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Alloro

Utrecht, 20 Novembre 2018, 6:13 pm.
Mi capita spesso di fissare il foglio bianco e chiedermi come fare a iniziare.
La questione si fa buffa nel caso odierno, perché ciò che voglio dirvi è che sono stata ufficialmente insignita della definizione di scrittrice, oggi.
E come diamine fa una scrittrice ad avere il panico da foglio bianco?
sono stata all’Università.
Non ci sono andata da studente.
Non ci sono andata nemmeno da insegnante.
Ci sono andata da oggetto di studio.
Cioè, c’è della gente che studia me.
Al corso di Lingua e Cultura Italiana all’Università di Utrecht, c’è un modulo dedicato all’immigrazione e la Docente ha deciso di far studiare ai ragazzi gli scrittori italiani che risiedono nei Paesi Bassi.
Mi sembra di avere la gobba di Leopardi e l’attitudine di un bambino di fronte a una palette di colori.
Le ragazze hanno dovuto leggere i miei pezzi; mi hanno intervistato; mi hanno filmato e ora faranno di me un documentario.
Io gioco e scherzo, e faccio la scema qui, ma la verità è che non ho le parole giuste per descrivere questa incredibile emozione che fa parte di me.
So che, se non fosse stato per l’Olanda, tutto questo non sarebbe successo. Gli eventi compongono sempre una catena. Ancora una volta, un battito d’ali che si riflette.
So che ho già pubblicato, sono già, tecnicamente, una scrittrice.
Ma ho sempre fatto tutto per istinto e vita interiore.

L’evento che si è concretizzato oggi mi rende, però, onorata.

Grazie a tutti. Anche a voi che mi state leggendo ora. Perché se tutto questo è stato possibile, è anche merito vostro.
ragazza di spalle sul pontile

