ciondolo con clessidra

Distanze

(201609052121)

Ci sono delle cose che con il passare del tempo non ti ricordi più. Semplicemente sbiadiscono, si appannano. Come l’umidità, sul vetro della tua camera da letto mentre fuori fa freddo, sul finestrino della macchina, dove da piccolo facevi disegnini seduto sui sedili posteriori, tuo padre guidava, tua madre parlava.Non è la distanza geografica a cancellare i ricordi e nemmeno ad annebbiarli. La distanza potenzia, amplifica, ingrandisce. Rende megafono ogni suono che arriva da lontano, ogni voce, messaggio, parola. Ognuna di queste cose si può tramutare facilmente in lacrima, e tornare allo stato primordiale di goccia. Di umidità. Quella che sbiadisce le porte che hai chiuso, tutte quelle che hai aperto e che hai lasciato con lo spiffero, quelle che hai rotto, quelle che hai sbattuto e quelle nelle quali ti eri chiuso le dita delle mani, contro le quali avevi urtato le dita dei piedi.

È il tempo la causa di tutto.

Con il suo lento-veloce passare, ci sono delle cose che fanno meno male. C’è una voce che credi di ricordare e ti sforzi di immaginarla nella tua testa. Daresti l’oro scavato e trovato con le tue stesse mani per certi momenti. C’è un abbraccio che vorresti ricostruire, perché lo senti vivo tutti i giorni, con te. L’intensità di un momento vissuto… se ne va anche quella, se il suo unico carnefice è lui.

Ma ce ne sono anche tante altre che non smettono di pungere. Le tieni lì, infilate nel cuscino. Le usi per fare leva sulle tue scelte, sono la tua fonte di ispirazione e giustificazione. Sono il tuo tormento e il tuo destino, la tua croce eterna senza delizia che ti insegue ovunque ti nascondi. Sono la tua persona.

Tempo, spazio, memoria: tutto è la tua persona.

pescatore trascina barca al tramonto, bianco e nero

Viaggio a fondo

(201108161152)

Te lo ricordi il primo bacio? Io sì. Ricordo il giorno, e vagamente anche l’ora. Era alla stazione, rubato. Incapace di resistere, tu che lo hai dato, io che lo ho preso. Seguiva 24 ore strane, immerse nell’acqua e nei dialoghi, con gli occhi che parlavano da soli. Una notte a separare, fatta di una luna che illuminava le onde, fatta di stelle che illuminavano il fondale del mare e dei nostri desideri.

Te la ricordi la prima volta? Io sì. Ricordo il giorno e anche l’ora. Era molto tempo dopo. Un incedere eterno, o cortissimo, passato a cercarci con un elenco di scuse figlie della banalità. Quando è stata, era contornata da un aura diventata surreale per l’attesa. Il sottile mangiarci. L’esplorazione salita lenta, in mezzo alla strada, mentre qualcuno commentava ‘turisti’. Non poteva sapere che non eravamo turisti. Che non eravamo in vacanza. Che non eravamo disinteressati all’ambiente. Eravamo solo maledettamente attratti da noi.

Te lo ricordi il primo sguardo? Io sì. Ricordo il giorno, e forse anche l’ora. Era oggi. Un oggi di qualche tempo fa. Una stretta di mano incerta, un educato presentarsi e non ci siamo più lasciati. Nonostante tutto. L’ora, a pensarci, non ha importanza. E’ sempre stato un conteggio vano, quando fatto insieme.

Te lo ricordi un dettaglio? Io sì. Ricordo un cappello. La prima cosa che ho notato, dopo il sorriso nello sguardo.

E ricordo una barca. Procedeva lenta, ma sicura. Il suo viaggio ci sfilava davanti agli occhi, che avevano appena cominciato a schiudersi, dopo un lungo sonno.

“Il tempo, che unità di misura strana. Vola sempre, con te.”

photo credits: Lucio Barbuio, senza titolo