selfie da sotto, per una volta

Di questi anni cosa resta

di questi anni che cosa resta,

se questi ancora si svolgono con le loro carni lacere al fianco, cercando di nasconderne l’usura, la vergogna e gli errori.

di questi anni cosa resta,

sul tavolo del salotto mentre facciamo pranzo, e i telefoni si impossessano sempre di più delle nostre dita, il nuovo quoziente intellettivo globale sempre più in basso, la nostra capacità di pazienza sempre più stretta, con la sua voce sempre più in alto che cerca di giocare a fare la grossa.

di questi anni cosa resta, e cosa resterà di questi passi, passati a smontare le tende per lavarle, a pulire maniacalmente le mattonelle di casa, a lucidare le maniglie dei mobili. tutti gusti all’italiana, di cose che facevo da italiana, che tradivano, ogni volta, uno “sto male devo pensare”, che mi ricordano mia madre;

che mi ricordano che ho chiesto vacanze e non ho ancora comprato il biglietto. forse andrà solo lei, la piccola che questo anno se lo merita. e io, madre, vorrei che andasse, per farla tornare a volare;

che mi ricordano che non ho vacanze, non ho programma, e quel che c’era non c’è più. e anche se lo avessi, non si sentirebbe.

cosa resta di questi anni,

se la cara compagnia sparisce?

forse una rosa del deserto.

forse un impalpabile alito di vento.

forse una croce.

di questi anni che cosa resta,

di queste cene, di questi anni, di questi pomeriggi vuoti non apprezzati, e noi pellegrini andavamo a inseguire le onde per cercare anche solo una gioia, pur sapendo, che era effimera, solitaria, un po’ buia, dimessa, non caciarona, sorniona.

una gioia non dedicata; una gioia non attenta.

una gioia un po’ sbadata.

ma erano quei giorni, quei giorni che ti chiedevi che cosa facciamo, perché ci siamo, perché non chiami, perché non ami, perché non ci sono gli amici, perché non viene nessuno, perché sono tutti partiti, perché chi ti pensa non lo dice, perché chi lo dice te lo sbatte in faccia, con cattive intenzioni.

erano quei giorni, quei giorni in cui non ci sono i biscotti, e tu ti chiedi che fine hanno fatto. non sono pronta a perdere in biscotti. non sono pronta a perdere te.

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Che ti fa stare bene.

I colori.
L’aria calda del vento e dell’intimità.
La sensazione di stare facendo una cosa giusta.
La foto del cielo al tramonto.
Tu.
La delicatezza dell’essere.
Un palloncino che vola di mano in mano.
Il piumone.
I capelli che fluttuano nel sole.
Una scatola di pastelli.
Il mercato del sabato mattina.
Il crepitio del camino.
L’albero di Natale di notte.
Tè e biscotti.
La ricerca della paella senza pesce, che è come trovare un ago in un paglialio.
La spiaggia in città.
La spiaggia in città, impagabile.

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Venti

Twenty
I wish I were
20 years younger
I’m not interested in starting all over again
I’m not interested in hanging around with no reason
Thing is: life is running
Question is: am I running out of time?
I wish I were
20 years younger
At that time, you’re facing life
Mira, here’s your Future, boy
I wish I were
20 years younger with a better conscience
To make different choices
Choose different people
Watch people, and watch out
I wish I were
20 years younger to have fewer scars
all over the body
the brain
the alma
and the heart
I wish I were
20 years younger
to have the right to sit
and to cry whenever I want
accusing alcohol to be the butterfly effect
on my bad judgments

While being as I am
consents not to stay in the center
allows now to look from another perspective
You sit in the corner
You wait for nothing, possibly
You’re simply done with waiting in a Godot style:
promises, premises, bonuses, gentleness
You wait for yourself converging in one piece
You know you’re the only one responsible
It may happen you drop a line of liquid thoughts from the eyes 
to the ground
It will be just the expression of your inner self
needing a break
asking for a pause
begging for silence
yelling after the fall down – which will be
at the same time
the starting point.
How many starting points
have been built so far.
 
 
of_ashes_by_lostknightkg-dadjdpz

Ceneri

(photo credits: “Of ashes”, by Lostknightkg-dadjdpz)

 

Un foglio bianco.
Due argomenti.
Nessuno dei due affrontabile.
Una casa vuota.
Un cuore vuoto e pieno.
Una testa satura.
La certezza che qualcosa stia morendo.
La consapevolezza che qualcuno stia rinascendo.
C’è chi danza sulle mie ceneri.
Una nasce, dalle mie ceneri.
Uno campa delle mie ceneri.
Il grigio invecchia.
Una musica di sottofondo.
Mille notti solitarie.
Una vita solitaria, creata, voluta, non voluta.
I dadi a riposo.
Le scommesse finite.
Trenta mesi da lasciare andare.
Il buio dopo.
Il niente prima.
Il limbo ora.
L’attesa sempre.
Il silenzio comunque.
Le note tutte.
La vita mancata.
Il bacio, contatto sfumato.
Il cuore perso.
L’anima affogata.
La speranza flebile.
L’inesistente concretezza.
Il passato che non torna mai.
Il futuro non teorizzabile.
L’amore, cieco.
La polvere sparsa.
La terra che non riconosci.
Le unghie che cercano di aggrapparsi e scavare, bramando in un vuoto di plastica a pochi passi.
Due luci a pochi soldi.
L’infinito è tutto intorno.
“Dust and ashes”, by Flexdreams-da2er0y
displaced_by_larafairie

