A.iviaggidelladruida.2021

A.

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Succede, insomma, che a tratti ancora ti penso.

Dondolante su tela di ragno, osservo con curiosità il disegno di te farsi sempre più sottile, incerto nel suo punto interrogativo. 

Ho passato così tanto tempo a chiedermi e ad attendere, che il tempo stesso ha perso conoscenza.

E’ così che mi manchi in bianco e nero, nel ricordo sbiadito di un quadretto dell’Ottocento. Con quell’amore e passione che solo in altri tempi; quella voglia di metter su famiglia, e la ricerca del coraggio per farlo.

Mi manchi, nel tuo romanticismo da cowboy post-atomico.

Mi manca la tua voce, questo è banale. Ma se la penso, la sento. Il suo tono strafottente, la sua risata. 

Mi manca quel sopracciglio che si inarca quando dubiti e stai per dire la tua.

Mi manca il “ti chiamo in video?”, e la tua barba non fatta su quella faccia da schiaffi.

Mi manca il confronto. 

Mi mancano le domande. 

Mi manca lo spessore, l’abilità di sentire, capire, scavare in profondità. Trovare il nero. Toccare il fondo e non vergognarsene di fronte all’altro. 

Mi manca quella capacità di essere nudi, onesti, se stessi, che è l’unica cosa che valga la pena trovare nell’altro e tutto il resto è irrilevante. 

Mi manca non averti detto che il segreto è, di fatto, tutto qui.

Mi manca non averti detto che ti amavo. E no, non lo sapevi. 

Mi manca non averti dimostrato che cos’è l’amore per me. Una serie di impulsi distopici ha alterato percezioni e possibilità, rendendo vano il concetto di speranza e futile ogni parola.

Mi manca il movimento nel pensiero comune.

Quando ci penso, una scia di parole, frammenti e luci vissute mi passa accanto, e la scorro brevemente. 

Vedo il fluttuare artistico delle tue mani in una luce blu.

Scorro ancora, e vedo l’eccitazione semplice e sincera nella condivisione di un’alba.

Scorro ancora, e vedo i tuoi occhi che mi guardano sotto la gonna.

Scorro ancora, e vedo la tua bocca semiaperta, l’espressione irretita dai miei lenti movimenti.

Scorro ancora, e vedo me che prendo i tacchi.

Scorro ancora, e vedo te che immagini me, su quel tavolo, con quelle scarpe.

Scorro ancora, e sento il sudore.

Scorro ancora, e sento te.

Scorro ancora e vedo un biglietto. E’ una nota scritta a matita su uno scontrino.

Scorro ancora – un’ultima volta, e vedo il nastro dei ricordi riavvolgersi. 

La tua immagine intermittente.

Un anello rotolare a terra.

Il mio cuore tagliato.

Un novembre scivolato.

Mi fermo un attimo.

E mentre penso che mi manchi come se fossi morto, finalmente realizzo che non ci sei mai stato. 

Quel che esiste è il quadretto in bianco e nero. La sagoma di un dolce sogno. Il profumo dei tuoi vestiti nel mio armadio. I ricordi belli. Il tuo sorriso. 

Perché il modo in cui mi manchi tu è delicato.

Delicato come ali di farfalla. La stessa leggerezza. La stessa unicità.

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Naked.

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“Io non ho bisogno di nessuno.”

E’ una frase molto usata, dalle persone.

E’ una frase molto usata dalle persone che sono sole.

Però è falsa.

Non è vero che non abbiamo bisogno di nessuno, che ce la possiamo cavare anche da soli, che ci bastiamo senza che qualcuno ci metta il resto e scarti gli avanzi. 

Non ci sono avanzi, quando a compartire si è in due.

Non è vero che tutti sono utili e nessuno indispensabile.

Cercano di farci credere che sia così.

Io andrò controcorrente, ma la penso in maniera completamente opposta.

Io penso che possa esistere qualcuno di cui aver bisogno. 

Ma penso anche che questa sia una frase che funziona solo quando è ricambiata.

C’è un qualcuno che, fino a che non c’era, pensavi non potesse esistere.

Un qualcuno che viveva solo in una proiezione dei tuoi sogni, dei quali hai fatto un calco su ogni persona con cui hai intrecciato la tua vita.

E’ facile sfiorare la confusione, in questo senso. 

Attribuire un ‘io ti amo’ a chi in realtà è un ‘io ti bramo’.

Ma un cuore puro sa riconoscere la differenza.

E non è vero nemmeno che, alla lunga, le storie tra le persone sono tutte uguali.

Non sono tutte uguali. 

Non sono tutti uguali.

