il giorno del mio compleanno è sempre stato festa nazionale.
quest’anno è diverso, per una serie di ragioni.
in parte dipende da me: mi sto privando dell’atmosfera, devo ancora rispondere ai messaggi.
parte dipende dal fatto che non ho un vero programma per celebrare.
una parte è l’effetto delle ultime settimane, soprattutto gli ultimi giorni che sono stati particolarmente scioccanti e ancora ne pago le conseguenze fisiche e psicologiche, e questo per qualche ragione mi riporta al punto uno.
seduta, aspetto un regalo che forse non arriverà oggi o non arriverà mai.
poi guardo le mie mani, e mi rendo conto che la mia vita è qui.
è buffo. da piccoli ci insegnano a contare con le dita, ma quando diventiamo grandi ci dicono che non si può più fare, che è inappropriato, ormai siamo adulti, la matematica è più complicata di così, i numeri sono infiniti.
i numeri sono infiniti, così come le possibilità della vita.
quello che non ci dicono è che gli anni li puoi ancora contare con tutte e due le mani perchè la vita, in fondo, è tutta lì.
con ogni dito che rappresenta una decina, la vita è letteralmente nelle nostre mani.
se penso a tutte le cose che quelle dita hanno visto e hanno vissuto, non posso credere che di anni ne siano già passati cinquanta, e mi fa un po’ di fatica a dirlo.
soprattutto, mi fa fatica ammettere che più di metà se ne sia andata. mi resta ancora quasi una mano intera se sono fortunata, magari una mano da passare in buone condizioni fisiche.
e se forse possiamo influenzare alcune condizioni fisiche, di certo possiamo influenzare le condizioni mentali, che alla lunga migliorano le condizioni fisiche.
alla fine dei quattro, ho capito che la chiave è nell’accettazione.
nel gruppo dei cinque, stabilisco come obiettivo che questa accettazione divenga il tema dominante della mia seconda mano.
perché il gruppo dei cinque ti vede ancora abbastanza giovane, fisicamente in forze, mentalmente lucido, e abbastanza navigato da sapere che niente di quelle cialtronerie che ti rifilano lungo il cammino ha senso o importanza.
l’accettazione vale per due punti cardine intorno ai quali l’essere umano si muove: cose che non accadono, e persone che non ci vogliono.
si traduce così:
se una cosa non deve accadere in quel momento, non accadrà
e c’è sicuramente un motivo anche se ora non lo vedi.
se tizio/a non ti vuole, non lo farà dopo
e se tizio/a ha smesso di volerti, dovresti rispettare il suo desiderio e il bisogno diverso di vivere che sta manifestando.
tutto quello che gravita intorno ai no, la resistenza, i rifiuti, si maschera nella domanda perché di cui io sono uno dei massimi esperti e, se ci sguazzi dentro, ti lascia stagnante in un laghetto dove il tempo si muove e tu affondi coprendoti di alghe, sfortunatamente senza accorgertene.
in altre parole, la resistenza ti allontana dall’accettazione, mentre quelle dita passano.
nella mia prima mano ho di certo conosciuto violenza, abuso, e dolore. ho avuto molti motivi per resistere, in entrambi i suoi significati.
ma ho anche conosciuto l’amore.
ho conosciuto il mondo.
ho avuto il privilegio di diventare madre e continuo a crescere con lei, l’amore più grande.
con la mia seconda mano, posso ancora stringere e lasciare andare quello che voglio.
so che quel che ho imparato e che ancora ho da imparare lo voglio condividere con chi amo, e nulla dei viaggi o delle scoperte ha senso se lo mantengo solo per me.
e se quel regalo che aspetto non dovesse arrivare, le mie mani nel frattempo saranno libere per altro, anche se fa male.
la nostra vita è nelle nostre mani, e sta a noi farne l’uso migliore.
io voglio trarre spunto da questo: il mio primo giorno di passaggio tra le mie è stato accompagnato da un mazzo di fiori.
