tocatchawind_byStanOd

Stasera c’è vento

E’ venerdì. E lo faccio spesso. Scrivere di venerdì, intendo, ma come lo sto facendo ora non lo facevo da molto tempo e, ve lo posso confessare: sì, mi mancava. Molto. Questo contatto piccolo con voi, quando mi leggevate in due, tre, forse quattro ed ero già contenta. So che voi pochi ci siete sempre, ci vogliamo bene, ed ora c’è anche altra gente. Ed a dispetto della folla, io ho bisogno di una mia vecchia intimità. Di quella tipica mia delle serate nel fine settimana, da sola a scrivere, a volte a bere qualcosa, a volte fumando ma sicuramente a pensare, per poi tornare a parlarne con voi. Io da questa parte, voi dall’altra del foglio.. aaah, ci riuscivamo benissimo. E facevamo grandi discorsi, a volte pubblici altre volte privatamente, nei giorni a venire, quando con qualcuno di voi ci si incontrava per la strada.

E stasera sono qui a godermi uno di quei momenti, ma con più gente ad ascoltarmi che è arrivata. Sistemo le sedie, vi faccio spazio, datemi il cappotto, perché alla locanda della Druida si sta comodi; e non si sente freddo.

Per chi non lo sapesse: siete in un punto di passaggio tra un viaggio e l’altro, e questa è la vostra taverna del buon riposo.

Stasera vi dedico il mio spazio, qui, usatelo se volete suggerire argomenti, raccogliere idee, domande, o sorrisi(i miei preferiti – quelli veri!), se volete condividere la ricetta di una torta di frutta o raccontare cosa state facendo stasera e cosa invece avreste voluto fare.
Perché questa è la chiave più richiesta per le porte del venerdì: cosa avreste voluto fare.
Eh ma invece siete lì.

Vi lascio qualche minuto con una canzone speciale, perfetta stasera per noi, per voi. Mi raccomando: fate play, chiudete gli occhi e, dopo un paio di giri, avrete cominciato a capire già qualcosa in più.

PLAY 

Io nei primi minuti sono librata in volo, sopra un vasto campo, dentro un cielo chiaro.Sentite le note? Tendete l’orecchio ancora: dopo gli archi.. eeeh sì. Ora la conoscete. Lei è’ il vostro vento, forse. E’ quello che io stavo aspettando, e che in parte è arrivato. E’ quello che mi porterà. Mi sta per portare, mi prende e mi sta per portare, il vento del cambiamento.

Ditemi voi dove andate, dove eravate stasera e dove avreste virato. Io vi aspetto, pronta per parlare ancora una volta con voi.

photo credits: StanOd, To catch a wind

Suad Kamardeen

Il binario 5

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Al binario 5, c’era una storia.

Dico c’era, perché diverse cose sono cambiate, da allora.

E’ passato molto tempo da quello scatto; la foto me la fece una ragazza, all’epoca mia grandissima amica. E’ cambiato anche quello.

Era l’inizio di una mattina senza troppo freddo, non ricordo nemmeno il periodo esatto. Ho una vaga ombra solo dello stato d’animo che mi accompagnava. A dispetto della risata che si vede, ero tristissima. Oserei dire quasi morta dentro, se non fosse che non si può essere morti se si stanno provando dei sentimenti, e ‘tristissima’ è uno di questi.

Però una parte di me era del tutto spenta, e l’altra stava andando a male. Avevo deciso di consumarmi per un amore del tutto sbagliato, o farei meglio a dire per ciò che credevo essere un amore, perché quando le cose non sono giuste, e tu sai che non sono giuste, non dovresti parlare d’amore; piuttosto, di desiderio di riscatto, di bisogno di non dichiarare un fallimento, di voglia di rivincita su te stesso e sul destino.

Ma non è mai colpa del destino. Quello fa la strada che fa.

Non voglio aprire un capitolo sul vero significato degli amori sbagliati. Come in tutte le storie, ci sono eccezioni, e non è adesso la sede per questo discorso. La sede di stasera è il binario 6, quello dove attendevo il mio treno, e nella foto ci è uscito il binario 5.