C’è un incastro chimico iniziale a fare la differenza.

Quella cosa che la gente chiama ‘colpo di fulmine’, probabilmente.

Quello sguardo che ti scambi e capisci che hai davanti una persona diversa dalle altre, per come sei fatto tu; in fusione con te, per come sei fatto tu; con la quale ti intendi subito eppure il tuo pensiero non è facile, per come sei fatto tu. 

Quella, è la persona di cui hai bisogno.

Perché mai e poi mai vorresti rinunciare a una parte di te.

A chi ti capisce. 

A chi ti ascolta anche quando non stai parlando.

A chi ti vede anche da bendato.

A chi ti fa ridere.

A chi ti lenisce un dolore con la sua presenza.

A chi condivide con te i più piccoli fatti della giornata senza sentirsi in imbarazzo da banalità.

A chi è capace di stare al telefono con invariata disinvoltura, siano due minuti o due ore.

A chi non ha vergogna di dirti ‘sono contento che ci sei’.

A chi ancora ha voglia di toccarti, perché sa che la voglia si rigenera spontaneamente.

A chi non ti stanchi di baciare.

A chi non conosce le forzature e lascia la libertà.

“Io ho bisogno di te.”

E’ una frase che non tutti sanno dire.

Ed è un privilegio potersela permettere.


(photo credits: Photo by Jairo Alzate on Unsplash)

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Il segreto dell’amore

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Alla fine il segreto dell’amore è semplice.

Tutti hanno ragione, a 3 anni, a 30, a 60. Tutti lamentano le stesse cose.

E’ ascoltando le persone piangere e parlare che lo ho scoperto. Il suo altarino. L’ingrediente segreto. Il santo graal dei baci infiniti.

E insomma, il segreto dell’amore è solo uno.

Herpoeticeulogy, Take Off

Amore vuol dire dividere con l’altro.

Ti amo se divido con te l’ultimo pezzo della mia torta.

Ti amo se voglio dividere con te le mie caramelle.

se mi alzo dal divano al tuo posto perché tu possa riposare e io voglio fare una cosa per te.

se ti copro i piedi quando dici che hai freddo.

quando ti lascio l’ultima fetta di pizza.

quando ammorbidisco i miei lati duri per piacerti.

quando lo hai capito e, sorridendo, fai lo stesso per me.

ti amo, se faccio i compiti con te.

se ti preparo il tè all’una di notte perché stai male.

se mi privo della mia serie tv consueta perché sta iniziando il tuo programma preferito.

se metto due forchette nello stesso piatto di pasta.

Mi ami se mi dai metà del tuo piatto di pasta.

mi ami quando mi imbocchi.

Ti amo quando non dormo fino a che non sei guarito.

se mi sveglio con te quando devi uscire presto solo per prepararti il caffè ed ascoltarti fare il riepilogo delle cose che ti aspettano.

mi detesti quando voglio fare una foto con te, mi ami quando poi la vedi e ti ricorda di noi.

ti amo quando ti passo i miei segreti.
Ci amiamo quando possiamo stare in silenzio.

Mi ami quando mi chiedi di reggerti portafoglio e telefono nella mia borsa.

Da grandi, ti amo quando ti sono vicino, parliamo, giochiamo, ridiamo e ci abbracciamo e tutto questo basta, e non fa pensare al sesso.

Ti amo quando smetto di pensare a te come un adulto con cui devo interagire con tutti gli strumenti che le nostre età ci hanno dato a disposizione, e comincio a pensare a te come una persona con un passato, un elenco di paure, di chiusure, di bruciature e di debolezze.

ti amo quando, se non posso averti fisicamente, non me ne accorgo nemmeno. Perché meglio con te a dividere caramelle che senza di te a dividere il vuoto.

una caramella vale più di mille relazioni.

D4zmiye, Candies

Ascoltare e Condividere.

Che tu abbia 3, 30, o 60 anni, il segreto dell’amore è tutto qui.

hug_by_hjstory

Quelli che restano

art: hug_by hjstory

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Lo penso da sempre. E alcuni momenti, lo penso di più. Come stasera, quando nei fili del mio udito sono passate le battute di chiusura del Miglio Verde.

Le persone sono importanti.

Perché dopo che abbiamo tolto tutto, i vari non-ho-tempo, ci-sentiamo-dopo, ti-richiamo, sono-stato-molto-impegnato, che cosa ci resta?

Sì lo so, è il ritmo della vita, della parte egoista di ogni essere umano, che ognuno di noi almeno una volta ha messo in scena.