La Viaggiatrice

Ho visto Marta.
È spagnola, credo di aver capito che abbia 33 anni. Ha una massa di capelli semi-ricci e spettinati, con due ciocche color celeste polvere che escono come cornini e, da lontano, sembrano grigie.
Viaggia da sola.
La ho incontrata stamattina per caso. Mi ha fermata lei, con l’espressione di chi pensava non avrebbe avuto aiuto. Mi è anche sembrato che tirasse un sospiro di sollievo.
Il lunedì mattina la mia città è deserta. Fa più o meno lo stesso effetto di un paese impolverato o di una terra abbandonata. Il fenomeno si verifica perché normalmente gli esercizi commerciali non aprono prima delle 10, ma il lunedì in particolare è mattina di riposo, così si riposano anche le strade. Io abito un po’ fuori città. Marta era ferma a un incrocio dalle mie parti, dove di base non c’è niente ad eccezione del traffico. La scena era dunque questa: lei si trovava con un bar ristorante chiuso alle sue spalle, un passaggio a livello alla sua sinistra, un cimitero di fronte, uno stradone sulla destra. Mi guarda con occhioni sgranati. Mi fermo. “Ahh.”, dice. “May I help you?” (leggo il fumetto sulla sua testa “meno male”). Yes, dice lei, vorrei sapere dov’è il centro. Il centro è a destra, dico io, devi andare di là, sì ma io vorrei sapere, ecco, mi stavo chiedendo, cosa c’è intorno a me, dove siamo, dice lei. Siamo nel niente, dico io, qui sei fuori, davanti a te c’è il quartiere ricco. Vengo da lì, dice lei. Ecco allora se vieni da lì, dico io, avrai visto che non c’è niente e non c’è nessuno, solo il dinero, ma sei spagnola per caso? , dice lei.
Questo particolare mi entusiasma. Finalmente posso tornare a parlare spagnolo, dopo quasi due anni che non lo hablo più ma lo escucho soltanto. Ti parlo in spagnolo, dico io, e attacco come una perfetta madrelingua. La scioltezza mi dura un minuto, poi devo arrendermi all’evidenza che non sono più così brava come ero prima. Non che prima fossi chissà che, ma almeno ero in grado di tenere una conversazione. D’altra parte lei è un disastro in inglese, viene fuori. Lei nel suo inglese terribile e io nel mio spagnolo schifoso intessiamo una conversazione. Fortuna che la città è deserta.
Quand’è che mi dice che si chiama Marta? Ecco come avviene il passaggio. Dopo averle spiegato che è meglio che si levi da quell’incrocio e che non ne ricaverà nulla, la accompagno per qualche metro lungo la strada giusta, metro durante il quale lei mi dice che sta vagando random. Non ha l’aspetto di una senzatetto, è solo una in viaggio. Mi distraggo, supero il vicolo per andare a buttare la spazzatura – che, nel frattempo, scarrozzavo fieramente – me ne accorgo, mi congedo e vado indietro. Vado indietro ma comincio a pensare che come sempre nulla accade per caso, che le coincidenze non esistono, che blabla, che la spesa la posso anche fare dopo, che sì, mi aspetta una pila di cose ma io, quasi quasi, seguo la ragazza e la accompagno. La rincorro. “Vuoi che ti accompagni un po’ in giro per la città?”. Mi guarda strana. Forse perché fino a due minuti prima portavo una spazzatura sottobraccio.
Va bene, dice lei. In questo caso, piacere: sono Paola, dico io. “E io sono Marta”. Mi accorgo che Marta capisce ancor meno di ciò che ha dichiarato essere il suo livello di inglese; d’altra parte, le mie palabras sembrano svanire nel nulla di fronte a lei (eppure nella testa le avevo tutte e, quando la saluterò, torneranno di nuovo). Mi atteggio a guida, le racconto ciò che so, le chiedo di lei.
Mi dice che è di Bilbao ma vive sulla montagna.
Che ogni tanto prende e parte.
Che ha già visitato molti posti e vissuto in altri continenti.
Che fa viaggi anche brevi, come questo: una sola settimana.
Mi dice che non viaggia per vedere i luoghi, ma per studiare le abitudini della gente.
Che pensa di poterle carpire anche in pochi giorni.
Che non ama le città grandi.
Che si ferma a dormire dove si sente ispirata.
Che non le interessa visitare musei, chiese e reperti importanti del luogo.
Che cerca punti dove fermarsi, prendere un caffè e osservare le persone.
Che forse lo fa per via della sua deformazione da antropologa. Le chiedo se è antropologa, mi dice di no.
Mi dice che studiava antropologia, ma ha smesso.
Che ha studiato altre due cose, ma ha smesso anche quelle.
Mi dice che interrompe tutto ciò che le piace e non sa perché. E con questa affermazione, io mi spiego perché lei viaggia così. Ma non glielo dico, non è quello che vuole sapere.
Mi dice che preferisce girare tutto da sola, ma dei suoi viaggi ama la possibilità di conoscere gente ogni tanto e di scambiare qualche parola come sta facendo con me.
Mi sembra di aver invaso la sua privacy e smetto di fingermi guida. Le indico un bar dove potrà appagare la sua ricerca in questa città.
È un pezzo di carta stracciata e di colore blu, quello che tira fuori a questo punto della conversazione e che mi mostra. C’è una lista di luoghi da visitare. La mia città è già tra questi. Restano: una zona caratteristica ma poco rappresentativa, un posto famoso. Mi chiede: “se tu fossi me, dove andresti?”. Con questa domanda, capisco.
Capisco di nuovo che nulla accade per caso ma l’incontro di oggi, questa volta, non era per me. Può succedere che io mi imbatta in persone portatrici a loro insaputa di una risposta a un mio dubbio o a una mia difficoltà. Più spesso, invece, sono io a capitare nella vita degli altri. Credevo davvero che Marta fosse lì per me. Piovuta dal cielo su un angolo della strada, messa dall’alto dalla mano di Dio o chi per lui, tipo pupazzetto “toh, a te ti metto qui, che servi in questo punto”. In una città vuota come questa di lunedì mattina, avvolta in un tempo uggioso, decidere di andare a fare la spesa a un orario davvero scemo come le 9:35 non può essere una coincidenza, ma il segno confezionato pronto per darmi la prospettiva di cui ho bisogno in questo momento della mia vita. E poi io e la Spagna siamo più che amiche: abbiamo un passato non passato. Dio o chi per lui ce la ha davvero posata Marta, in quell’angolo. Ma per lei, per il suo crocevia personale. Marta non è tipo da chiedere a qualcun altro “e tu dove andresti al mio posto”. Marta è qualcuno a cui è accaduto qualcosa ed è alla ricerca di se stessa, anche se ancora non lo sa. E chissà se lo saprà. Io ero il suo pupazzetto messo lì. Mi è stato definitivamente chiaro quando mi ha svelato un’ultima frase.
Avrei voluto sedermi con lei e dirle “raccontami”. Ma sentivo che avrebbe voluto restare di nuovo da sola, dopo un po’. Così le ho detto: “Marta, se io fossi in te non andrei in nessuno dei posti di questa lista.” “Perché?” “Perché questo è simile al tuo mondo, mentre quest’altro non ha ciò che cerchi. Vai in questa altra città che ora ti scrivo.” “E perché proprio questa?”, ha chiesto lei. “Perché questa ha la storia diversa. Qua c’è un bombardamento, e c’è l’antico che è rimasto in piedi. C’è la rivalità tra le genti. C’è l’essenza che è diversa dall’apparenza. E c’è il porto. C’è il mare e vale la pena andarci solo per perdersi a guardare il ponte e oltre l’orizzonte. Non credo tornerai mai più qui.” “No, infatti”, ha detto lei. “Allora non perdere l’occasione di tornare a casa con il ricordo di qualcosa che potrai raccontare e che la gente ascolterà.”
Ha annuito, mentre i suoi occhi mi fissavano. “Grazie. Ho solo due giorni, compreso oggi. Due giorni sono pochi. Dove hai detto che è quel bar da cui osservare la gente?

