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Succede, insomma, che a tratti ancora ti penso.
Dondolante su tela di ragno, osservo con curiosità il disegno di te farsi sempre più sottile, incerto nel suo punto interrogativo.
Ho passato così tanto tempo a chiedermi e ad attendere, che il tempo stesso ha perso conoscenza.
E’ così che mi manchi in bianco e nero, nel ricordo sbiadito di un quadretto dell’Ottocento. Con quell’amore e passione che solo in altri tempi; quella voglia di metter su famiglia, e la ricerca del coraggio per farlo.
Mi manchi, nel tuo romanticismo da cowboy post-atomico.
Mi manca la tua voce, questo è banale. Ma se la penso, la sento. Il suo tono strafottente, la sua risata.
Mi manca quel sopracciglio che si inarca quando dubiti e stai per dire la tua.
Mi manca il “ti chiamo in video?”, e la tua barba non fatta su quella faccia da schiaffi.
Mi manca il confronto.
Mi mancano le domande.
Mi manca lo spessore, l’abilità di sentire, capire, scavare in profondità. Trovare il nero. Toccare il fondo e non vergognarsene di fronte all’altro.
Mi manca quella capacità di essere nudi, onesti, se stessi, che è l’unica cosa che valga la pena trovare nell’altro e tutto il resto è irrilevante.
Mi manca non averti detto che il segreto è, di fatto, tutto qui.
Mi manca non averti detto che ti amavo. E no, non lo sapevi.
Mi manca non averti dimostrato che cos’è l’amore per me. Una serie di impulsi distopici ha alterato percezioni e possibilità, rendendo vano il concetto di speranza e futile ogni parola.
Mi manca il movimento nel pensiero comune.
Quando ci penso, una scia di parole, frammenti e luci vissute mi passa accanto, e la scorro brevemente.
Vedo il fluttuare artistico delle tue mani in una luce blu.
Scorro ancora, e vedo l’eccitazione semplice e sincera nella condivisione di un’alba.
Scorro ancora, e vedo i tuoi occhi che mi guardano sotto la gonna.
Scorro ancora, e vedo la tua bocca semiaperta, l’espressione irretita dai miei lenti movimenti.
Scorro ancora, e vedo me che prendo i tacchi.
Scorro ancora, e vedo te che immagini me, su quel tavolo, con quelle scarpe.
Scorro ancora, e sento il sudore.
Scorro ancora, e sento te.
Scorro ancora e vedo un biglietto. E’ una nota scritta a matita su uno scontrino.
Scorro ancora – un’ultima volta, e vedo il nastro dei ricordi riavvolgersi.
La tua immagine intermittente.
Un anello rotolare a terra.
Il mio cuore tagliato.
Un novembre scivolato.
Mi fermo un attimo.
E mentre penso che mi manchi come se fossi morto, finalmente realizzo che non ci sei mai stato.
Quel che esiste è il quadretto in bianco e nero. La sagoma di un dolce sogno. Il profumo dei tuoi vestiti nel mio armadio. I ricordi belli. Il tuo sorriso.
Perché il modo in cui mi manchi tu è delicato.
Delicato come ali di farfalla. La stessa leggerezza. La stessa unicità.