Sì è vero, dobbiamo morire tutti e non sappiamo se noi saremo i primi, forse fortunelli, o gli ultimi, quelli straziati che rimangono soli alla vecchiaia mentre tutte le persone alle quali abbiamo voluto bene non ci sono più, quindi alla fine che importanza hanno gli affetti ed evviva il viaggio.

Ma avete mai dovuto dire addio a qualcuno che se ne stava andando di fronte ai vostri occhi? E’ straziante.

E avete mai dovuto dire addio a qualcuno che se ne è andato così rapidamente da non lasciarvi il tempo di spiegare quella frase del giorno prima? E’ straziante.

E se togliamo tutto, i vari non-ti-scrivo-perché-non-so-cosa-dire, ora-non-ho-voglia, domani-lo-faccio, basta-sono-offeso, con-te-non-gioco-più, che cosa ci resta?

Se non hai nemmeno la buona salute, che cosa resta?..

Restano le persone.

Quelle che danno al tuo viaggio un senso, e che rendono tutto quel non-ho-tempo prezioso come una gemma, perché senza di loro vivremmo in maniera diversa e, forse, avremmo poco da condividere di una preziosità senz’altro meno scintillante, a quel punto. Quelle che ti consigliano, che non sono mica facili da trovare. Quelle che ti ascoltano, che del genere discreto sono rare e se vuoi andare sul sicuro devi pagare lo psicoterapeuta.

Tutto è-importante? Allora nulla lo è.

Ci vorrebbe una scala, una bella scala di legno, magari dipinta di bianco che fa tanto prato in fiore e casa di campagna in primavera. E dovremmo usare questa scala come un contenitore dove riporre ciò che ci sta più a cuore. Magari sistemiamo tutto anche in ordine di importanza, in cima il nostro irrinunciabile, e via a scendere. Quanti lo-faccio-dopo e non-ho-tempo avete messo, e quante persone avete sistemato?

Prima tutto era importante, ora sulla scala avete dovuto dare un ordine.

Il mio prevede le persone.

E quando lo spazio si farà vuoto, prima o poi, non avrò rimpianto di non averci messo un si-è-fatto-tardi. Perché tanto queste espressioni il buco lo avrebbero lasciato comunque, o non si sarebbero presentate per occuparlo.

Resterebbe una cosa da fare, dopo aver ordinato correttamente i gradini da percorrere e coloro con i quali fare quei passi: tentare di reggere le persone per non farle cadere.

Mi dicono che sia vietato usare la colla e altri stratagemmi simili, potrebbero causare irritazione -dermatologica e umorale. No anche ai piedi inchiodati: è sconveniente. Ci sono dei sistemi magici, però,  ho sentito parlare di druidi, maghi e botteghe, roba da alchimisti, qualcuno racconta di amore, qualcuno di pazienza.. qualcuno di sordità.. ma forse quest’ultimo era un burlone 🙂

Ognuno deve trovare il suo metodo per poter creare la sua scala personale, che non è e non sarà mai meno verde di quella del vicino, prima di tutto perché è bianca e poi perché ci sono i nostri non-lo-so e i nostri pilastri. Tutta davvero farina del nostro sacco.

Adesso tocca a voi. Che scala vi fate?Io voglio quella senza gli avrei-potuto.

“E con le persone? So’ due etti signò, che faccio, lascio?” “Lasci lasci.. che le persone sono importanti.”

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plum cake

Aromi e plum cake

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Più o meno la situazione è questa:

Sono in salotto, seduta sul divano. Luce accesa; musica jazz dal computer numero 1 sul tavolo. Accanto a lui -cioè accanto al computer- c’è il bicchiere dei puffi, immancabile collezione di Nutella nella casa di ogni italiano. Nel bicchiere, del vino bianco.

Dietro al bicchiere, un enorme ramo di ulivo benedetto. Più che un ramo sembra un pezzo di pianta sradicato, mia madre deve aver esagerato quando domenica mattina è andata a prenderlo per tutti. Che sono pure allergica all’ulivo, ma vabbè dai.

Il computer numero 2 è questo sotto le mie mani, da dove sto scrivendo. Siamo sul divano io e lui, lui sempre il computer intendo, e siamo distantissimi dai puffi. Sotto al mio sedere una tela a coprire i cuscini – come il preludio di una lunga partenza e di una casa che va chiusa per preservarla dalla polvere; alla mia sinistra un antico tavolino traballante, con la polvere che il telo alla fine del viaggio non ha scansato.

Tra il computer numero 1 e il computer numero 2 ci sono: un pezzo di polistirolo compresso, un filo a caldo, un basco di lino un po’ in anticipo sulla stagione estiva, due tappeti, un tubo di colla che solo alle undici di sera svela le sue istruzioni e dice che non incolla il polistirolo che sta lì ad aspettarla. Tardino, per riportarlo al negozio, uhm.

