare… Ho visto camicie hawaiane indossate su costume da bagno arancione e mocassini di pelle marroni… E mi fermo qui.

 

Oh, una scaletta pieghevole.

Se volete vedere allo spioncino chi suona alla vostra porta e non volete sorprese, tipo me che ho aperto ai testimoni di Geova (vedi foto sotto).
Si capisce che non sono alta, si!?

 

Un fegato nuovo.

Utilissimo, ma non per la birra, come molti di voi potrebbero pensare.
Vi serve per il burro.
Questa è una nazione burrosa.
(Comunque gli olandesi sono longevi e non grassi. Qualcosa non mi torna sulle campagne anticolesterolo che ci propinano fuori da qui.)

 

Un mestolo.

Oppure direttamente un libro di cucina, se non sapete combinare nulla ai fornelli. Gli olandesi hanno una interessante venerazione per il nostro cibo.
Peccato che infilino il pesto ovunque (ovunque).

 

Una o più dosi di non italianità.

“Italiano?” “Sì” “AhhhhItaliaaaaaa-pizza-siesta-aperitivo-toscana-cibo-natura-caldo-spaghetti-carbonara-sofialoren-belladonna-claudiacardinale-mamacooks”.
Beh, almeno ancora nessuno mi ha detto “ahhh-pizzamandolinomafia”.
Però m’hanno detto veramente “mama cooks”.

Sassi nelle tasche.

Perché il vento in alcune città è devastante.
Non oso immaginare come si troverebbe Jovanotti, qui, “le tafche piene di faffi”.

Un vocabolario di inglese.

Che so, anche qualcosa tipo bab.la va bene, per cominciare. Ma per voi, dico, se non conoscete l’english, perché qui lo parlano tutti, dal benzinaio alla centralinista.
Ovviamente se andate nelle città maggiori, hey hey, non certo se andate a Wattergufhvenburg o Vattelappescanberg, dove abitano due contadini e quattro formaggiari.

Una molletta per il naso, se vi disgustano le mucche.

Sono ovunque.
Punto.
Ricordate? La patria del burro, fatevene una ragione.

Sempre per le donne: un telefono con la memoria vuota.

Vi serve per riempirla di foto fatte di nascosto a certi olandesi, da mandare alle amiche.

Un paio di cuffiette.

Per godervi tutto questo con la musica in testa, mentre passeggiate per le strade, guardate i canali, contemplate il numero eccessivo di stranieri che nemmeno Venezia nei suoi giorni migliori.

Ah già, dimenticavo.

Per gli uomini: a voi serve solo un paio di occhiali da sole.

Siete di base più alti di noi quindi a posto con gli specchi, non ingrassate alla nostra velocità quindi sticazzi del burro, ci sono parrucchieri e barbieri ogni 500 metri quindi ok pure con i capelli, la birra è economica, junk food come se piovesse, ma le donne, mio dio. Le donne. Gnocche eh. Ma che look. Scarpe scamosciate su vestiti estivi a fiorazzi, con maglioncino che mia nonna si vestiva meglio e aveva più stile quantomeno nell’abbinamento dei colori. E voi che avete tanto da ridire sulle nostre ballerine.
Ecco a che vi servono gli occhiali da sole.
Oppure immaginatevele direttamente tutte nude, così superate lo step abbigliamento.

Comunque, il tipo in camicia hawaiana e costume su mocassino ci frega a tutti.

Piccoli credits: 

Si ringrazia Bab.la per la collaborazione. 

E si ringraziano anche i Testimoni di Geova anche se, al contrario di bab.la, non sanno di aver collaborato.

canali di utrecht in una giornata di sole

Vado a vivere in Olanda

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Lo so, sono pessima. Sono inconstante nello scrivere, non esattamente il comportamento che ci si aspetterebbe da una persona che gestisce un blog. E ora me ne esco con un ‘vado a vivere in olanda’.

Ma il fatto è che ci sono sul serio.

Non so come, non so quando, ma è accaduto. Ti ritrovi dalla sera alla mattina che hai preso decisioni che sai che cambieranno la tua vita per sempre, anche se non sai in quale direzione questo cambiamento avverrà.

Così, da giugno, sono approdata in terra straniera. L’Olanda, che poi in realtà si chiama Paesi Bassi perché Olanda è solo una delle tante regioni, terra fiabesca di profughi (e colonizzatori, sfruttatori, schiavisti, sì ok) che accoglie chiunque chieda asilo e voglia fuggire dalla propria vita. L’Olanda, con il re che si prende cura dei suoi sudditi, li ama, li veste, li pettina, li manda a produrre.

L’Olanda, con la sua lingua che sembra un inglese sporcato di fango, un porto ricco di british people, accenti tedeschi e parole francesi. Una mega fusion di stili e correnti di pensiero, tutte rispettose l’una dell’altra. Vuoi fare la drag queen? Accomodati. Vuoi essere un numero? Fai pure, ci limiteremo a schedarti all’anagrafe. Vuoi sperimentare? Entra in uno dei nostri negozi. Vuoi essere uguale alla massa? Entra in uno dei negozi del centro.

L’Olanda, la cucina del mondo fatta dispensa di un ristorante a cinque stelle. Cibo compreso, ovviamente, perfino al supermercato. Dal pronto thai alla schifosa “celebre pasta italiana con mascarpone sauce” (ma dove), non manca la confezione di caffè a meno di 2 euro. Roba che da noi a quella cifra lo trovi solo al discount. E, se proprio senti la mancanza della versione italiana, c’è il barattolo di Lavazza che costa meno che alla nostra Coop! Che qualcuno avvisi il tizio delle pubblicità che la notte si alza e va a lavorare per offrire un servizio migliore agli italiani.

L’Olanda, patria delle tolleranze. Vuole bene a tutti. A tutte le differenze. A tutte le correnti di pensiero. Non alza la voce, non spinge quando fa la fila, non polemizza sull’aria fritta. Non si lima le unghie negli uffici comunali e non vive del mito della mela americana. Per un italiano tutto questo è assai strano e anche un po’ utopistico, tant’è che di connazionali ne trovi parecchi, che vengono a verificare quanto ci sia di vero, ma li riconosci subito: si aggirano in gruppo, sono griffati, schiamazzano a decibel improponibili e stanno uscendo dai coffee shops.

E io italiana che non schiamazzo, cosa ci faccio qui?

Io sono qui per ricominciare. Ancora una volta. Atterrare con il lanciafiamme la mia vita e ricostruire continuamente è uno sport che pratico con metodo e regolarità. Senza voltarmi indietro. Se fai, fai. Non puoi permetterti di far esistere la mancanza di ciò che avevi, semmai esiste l’incertezza del domani. Ma quella ce l’hanno tutti. Quindi, perché non provare?

Ci sentiamo tra un po’; prometto che cercherò di essere più costante. E, soprattutto, prometto che cercherò di essere più obiettiva possibile nelle mie cronache. Non dico “più giornalistica possibile” perché sappiamo che la suddetta categoria è una delle meno imparziali del mondo…

Ah: al momento in cui sto scrivendo, mi trovo in giardino e ci sono 30 gradi. No, così: l’estate esiste anche qui. Ciao a tutti i disfattisti.