Buona fortuna, Marta.
Spero di esserti stata di aiuto.
copertina libro 'antologia del calcio astrale'

Quelli che il Calcio. Astrale.

“Cristiano Ronaldo è il migliore giocatore umano sulla Terra, poi c’è il miglior alieno sulla terra, Messi. E’ imparagonabile.”

Lo ha detto Josep Guardiola, un calciatore e poi allenatore del lontano XX° secolo. Lui non poteva saperlo, ma all’epoca i primi alieni già si stavano infiltrando tra i terrestri, in maniera del tutto anonima. O meglio, sarebbe dovuta essere anonima; Messi purtroppo aveva un difetto di fabbrica, il chip della disfunzione connettivale non funzionava ed il risultato era che rendeva il triplo in produttività, rispetto ai più deboli abitanti del pianeta Terra.

E’ stato a causa sua che le compagini interstellari hanno cominciato a seguire il gioco del calcio. All’inizio eravamo preoccupati che qualche tentacolo potesse sbucare dal suo rivestimento a base di pelle e noi potessimo essere scoperti;  poi, a forza di guardarlo, ci siamo appassionati.

Quando dico ‘noi’ intendo il popolo spaziale in generale. A me non interessa nulla, invece. E come ogni legge del contrappasso che si rispetti, sono condannata a lavorare a contatto di questi maschioni con gli ormoni pompati, tutti i giorni della mia vita.

Sono la produttrice del programma ‘90° Tacchetto – Tutto il calcio spiegato agli inetti’. La trasmissione più seguita in tutte le Federazioni da 35 anni a questa parte. Mi chiamo Lucy Van Kolte. E sto meditando di cambiare lavoro. *

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Volete sapere come continua il racconto?

Leggete ‘La Prima Antologia del Calcio Astrale’.

Il libro è in vendita online per poco più di una colazione al bar, ma dura quanto il tempo della spesa all’ipermercato il sabato pomeriggio. Ed è più divertente. Niente code d’attesa, niente scaffali affollati, solo la piacevole lettura di racconti sul calcio, intorno al calcio, contro il calcio, firmati da me e da una carrettata di scrittori bravi e simpatici. C’è anche la prefazione di Enrico Vaime.

Lo so, lo so: è un e-book. Fa senso anche a me. Ma il calcio si legge e si gioca ovunque e, se in Italia entriamo poco in libreria, in compenso viviamo al computer, quindi questa forse potrebbe essere una buona idea.

E poi si parla di Messi. Il novello triplo pallone d’oro, notiziona fresca fresca di oggi.

Un po’ di veggenza in questo calcio futuribile ci deve essere.

