– Il silenzio di Facebook –
Partiamo dalla foto che vedete sopra.
E’ un particolare di un palco di Vasco. Imponente, non trovate?
Da stamattina ho scritto e cancellato almeno tre status nella mia pagina personale di facebook. Guardo e riguardo la foto di Matteo, leggo i commenti che mi vengono scritti, noto la scarsa partecipazione della comunità e mi dico che non trovo le parole adatte.
Mentre scrivo, ci sono un paio di feriti in ospedale, di cui uno in gravi condizioni.
Dove siamo: a Reggio Calabria, durante il montaggio del palco del concerto di Laura Pausini.
La foto del palco di Vasco la ho messa solo per darvi un’immagine fissa di dove ci si arrampichi quando si lavora a un concerto.
Matteo era un rigger. Vi spiego cosa fa un rigger: è il tizio che si arrampica in cima alle impalcature e appende cose.
I rigger sono pochi, come forse potete immaginare. Hanno conoscenza, esperienza, prestanza fisica, si caricano di pesi e salgono, salgono, salgono. Non è infrequente scoprire che sono scalatori, nel tempo libero.
Prima dei rigger, ci sono altre figure incaricate di montare la ‘base’ del palco, diciamo così. Di questi, un bel numero è a rotazione continua, tanti sono ragazzi universitari o stranieri in cerca di lavoretti e di qualche spicciolo, per turni anche di 20 ore di lavoro continuo.
Cosa è successo durante il montaggio del palco della Pausini?
Boh.
Un cedimento del parquet, dovuto ad un vuoto sotto al pavimento. Una struttura ospitante inadatta. Riduzione del budget per mancanza di fondi. Materiale montato smontato e rimontato continuamente. Riduzione del budget per avidità. Mania di grandezza per mostrare palchi sempre più accattivanti. Modifica dei prospetti per aumentare il numero di posti a sedere da tutte le angolazioni del palco.
Si sta cercando di capire.
Non voglio aprire un dibattito sul ruolo di promoters, organizzatori, artisti, della fatica fisica che accompagna il vostro divertimento, oggi non è il caso.
Voglio parlare della piazza che resta.
Dovete immaginare i vari social networks, in particolare facebook, come una grande piazza di paese, o l’ingresso della vostra scuola superiore; un luogo di quelli dove ci si incontra con la comitiva. Ognuno ha i suoi argomenti preferiti, le sue opinioni, i suoi gusti, il suo modo di esprimersi. Se tizio sceglie di parlare di politica e caio dell’arbitro cornuto, non è che uno sia meglio di un altro, sono solo caratteri ed interessi che emergono.
Poi ci sono quegli argomenti che ogni tanto attirano l’attenzione di tutti. Io con Matteo ho lavorato, quindi è chiaro che ciò che tocca me potrebbe non interessare voi. Non avevo mai lavorato con Francesco, morto a Trieste durante la costruzione del palco di Jovanotti, ma mi ha toccato lo stesso perché la produzione dei concerti è un lavoro che svolgo da molto tempo.
Qualcuno ha scritto che Matteo poteva cadere dall’impalcatura dietro casa e nessuno avrebbe alzato tutto questo polverone e che, quando capita, capita.
Rispetto questa affermazione.
E mi chiedo:
1) Quando capita, capita? Prego? E no. Non deve capitare.
2) Quale polverone? Il polverone è stato alzato per Jovanotti, questa morte invece non è stata recepita dall’utenza media. Matteo è diventato normale.
Ma Matteo era normale. Era sconosciuto, come l’operaio che vi ha messo le piastrelle nel bagno, come l’idraulico che vi ha aggiustato la lavatrice, come me che a volte ho allestito camerini ed a volte ho contato e gestito una per una tutte le persone che lavoravano ad un concerto.
Per favore, non trattate Matteo come un personaggio famoso di cui non si hanno canzoni da linkare o, peggio ancora, come una notizia già sentita. Lui dovrebbe essere una questione di tutti. Come le specie animali in via di estinzione, la natura che viene bruciata, le tasse che paghiamo, la crisi del lavoro, l’inutile ed incombente 8 marzo.
Ricordiamo Matteo per parlare del poco investimento sulla sicurezza nel lavoro, piuttosto.
Ricordiamolo per parlare dei morti che cadono dall’impalcatura di casa vostra.
Ricordiamolo per parlare di tutti quelli che lavorano in condizioni estreme, in qualunque settore, che prendono 6 euro l’ora ed ai quali si chiede uguale formazione specialistica, che vengono mandati allo sbaraglio dalle ditte nella più totale approssimazione, senza caschetto di protezione, senza scarpe antinfortunistica, senza corde, che vengono spediti sulla neve con i furgoni senza catene né gomme termiche.
Ricordiamo Matteo per parlare dell’avidità che fa risparmiare soldi sui materiali, per evidenziare lo scarso interesse a volte presente nei confronti della vita dei lavoratori: “finché non succede qualcosa nel mio cantiere, chissenefrega”.
Ricordiamo Matteo per guardare ogni tanto oltre il nostro cantiere perché, se uno cade, è come un domino: è facile che dopo cadano tutti. Conosco uno che fa proprio questo di mestiere, sicurezza sul lavoro, e che mi ha detto che non gli interessa affiancare un suo dipendente in un apprendistato, se le cose non le sa sono problemi suoi.
Ecco, ricordiamo Matteo per ricordare l’esistenza di certi individui.
A parlare di lui per chiedere più sicurezza e meno speculazione nell’ambito degli eventi, ed a piangerlo come persona, ci pensiamo noi.
Voi ricordatelo affinché le prossime vittime abbiano sempre meno nomi.
Ed affiancatelo agli altri discorsi che ogni giorno scegliete di fare.
PERCHE’ IL DIRITTO AD UN LAVORO DIGNITOSO RIGUARDA TUTTI.
5 Marzo 2012