Non sarà stato un caso. Un altro binario, diverso dal treno che stavo aspettando. Un’altra strada.

Se potessimo aprire gli occhi in tempo per risparmiarci tante pene e sofferenze.. ma sono convinta che ogni cosa accada sempre al suo giusto tempo. Se non lasciamo cadere qualcosa, più che probabilmente non siamo pronti a farlo. Non ci abbiamo preso sufficienti batoste, o non abbiamo abbastanza autostima di noi stessi, anche questa è una possibile interpretazione. Le storie sono piene di possibili interpretazioni. L’angolo dalle quali le osserviamo ci permette solo di vederne una o due sfumature, ma dobbiamo sempre fare i conti con l’essenza che si trova dietro ciò che appare.

Per questo, penso che dobbiamo imparare ad ascoltare. Gli altri, le parole, le azioni -perché sì, si ascoltano anche le azioni-, il nostro cuore, e questo lo dico sempre, per chi mi legge abitualmente non è una novità.

In fondo, noi lo sappiamo se stiamo commettendo una leggerezza oppure no; se una persona ci sta facendo soffrire, o se invece ci fa del bene. Se ci andiamo d’accordo e c’è intesa, o se siamo solo preoccupati dei giudizi del mondo e della paura del poi. Ma con la paura del poi non si va da nessuna parte; a volte nemmeno sul binario sbagliato.

No, con la paura del poi non si parte proprio.

A renderci ciechi ci pensa il terrore verso il punto finale, o verso quello che crediamo essere il punto finale. Che forse è: la proiezione delle nostre paure . la mancanza di coraggio . l’incapacità di assumersi responsabilità . il desiderio di restare Peter Pan . il pensiero dell’altro.

Ah, questo è uno degli errori più comuni.

Ci sostituiamo al pensiero dell’altro.

Stabiliamo una conclusione sulla base dei film mentali che ci facciamo.

E troppo spesso non è così.

E’ quando smettiamo di capirlo che, di colpo, la nostra vita migliora.

Io ho cambiato binario. Il 5 è diventato somma e sottrazione insieme degli errori commessi e del percorso da prendere, quello che vedevo ma che negavo a me stessa.

Ci sarebbe un mondo di cui parlare, da quel tempo ad oggi. Un mondo fatto di intrecci e storie che nemmeno vi immaginate. Un mondo ai limiti del surreale, che da solo varrebbe la trama di un libro, e che non è detto si sia ancora concluso.

Ma non è il finale quello che conta.

Quello che conta, non è dove pensi di arrivare, ma cosa provi mentre vai.

Una volta assunto questo, la parte migliore viene da sé.

blog

Andrà tutto bene.

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E se va tutto bene, allora dimmi perché piango ancora.

Perché faccio finta che sia tutto a posto e sorrido, e tu non cogli che dentro è inverno. E se va tutto bene, allora perché ricomincio a pensare le stesse cose anche quelle contro le quali mi hai protetto, ma poi ti giri, e non c’è più nessuno – solo io come piangevo una volta. Sono nuovamente sola di fronte alla mia tazza in cucina, seduta a gambe rannicchiate a fissare un tavolo bianco e la tazza con le mie lacrime. Va tutto bene ma ogni tanto no, perché quei maledetti pensieri, quelli di quel fottutissimo sesto senso che in giorni come questi regalerei, quel fottutissimo sesto senso che tante volte ha dato risposte agli altri e tanti consigli agli sconosciuti, quel maledetto sesto senso che ti fa odorare le piccole bugie, è talmente bravo nel suo lavoro quel bastardello che non si sbaglia mai; semmai mischia, anticipa, sfuma le indicazioni, camuffa, cerca di non farti vedere ora o di farti vedere ben prima, e tu finisci per non capire dove guardare. Allora chiudo le palpebre, giro la testa, la infilo in un pentagramma di musica e vado, nella stanza a girare, come se non dovesse mai finire, come se non la volessi mai finire. Come se aspettassi una mano, una voce, un aiuto, una cosa vera, una sorella, un angelo, un maledettissimo qualcuno a dare una risposta alle mie domande.