Quindi, leggeteci! E state tranquilli: se siete appassionati di calcio non resterete delusi da questo libro, quasi tutti i racconti esaltano il gioco del pallone. Se poi non siete appassionati di calcio, non resterete delusi ugualmente: lo spernacchiamento dei calciatori che avete letto sopra è il mio – ma d’altra parte sono l’unica donna arruolata nella squadra. Ne ho approfittato.

Insomma, c’è di che sorridere. Che di questi tempi non fa male.

Buona effervescente lettura.

In vendita qui: shop online

Autori in ordine alfabetico: Cletus Alfonsetti, Stefano Amato, Martino Baldi, Paolo Cacciolati, Marco Candida, Marco Crestati, Samuele Galassi, Hector Genta, Franz Krauspenhaar, Antonio La Malfa, Giuseppe Manfridi, Mauro Mirci, Gianni Montieri, Mario Pischedda, Paola Ragnoli, Ezio Tarantino, Rocco Traisci.
il bacio più famoso della fotografia

Voglio scrivere per viaggiare e viaggiare per scrivere.

(201110021900)

Voglio raccontarvi di quei baci alla stazione, delle foto ricordo. Degli sconosciuti infiltrati nei ricordi di tanti altri, dei frammenti di vita immortalati in promesse, su pellicola destinata a sfumare. Degli abbracci in sala d’attesa, e dei saluti gridati al binario rincorrendo un finestrino opaco in movimento. Dei sorrisi lanciati dal predellino, di quei ciao sommessi a fior di labbra, come ventriloqui, mentre un velo di tristezza appanna gli occhi. Degli scambi di sguardi da film muto, delle piccole e grandi lacrime versate, una volta a bordo, o una volta soli sulla banchina. Dei paesaggi osservati dall’oblò, mischiati alla texture di pensieri sui momenti appena vissuti, o al resuming di una vita, quasi come se ogni volta fosse un bilancio. Delle attese per la prossima occasione. Dei minuti interminabili che precedono la separazione, o della contentezza che precede la partenza. Dell’eternavoglia di muoversi, e acquietarsi, in braccia calde e rassicuranti, una ricarica di vita breve ma intensa. Della voglia di portare la ricarica con sé per un viaggio perpetuo. Della voglia di vivere. In una lingua straniera, in un tramonto, in un sorriso.

Scritto il 2 ottobre, alle 19:00, sulla pensilina della stazione di Venezia.

photo credits: Robert Doisneau, Il bacio

èquilafesta

E’ qui la festa!

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Ieri era una specie di giornata dedicata alla fondazione dei blog. O forse è oggi, boh. Però questa mattina alla radio hanno detto che un blog deve essere aggiornato tutti i giorni, perché i lettori si affezionano e si abituano e, in caso contrario, si stancano e su quella pagina non ci vanno più.

Probabile. 

Viviamo di riflessi automatizzati e di aggiornamenti di bacheca. Se non ci compare qualcosa sotto il naso, non andiamo a guardarla. Se non andiamo sulla tale pagina, quella non ci compare sotto il naso. Provate, se non ci credete, funziona così. Funziona con lo stesso principio dei banner pubblicitari: effettuate una ricerca su un qualsiasi argomento e, da quell’istante, tutti i siti che visiterete saranno forniti di consigli per l’acquisto tarati su di voi.

Altro che scanner della retina, che riconosce la vostra età, il sesso e i possibili gusti, propinandovi immagini su cartelloni per strada, come paventava un notissimo film di semi-fantascienza, chissà se qualcuno di voi lo ha visto.

Altro che grande fratello. A me a volte sembra solo una massa di grande nemico, questo controllo ossessivo di ogni cosa che facciamo. Per non parlare di quei messaggi subliminali-ma-nemmeno-tanto che ti mettono un’ansia incredibile, tipo ‘con Skype non sei mai solo’. Maaiuto. 

E’ proprio triste essere letti solo perché vi appaio nelle vostre pagine o intaso le vostre caselle email, ma comunque la questione si risolve a monte: non sto scrivendo. 

A parte scrivere gli ultimi tre pezzi sul fatto che non scrivo.

E poi: I Viaggi della Druida non sono un diarietto.

Lo ripeto ancora una volta perché sia davvero chiaro. 

