Giacomo Del Colle Lauri Volpi in scena con Van Gogh La Discesa Infinita

FCO – AMS: in volo sulle note della musica

Io un compositore di musica classica non lo avevo ancora conosciuto.

Ho studiato violino, strimpello il pianoforte (i tecnici mi perdonino per la bassezza del mio modo di esprimermi), ho conosciuto musicisti di ogni genere musicale, ma il compositore di classica davvero, davvero, mi mancava.

La cosa bella è che questa intervista è arrivata in modo casuale.

Ero andata ad Amsterdam, a vedere uno spettacolo a teatro: ‘Van Gogh, la discesa infinita’. Una pièce teatrale tratta dal libro di Giordano Bruno Guerri, messa in scena da Paola Veneto e con un cast di attori che sembrano usciti dal libro di storia dell’arte.

Giacomo musica il tutto.

Per farla breve: mi sono innamorata di quello che ho visto, ne ho scritto una recensione, ho contattato la crew, e com’è come non è mi sono ritrovata con Giacomo, di fronte a una birra, con il suo amico e socio Marco Cucco che in tutto questo vive ad Amsterdam, seduti al Bar Lebowski di Utrecht.

Eh sì, esiste un Bar Lebowski.

Ok. Facciamo che tu ti presenti e mi dici chi sei e cosa fai.

Ok. Faccio il compositore di musica classica, da 12 anni. Ho lavorato in RAI, ho cominciato sonorizzando la televisione, cioè documentari e spettacoli tv. Poi ho fatto pubblicità con Antongiulio Frulio, ero il suo assistente. Quando lui è andato negli Stati Uniti, io sono rimasto a Roma, in un giro che ormai cominciavo a conoscere bene. Lavoravo già con la computer music, in un’epoca in cui non esistevano software campionati, quindi capisci che la scelta della Produzione era pagare un sacco di soldi a un’orchestra vera, o dare a me un decimo del budget. I primi anni ho lavorato davvero molto.

Questo era quello che volevi fare da grande?

Sì, assolutamente. Anche se tutto è un’evoluzione, man mano che vai avanti scopri nuovi punti di arrivo.

Compositore di classica, hai detto. Cosa hai studiato?

Ho un diploma di composizione e flauto traverso al Conservatorio di Santa Cecilia.

Tu vivi e lavori a Roma?

Anche, sì.

Hai mai pensato a trasferirti definitivamente?

Eehh… Intanto devi tenere conto che mia madre è spagnola, per me il concetto di doppia nazione è normale. Nel 2008 ho pensato di andare a vivere in Spagna ma, per una serie di circostanze indipendenti da me, non lo ho più fatto. Fino ad adesso sono rimasto a Roma e al momento, con Spettro Sonoro, il progetto che condivido con Marco, stiamo collaborando con Sky, anche se Marco è già fisso in Olanda; ma riusciamo a gestire i lavori.

Va sempre tutto liscio? Non si risente della crisi?
Alcuni periodi si fatica un po’. Al momento non potrei farmi una famiglia: io ho 36 anni, è un’età in cui cominci a pensare anche a queste cose.

E questo non è un incentivo a trasferirsi?

Assolutamente sì! Ho pianificato regolarmente evasioni stile Fuga da Alcatraz, ma alla fine succedeva sempre qualcosa che mi tratteneva in Italia. C’era sempre qualcosa da fare, o da lasciare.

Hai detto che alcuni periodi si fatica un po’. Come si affronta il possibile buio che compare all’orizzonte?

Nei momenti morti, componi comunque. Ma per te stesso. Setacci un aspetto interiore della musica.

C’è una tecnica che si segue per comporre, o si va a sensazione?

C’è una tecnica. Ma la musica sta cambiando, c’è una tecnica precisa a seconda delle varie cose: dipende da quello che devi fare. Se componi per te, l’impresa più stimolante è che la tecnica te la cerchi tu. Per esempio, se vuoi fare un pezzo sui semafori di Utrecht, decidi di sonorizzare verdi, gialli, rossi… ma è una roba tua, sarà difficile da vendere.

Suona tutto come molto tecnico. Come vedi il rapporto tra il linguaggio della musica e quello della matematica?

La matematica è la parte preponderante. Nel futuro io mi immagino a collaborare nelle università, come ricercatore, a stipulare un programma che funziona in suoni sul DNA.

E poi che ci fai?
Niente, lo tengo per me.

Parliamo del motivo per cui ci troviamo qui io e te in questo istante. Come sei arrivato a comporre Van Gogh?

Cerco di riassumerti la storia. Giordano Bruno Guerri scrive il libro “Follia? Vita di Vincent Van Gogh”, dove sviluppa una tesi parallela a quella ufficiale, ossia che Van Gogh non fosse folle ma si fingesse tale per avere i mezzi per continuare a dipingere. Paola Veneto decide di fare promozione al libro, mettendo in scena una pièce teatrale. Contatta, allora, Alessandro Parise. Siamo nel 2009. Alessandro mi chiama, perché in scena serve un musicista.

