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La finestra sul nostro mondo

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La parola di quest’anno è: cambiamento.

Cambiare, che siamo stati travolti da eventi personali, o da vicende dell’umanità.

A tutti coloro che continuavano ad andare avanti senza domande, o senza risposte, o senza coraggio, o senza chiarezza, questo tempo ci sta chiedendo di cambiare prospettiva. Viaggio. O punto di osservazione.

Questo tempo ci sta mettendo alla prova; per questo tempo abbiamo cominciato a cambiare la posizione delle carte, riconducendole forse lentamente a quelle che sono state previste dal destino per noi.

E per chi non crede nel destino, riconducendole a una nuova disposizione. Ne siamo praticamente obbligati, per scelta attiva o per scelta subita.

Ciò che viene dopo è visto come un male perché spaventa, l’ignoto fa sempre questo effetto. E’ un male, se giocato senza capire il significato e senza cogliere le opportunità. E’ un bene, se prendiamo i fatti come l’occasione di una finestra sul nostro mondo. A volte non si può fare diversamente.

Mentre scrivo, ci sono persone che hanno perso qualcuno. Ci sono altre persone, come me, che stanno perdendo una parte di se stesse, o della loro funzionalità. Ce ne sono altre costrette immobili, costrette prima di tutto ad affrontare il loro dolore, fisico e morale.

Quello che le accomuna tutte è, appunto, il cambiamento. Non importa che fosse voluto o sia diventato imposto.

E di fronte a questo cambiamento, le scelte sono due: bloccarsi, o andare.

La terza opzione non esiste, mai.

Andare.

L’incredibile opportunità di capire cosa o chi vogliamo, cosa è importante per noi, cosa conta nella vita, o almeno cosa non vorremmo più.

E’ come se stessimo avendo una seconda occasione, che ci aiuti a svegliarci dal nostro torpore ovattato di protezione finto-morbida.

In questa lista di nuove scelte, non dovrebbero esserci proprietà, beni immobili, soldi, stipendi, carriere lavorative; non dovrebbe esserci spazio per ricominciare come se nulla fosse.

Questa lista dovrebbe essere composta dal coraggio della vita ritrovata, dalla voglia di uscire il doppio di prima, dalla voglia di ridere, sorridere, e divertirsi fino a che il nostro destino / Dio / il caso ce lo concederà.

Ma certamente dovremmo smettere di sprecare il nostro tempo. Dovremmo dire quella cosa, dovremmo chiamare quella persona, dovremmo fare quel passo. Dovremmo smettere di stirare i sentimenti con il ferro da stiro caldo e bruciarli, e dovremmo lasciarli piuttosto stesi al sole, permettendo a qualcun altro di prendersene cura.

A chi giova restare nella propria casetta a porta chiusa? Pensiamo che così ci difenderemo, oggi; ma domani sentiremo la mancanza del non aver mai preso aria e di non aver mai fatto entrare quella metà, proprio quella lì. Ci pentiremo.

Il cambiamento spaventa, la felicità fa paura, anche perché la felicità non esiste dal momento che prima o poi viene spezzata dalla fine della vita stessa. Ma vivere senza tentare la felicità dovrebbe fare molta più paura, se si ha un minimo di coscienza lucida.

Meglio un giorno da leone che cento da pecora, dicevano. Meglio un giorno felici che mai, dico. Prendendo tutto quel che viene dopo quel giorno: il bene e il male. Questa è un’antica formula rituale dei matrimoni, che molti non avranno mai la possibilità di sentire davvero dentro, ma ‘nel bene e nel male’… è così che va la vita. E’ così perché sì, perché funziona così.

Qualunque altro giorno abbia in serbo la vita per noi, dovremmo viverlo vivendo, abbracciando, amando. E ricordandoci di dirlo.

Non fermiamoci.