Sono racconti di narrativa, di vita mia e vostra, proiezioni, viaggi reali, riflessioni e idee per tutti, dove tutti siete invitati a partecipare, come se fossimo in una di quelle feste estive serali di paese. Luminarie che pendono da un lampione all’altro. Un palco rialzato dove il proprietario del negozio di ferramenta tutti gli anni si riveste e presenta lo spettacolo, concludendo con i fuochi d’artificio. Alcuni commercianti formano un’orchestra e intonano una musica ballabile. Ogni volta si da il benvenuto ad un avventore; qualcuno decide di restare, qualcuno si ferma solo un po’ e poi va. I ragazzini scorrazzano tra le sottane buone della domenica, con i lecca lecca in mano. Qualche donna anziana grida loro di comportarsi civilmente. Qualche donna giovane mischia le risate alle note. Un ragazzo corteggia la sua amata, ‘stasera o mai più’, se lo ripete tutti gli anni in silenzio, e ogni anno qualcuno arriva prima e lui resta ad osservare da lontano. Il fotografo nessuno lo vede mai, ma si insinua tra tutti da lontano. Il camioncino dello zucchero filato è preso d’assalto.

Si balla. Si balla, qui, miei amici viaggiatori, e allora ballate!

Non cercate in questa piazza le mie pagine di diario personale, cercate la festa! Che le feste non ci sono sempre, esplodono all’improvviso come secret parties, come le cose della vita, perché la vita non è sempre bellissima, a volte fa veramente schifo, ma voi cercate la festa, è tutto lì il segreto.

E cercatevi un ruolo. 

Io non ce l’ho il negozio di ferramenta, per esempio, quindi non posso essere io ad aprire lo spettacolo. Ma la mia indole non è affatto quella della presentatrice. 

In quella cornice, io potrei essere solo una persona: la locandiera.

 

E voi? 

Voi chi sareste?

libro paola ragnoli racconti

La Scena delle Donne

La sfida più grande per uno scrittore è cercare di definire l’amore.

Ci hanno provato tutti, a un certo punto della loro carriera, chi con più chi con meno successo, perfino Wikipedia, perché l’amore è e resta qualcosa di segreto a metà tra la teoria e la pratica, ed è facile scadere nel banale.

L’amore è talmente misterioso che a volte le persone lo provano senza nemmeno accorgersene, o accorgendosene solo a posteriori.

Io non avevo in programma di scrivere davvero sull’argomento in questo periodo della mia vita, nell’idea di non essere ancora sufficientemente saggia per potermelo permettere.

Ho solo buttato giù i miei primi pensieri. Ciò che ho imparato fino ad oggi.

Ho deciso per la prima volta di partecipare a un piccolo concorso letterario nazionale con quegli stessi testi.

E sono stata scelta.

La manifestazione si intitola ‘La scena delle Donne – Quello che le donne non dicono’ e si tiene a Pordenone, dal 4 al 18 marzo.

E’ alla sua VI° edizione.

I racconti selezionati prenderanno vita in vari locali della città, attraverso letture teatrali interpretate dalle attrici della compagnia di Arti & Mestieri.

Tutte le storie rappresentate verranno poi pubblicate in un libro.

Si poteva scrivere di qualunque argomento.

Sono onorata di essere stata selezionata proprio per quello più complicato del mondo ed è con orgoglio che vi invito a partecipare, mercoledì 9 marzo ore 11.00, in viale Martelli 19 a Pordenone.

Io ci sarò.

E sarei felice se ci foste anche voi, in modo da (ri)conoscerci e stringerci in un abbraccio non più virtuale.

Il sito ufficiale della manifestazione è questo: www.scenadelledonne.it

Le storie selezionate sono:

La costruzione di un amore’

‘Non parlare’

Sogno di una notte di Natale’

Ancora una cosa.

Vorrei ringraziare quanti hanno reso possibile tutto questo.

La compagnia Arti & Mestieri senza dubbio, ma soprattutto le persone che hanno ispirato questi scritti. Loro sanno chi sono.

Una nota speciale va a chi mi ha fatto sognare, sperare, soffrire e piangere.

Nel percorso del dolore, si conosce meglio la nostra anima.

Grazie.

Ci vediamo il 9.

Febbraio 2011