Un incontro casuale di anime.

Sì. Abbiamo cominciato facendo prove, tentativi. Non avevamo fondi, solo un pianoforte. Ci siamo messi tutti insieme a leggere il libro e a sottolineare i punti che dovevano essere maggiormente valorizzati secondo Paola, che è sì la regista, ma ci ha sempre lasciato carta bianca nell’interpretazione. Quindi lo spettacolo è nato un po’ così: con pezzi che erano bozze da libreria fissate sull’hard disk, bozze come quelle scritte nei famosi momenti no, di cui parlavamo prima. Avevo un Maestro che diceva “la musica è come il maiale, non si butta via nulla”.

Il tuo Maestro a quanto pare aveva ragione. I linguaggi della comunicazione sono decisamente imprevedibili. E anche la storia di questo spettacolo lo è: se ho capito bene, è nato come attività promozionale e a distanza di 8 anni ancora gira.

Sì, ha avuto un successo inaspettato. Abbiamo girato palchi importanti, siamo andati anche a “Cortina Incontra”.

E perché lo offrite ancora in maniera gratuita?

Lo spettacolo è rimasto a titolo gratuito per rispettare il motivo originale, cioè la promozione del libro. Ma poi ci piace tantissimo tutto quello che si è creato, e anche il gruppo di lavoro, la storia stessa. Alcune date le abbiamo fatte senza percepire compenso.

Van Gogh è cambiato, nel corso del tempo, vero?

Van Gogh è cambiato tre volte. Il nocciolo duro è Paola-Giordano-Alessandro-io.

Perché Van Gogh è cambiato?

Perché come dice Marco, il mio socio, il protagonista muore alla fine della rappresentazione, ahah! Il Vincent attuale, Antonio Gargiulo, sembra il Vincent vero, è impressionante. Lo ha chiamato sempre Alessandro.

Ora che avete girato per Amsterdam, è capitato che qualcuno fermasse Antonio o lo guardasse incuriosito?

Di base no, perché lui si confonde bene con gli olandesi, sembra uno di loro. Ma c’è stato un momento in cui siamo passati accanto a un negozio con alcune forme di formaggio che avevano il viso di Van Gogh, lui si è messo vicino al formaggio per farsi una foto e alcune persone si sono fermate per fare una foto a lui e al formaggio!

Perché questo spettacolo viene fatto ancora, a distanza di quasi 10 anni?

Perché ci piace farlo. Anche se ognuno di noi ha un altro lavoro, quindi riusciamo a riunirci solo ogni tanto. Ma questa volta è stata diversa.

Perché?

Forse perché all’estero non ci eravamo mai esibiti. Ed eravamo pure nella terra di origine di Van Gogh. Tutte quelle frasi, le pagine di libro, le battute di scena, le stavamo vedendo nel loro contesto naturale. Avevano una potenza diversa. Per la prima volta abbiamo potuto dire “andiamo a vedere dal vivo le terre in cui Vincent ha vissuto”.

Deve essere stato emozionante.

Lo è stato. Eravamo anche stremati fisicamente. Abbiamo avuto una giornata lunga, non abbiamo dormito per le 24 ore precedenti alla rappresentazione. Sono successe cose per le quali uno direbbe “hey: che situazione ostile”.

“Hey che situazione ostile”: e certo, chi non lo direbbe?

Fa molto western, ahah… Abbiamo anche una chat di gruppo, che si chiama “Van Gogh ad Amsterdam”.

Beh, da spettatrice, ti posso dire che quelle emozioni le avete comunicate tutte. Mischiando note, parole, sentimento, luci, danza e volti difficili da dimenticare.

Grazie!

No, grazie a voi. È stato un piacere scoprirvi, e spero di rivedervi di nuovo all’opera.

Il piacere è stato nostro, di esserci potuti esibire ad Amsterdam. Tra l’altro, una città che si è rivelata di grande ispirazione.

Io Amsterdam ormai la conosco da un po’ e so quanta ispirazione può dare.

Ma in questo caso, ciò che mi ha ispirata insieme a tutto il resto è stata la musica di Giacomo.

C’è un piccolo assaggio di quello che ha prodotto, un brano di due minuti che lui mi ha gentilmente concesso in utilizzo per la recensione che ho scritto sullo spettacolo: lo trovate qui, se volete ascoltare qualche nota. Davvero ve lo consiglio.

 

Ps. Volete sapere com’è andato il resto dell’intervista e cos’altro ci siamo detti con lui e con Marco, il suo socio? Cliccate qui.

foto Paola Ragnoli e Giacomo Del Colle Lauri Volpi insiemeUna versione estiva di me e Giacomo a Roma, nel mitico Bar Vanni. I sorrisi hanno abbagliato la camera, per questo la foto è venuta sfocata.