Postilla. Le persone che hanno cambiato il mondo sono state tante, poche quelle che lo hanno migliorato. Ma non crediate che non possiamo fare nulla. Se non tutti possiamo parlare alle masse, tutti possiamo parlare al singolo, e cambiare una vita – e qui penso a chi parla con bambini e ragazzi, ad esempio. Quel singolo, a sua volta, potrà cambiare un’altra persona. Questo si chiama effetto farfalla.
E tutto ritorna nel movimento che genera il vento del cambiamento.
Adesso è ora.

photo credits: ThisisTheLife2905, Change the world

hug_by_hjstory

Quelli che restano

art: hug_by hjstory

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Lo penso da sempre. E alcuni momenti, lo penso di più. Come stasera, quando nei fili del mio udito sono passate le battute di chiusura del Miglio Verde.

Le persone sono importanti.

Perché dopo che abbiamo tolto tutto, i vari non-ho-tempo, ci-sentiamo-dopo, ti-richiamo, sono-stato-molto-impegnato, che cosa ci resta?

Sì lo so, è il ritmo della vita, della parte egoista di ogni essere umano, che ognuno di noi almeno una volta ha messo in scena.

Sì è vero, dobbiamo morire tutti e non sappiamo se noi saremo i primi, forse fortunelli, o gli ultimi, quelli straziati che rimangono soli alla vecchiaia mentre tutte le persone alle quali abbiamo voluto bene non ci sono più, quindi alla fine che importanza hanno gli affetti ed evviva il viaggio.

Ma avete mai dovuto dire addio a qualcuno che se ne stava andando di fronte ai vostri occhi? E’ straziante.

E avete mai dovuto dire addio a qualcuno che se ne è andato così rapidamente da non lasciarvi il tempo di spiegare quella frase del giorno prima? E’ straziante.

E se togliamo tutto, i vari non-ti-scrivo-perché-non-so-cosa-dire, ora-non-ho-voglia, domani-lo-faccio, basta-sono-offeso, con-te-non-gioco-più, che cosa ci resta?

Se non hai nemmeno la buona salute, che cosa resta?..

Restano le persone.

Quelle che danno al tuo viaggio un senso, e che rendono tutto quel non-ho-tempo prezioso come una gemma, perché senza di loro vivremmo in maniera diversa e, forse, avremmo poco da condividere di una preziosità senz’altro meno scintillante, a quel punto. Quelle che ti consigliano, che non sono mica facili da trovare. Quelle che ti ascoltano, che del genere discreto sono rare e se vuoi andare sul sicuro devi pagare lo psicoterapeuta.

Tutto è-importante? Allora nulla lo è.

Ci vorrebbe una scala, una bella scala di legno, magari dipinta di bianco che fa tanto prato in fiore e casa di campagna in primavera. E dovremmo usare questa scala come un contenitore dove riporre ciò che ci sta più a cuore. Magari sistemiamo tutto anche in ordine di importanza, in cima il nostro irrinunciabile, e via a scendere. Quanti lo-faccio-dopo e non-ho-tempo avete messo, e quante persone avete sistemato?

Prima tutto era importante, ora sulla scala avete dovuto dare un ordine.

Il mio prevede le persone.

E quando lo spazio si farà vuoto, prima o poi, non avrò rimpianto di non averci messo un si-è-fatto-tardi. Perché tanto queste espressioni il buco lo avrebbero lasciato comunque, o non si sarebbero presentate per occuparlo.

Resterebbe una cosa da fare, dopo aver ordinato correttamente i gradini da percorrere e coloro con i quali fare quei passi: tentare di reggere le persone per non farle cadere.

Mi dicono che sia vietato usare la colla e altri stratagemmi simili, potrebbero causare irritazione -dermatologica e umorale. No anche ai piedi inchiodati: è sconveniente. Ci sono dei sistemi magici, però,  ho sentito parlare di druidi, maghi e botteghe, roba da alchimisti, qualcuno racconta di amore, qualcuno di pazienza.. qualcuno di sordità.. ma forse quest’ultimo era un burlone 🙂

Ognuno deve trovare il suo metodo per poter creare la sua scala personale, che non è e non sarà mai meno verde di quella del vicino, prima di tutto perché è bianca e poi perché ci sono i nostri non-lo-so e i nostri pilastri. Tutta davvero farina del nostro sacco.

Adesso tocca a voi. Che scala vi fate?Io voglio quella senza gli avrei-potuto.

“E con le persone? So’ due etti signò, che faccio, lascio?” “Lasci lasci.. che le persone sono importanti.”

hug_by_lokaian