Tra la colla ed il basco: un paio di occhiali da vista, un pizzetto, un’agendina tascabile, simpatia da asporto e tanti pensieri frullanti.

La simpatia da asporto si è appena presa i puffi.

E ha modificato il jazz in Placebo.

Ha cominciato anche ad emanare uno strano odore di bruciato, sembra resina dell’albero mista a bagnoschiuma aromatico dell’ultima generazione, di quelli con la pubblicità che dice ‘prova i nostri sentori orientali e ti sentirai avvolto in un paradiso’.

Oh, ma non è la simpatia da asporto che emana odore di bruciato. E’ il suo filo a caldo sul polistirolo incollabile.

Domattina mi sveglierò e troverò un capolavoro, lo so.

Un capolavoro che saprà di mille aromi, e si mescolerà al profumo di caffè e plum cake.

semplice

Semplice.

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Mia figlia dice ‘io a voi grandi non vi capisco. Perché fate tante storie con l’amore?’

Io dico ‘sai, tesoro, ci sono tante persone che si vogliono bene ma che ufficialmente non lo dicono. Anche se poi lo sanno tutti.’

Lei dice ‘infatti, lo sanno tutti. Quindi perché non lo dicono e fanno finta di essere soli?’

Io dico ‘perché hanno paura.’

Lei dice ‘paura di cosa?’

Io dico ‘ah, già.’

Io dico ‘sai che non lo so? E’ una domanda così semplice che nessun adulto la ha mai fatta. Noi adulti amiamo complicarci la vita. Forse hanno paura di sbagliare.’

Lei dice ‘e quindi? Se si sbaglia, si ricomincia. Dove sta il problema?’

Io dico ‘in effetti non lo so dove sta il problema.’

Lei dice ‘beh, e allora smettete di avere paura.’

cambi

Cambi

(201103111826)

 

Fino a una certa età, fai una distinzione tra volere un gran bene ed amare qualcuno. Poi un giorno cresci, e capisci un sacco di cose.

 

 

Capisci, quando diventi grande, ma grande veramente, non sulla patente o per andare a votare al Senato, che quel confine non c’è.
Capisci che si tratta di una linea sottile che esiste solo a parole.
Capisci che quelle parole hanno un senso, nella lingua inglese o in quella spagnola. 

 

I love you, te quiero. 

 

Quando cambi, capisci che quando facevi quelle stupidaggini per amore, erano solo stupidaggini, per l’appunto. Quel viaggio impossibile, i gusti diversi. Il diventare improvvisamente tonti e assenti, la capacità di non ascoltare il mondo circostante. La bellezza di avere la testa tra le nuvole, che se attraversavi la strada nemmeno ti accorgevi se il semaforo era rosso. Il cuore a mille ogni volta che facevi una telefonata. 
La sensazione di essere come panna smontata, come maionese impazzita. 
Di essere un giorno sulle montagne russe e il giorno dopo sotto le ruote di un treno. 

Quando cambi, capisci che esiste qualcosa di diverso ma non per questo meno forte, anche se in apparenza può sembrare così. Non hai le farfalle nello stomaco, non sei agitato al pensiero di una telefonata, il semaforo lo vedi bene. Sei più sorridente. Hai voglia di raccontare le tue cose, farti dare un consiglio e ascoltarlo. Tieni da parte qualche piccolo biglietto, annoti rapidamente i pensieri su un foglio e ti concentri meglio nel lavoro. Condividi il tuo tempo, impari a separarlo senza vivere in simbiosi con il respiro dell’altro. Sei a tuo agio nel letto, e se ogni tanto non resti sveglio non è un dramma. 
Dormi senza fare il koala. 
Non hai voglia di altri, pure se forse ogni tanto ci pensi, ma passa presto. Non ti va di perdere una cosa così carina, per colpa di banali distrazioni. 
Ti basta uno sguardo, per capire. Non c’è bisogno di parlare, per farti capire. 
Sei, stranamente, tranquillo.
Vuoi indubbiamente un gran bene a quella persona.
E sai che quel bene è qualcosa di profondo, che non ha niente a che vedere con i vocabolari. 
E’ per questo che, quando cambi, e dopo cresci, lo chiami amore.
Perché sai che non hai bisogno di stare su fili elettrici sotto la pioggia per sentirti vivo.
Perché individui quali sono le trappole nel fare solo il cercatore.