paris-cruise-angelreich

Alexandre Bridge

(201111192357)

Sono macchine che corrono, sfrecciano tra le luci spente della città. Sono binari intersecati di vite affettive e di pensieri come autoscontro, sono risate che echeggiano nelle onde del fiume che ci taglia in due. Sono visioni oblique di paesaggi filmati con una super8, musica di passaggio che entra nelle vene, si piazza sugli impulsi elettrici del sistema nervoso e si trasmette penetrando in ogni cellula. Sono scariche che emettiamo nei movimenti, ogni cinque minuti. Sono sere in cui vogliamo uscire anche solo per correre, guardare gli altri, lasciarci, attoniti, assorbire dalle immagini vorticose intorno a noi, lasciarci assopire mentre vi fissiamo con sguardo catatonico. Sono momenti lunghi, che seguono giorni simpatici, progetti cose fatti lettere idee. Che precedono sonni disturbati, in attesa del quando. Che si intersecano in assurde gocce di lacrime, che non hanno senso di esistere ma che ci sono, qui, ora, grandi, lucide, tristi sempre.

photo credits: Angelreich, Paris Cruise

sifermasulcigliodellastrada

A volte si ferma.

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Si ferma, sul ciglio della strada, e resta muta ad osservare.

A volte si ferma.

Si chiede se è stato tutto vero e se continua ad esserlo. A volte crede di no, perché è così assurdo che non può essere accaduto veramente. Ha l’impressione di essersi inventata ogni particolare, non ricorda nemmeno il giorno in cui ha cominciato. Se non fosse per le testimonianze, e le frasi dette da chi la ha visitata, se le ricorda quelle, ricorda tutto, penserebbe di aver costruito un mondo parallelo ad arte. Lo pensa ugualmente, a volte. Le pare di non riuscire a provare sentimenti. A volte non prova sentimenti. Le pare di essere una macchina, non ricorda, non rivive. Sa di odiare e non è sicura del significato. Pensa di essere pazza. In cinque secondi ogni giorno pensa di essere pazza, quando si ferma sul ciglio della strada, blocca il movimento e fissa il vuoto. Chi le ha portato via la sua essenza la ha nascosta bene. Non sa chi è. Non sa più chi è. Non capisce cosa vuole diventare.

A volte pensa di non essere capace di amare.

mare e sdraio

Rollio.

(201107210200)

Se ne stava seduto ad osservare il mare con le sue barchette parcheggiate nel molo. Una parte di lui invidiava le persone che stavano prendendo il largo; di lì a poco si sarebbero fatte cullare dalle onde, sotto il caldo sole di luglio. Anche lui voleva prendere il largo. Era sdraiato, su di una strana panchina semi mobile costruita in legno, forse importazione di qualche paese lontano, o forse opera di un maniscalco locale. Era una bella sedia. Ed era un buon cocktail, quello che aveva tra le mani. Guardava le nuvole volare, voleva essere con loro. Ascoltava racconti fantastici e faceva domande su quei mondi che per il resto delle persone sembravano solo inventati. Si chiedeva dove sta il confine tra vita e realtà. Quanto si può cambiare. Se davvero vale la pena cambiare, quali sono le alternative. Rifletteva sull’importanza di non cancellare chi e cosa ha di buono nella vita, solo perché è colto da un momento di inquietudine. Di lì a poco avrebbe finito il suo cocktail, si sarebbe alzato e avrebbe guidato, diretto ai suoi doveri e dolori di sempre. Non tutti i viaggi sono belli. Alcuni sono uno strappo al cuore, qualcosa che vorresti poter fermare, e cambiare, rimodellare sulle tue misure. Per questo se ne stava lì, in attesa dello scadere dell’ora. Se non poteva bloccare il dopo, poteva almeno bloccare l’adesso. Uno sbalzo di sospensione del tempo: lui, le domande, il vento fresco, e l’ascolto suo punto fermo.

photo credits: Giulia Mariutti, Endlich ruhe