Prima di quel momento, amare e volere un gran bene restano differenti.

photo credits: Anna Earwen, Heart of Autumn

 

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Ladri di Stelle

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L’aeroporto di notte non è la stessa cosa. Bisogna provarlo, per capire cosa significa.L’aeroporto, di notte, ha qualcosa di magico. La sua aria è diversa, più pulita, e non solo quella che respiriamo nelle particelle di monossido di carbonio; entra proprio in maniera più fluida nelle narici del naso ed arriva dritta fino al cervello. Non è calda né fredda, non importa in che stagione siamo, uscire dalla porta automatica per vedere gli aerei in partenza o per fumare una sigaretta prima dell’imbarco danno sulla pelle lo stesso surreale effetto. Lo stesso dei baci, un saluto sospeso consumato a non staccarsi, in un tempo a scadenza. Baci in punta di viaggio.

L’aeroporto di notte è diverso dallavitafrenetica della luce del giorno. Per raggiungere quello della mia città, io devo fare un viaggio molto lungo. Devo andare con la macchina, per un’ora di strada. Devo prendere un taxi. Devo prendere un treno e, prima del treno, la metropolitana. Prendere un treno di giorno non è la stessa cosa. La notte cambia le prospettive, anche quelle del viaggio di contorno. L’attesa   s  i  d  i  l  a  t  a ,    non c’è fretta. È come camminare su un materasso.

L’aeroporto di notte non ha lo stesso rumore. Non ci sono distorsioni, niente rumori di fondo a intercettare le idee. Niente inquinamento eccessivo ed inutile, nessuna ansia, nessuna canzone troppo ritmata. Il senso della notte segue sempre movimenti a fisarmonica.

L’aeroporto di notte non ha nemmeno lo stesso sapore, perfino il cappuccino al bar è diverso. I dolcetti sanno di preconfezionato come l’attesa stereotipata nella sala d’imbarco, ma ce li mangiamo ugualmente senza fare storie. I panini non sanno di autogrill, ne hanno solo l’aspetto.

L’aeroporto, di notte, ha i negozi tutti chiusi. È come camminare in una città fantasma del far-west, dove noi siamo lo sceriffo che sta inseguendo o il furfante che sta scappando. Giochiamo a guardie e ladri senza vincere e senza perdere. Nell’aeroporto di notte siamo ancora di più il cantastorie che si è fermato al bancone del bar a chiedere qualcosa di forte, prima di ricominciare.

L’aeroporto, di notte, non ha il bicchiere della staffa. Ha un unico lungo tempo, con intarsi strumentali, in cui noi sincopiamo i pensieri mischiandoli alle tracce dell’mp3 nelle nostre orecchie. Non c’è nemmeno la voce della signorina che annuncia i ritardi e i passeggeri che si sono smarriti, probabilmente intrappolati dal fascino del duty-free e lì rimasti ad osservare gli sconti.

L’aeroporto, di notte, ha le luci più affascinanti del mondo. È bianco sulle piste, rosso di pensieri e verde di speranze, è giallo di case giocattolo viste dall’alto, è blu del tempo immobile. È nero delle stelle.

Ed io alle stelle ci sono particolarmente affezionata.A forma di carro dell’Orsa Maggiore, di biscotti di pasta frolla, di ciondoli per collane e diportafortuna tintinnanti.

Una stella racchiude la magia dell’universo, che solo un volo in cielo può toccare da vicino.

Il vantaggio delle stelle è che, da qualunque posto del mondo noi le stiamo osservando, vediamo sempre la stessa cosa. Per questo, se ho una persona lontana che porto nel cuore, cerco di scovare il punto dal quale entrambi possiamo vedere le stesse luci. Il carro è il più facile da trovare. Dopo quasi trent’anni che abito in questa casa, improvvisamente ieri sera,per caso,lo ho visto. Credevo non si potesse fare più, magari a causa delle luci della città, e ad essere onesta mi ero arresa. Invece, era lì. Con i suoi manici, le sue rotelline. Nell’altra città lo avevamo già trovato, ovviamente durante una strana notte, racchiuso nella corte di un palazzo popolare. Il contrasto mi ha affascinata.

Quando sentiremo la mancanza l’uno dell’altro,basterà guardare il cielo e cercare il carro. Allora, sarà come guardarsi negli occhi.In quel momento, saremo vicini.

A volte penso che le stelle ci abitino, in aeroporto.

Ecco allora, a cosa servono. A dare coordinate.
E a questo serve l’aeroporto di notte: a percorrere fisicamente la distanza, sfiorare la via lattea e rubare un po’ di quella polvere di luce, sperando di rinchiuderla in una teca a casa.

Sarebbe un furto perfetto.

Credits:
Foto: Pqphotography, Catching Stars
Music: Susbonica, Eden