Vertigine

È un ricordo di una spilla da balia che carica anche un pezzo di pelle e la trapassa senza fermarsi, fino a fare uscire il sangue.

È uno spillo per diabetici per misurare l’insulina che ti buca l’unghia. È impossibile, dicono, però questo c’è riuscito.

È quel buco che ti fai al dito con la buca fogli e ne ricavi un tondo color di sangue rosso perfetto, e quella sua forma circolare.

È il dolore del rompersi una gamba, ed essere costretti a camminare perché non hai di che ripararti.

È uno sparo nel buio.

È uno sparo nella coscia, il sangue cola caldo, stringi forte, non riesci nemmeno a gridare.

È uno sconosciuto che improvvisamente ti strangola, e tu continui a chiederti perché non sei rimasto a casa.

È un buco dentro. Ha forma tonda, ti attraversa, ti buca l’intestino, non c’è – semplicemente – niente.

È il riscatto della vita. È il colpo al cuore, heart shot. Il subbuglio di un improvviso nervoso.

È un crescere lento dei pensieri, fino a che non ti invadono ogni ora e non pretendono che li ascolti, bussando alla porta delle tue orecchie, perché il cuore già ce l’ha un’opinione ma gli serve l’aiuto della testa. Che invece è altrove.

È una grande canna, fumata fino a rimettere le viscere, perché è troppo, la pressione è troppa, urlare non si può e tu sei compresso, e credi di esplodere. Bum.

Bum.

È un coltello a lama lavorata. Infilato lentamente nella carne delle budella e girato a torsione lenta, ma così lenta, che solleva ogni singolo lembo di pelle, sposta le carni, le stacca dai loro fili e dalle loro connessioni, affonda ancora, gira ancora, estirpa l’intestino, lo spacca a elica con quel suo movimento, lento, con il sangue che ricopre le ginocchia, ricopre il pavimento, ricopre le mani.

È un vomito. È un grido disperato senza fiato.

È una spinta violenta data al centro delle tue scapole mentre cadi in un burrone, di cui intravedi solo buio e spigoli, ma la parte che fa più male resta la spinta.

È la morte che ti sveglia e ti costringe alla vista eterna, appeso tirato per i capelli, ti costringe a guardare i momenti di bivio in cui hai fatto tutte le tue scelte. Perché la morte lo sa che sono quelli i momenti peggiori, e non la strada, no: proprio quel punto fermo. La morte ha stretto un patto con il diavolo per tutte le anime che si dannano di aver scelto male.

È la scelta che facciamo e come la usiamo. E a volte non è una scelta che facciamo, ma dobbiamo.

È devastante. È molto doloroso, fa male, accidenti se fa male.

È un proiettile in testa.

È un proiettile che ti squarcia un polmone.

È un groviglio di lamiere che ti spezza in più parti e ti incastra fino a soffocare.

È un nocciolo di ciliegia che va di traverso.

È una reazione allergica.

È incredibile, in-cro-ya-ble.

È l’adrenalina con tutta la sua follia.

È la follia di fare una scelta che abbia troppa adrenalina.

È il rovescio di tutte le medaglie, delle convinzioni e delle certezze.

È il dolore di stomaco quando bevi veleno.

È tossicodipendenza, e tu sei un drogato. Lo eri, lo sei, e lo sarai per sempre.

È tremendamente sentirsi vivi.

Photo credits: ‘Displaced’ by Lara Jade 

Cocktail_Umbrellas_p_3_by_meendee

Dolceinvita


               A un albergo in riva al mare,   
                  a una spiaggia poco trafficata, con cocktail serale,  
                           collane di fiori, luminarie di carta e musica suonata dal vivo          
                                  forse qualche orchestrina locale       
                                         piedi sulla sabbia,  ospiti intorno  
                                               profumo di fiori,  di salsedine, di caldo estivo
                                                 di grigliate di pesce                                             
                                                        di festa locale per i pochi avventori.



                                                         Alla sera, 
                                                   a un fiore tra i capelli,                      
                                                   un bicchiere tra le mani con una cannuccia lunga lunga,          
                                             una fragola intagliata nel bordo, tra granellini di zucchero       
                                         un cocktail a colori tra l’ananas e il cocco                               
                                      una interminabile risata                    
                        e il suo braccio mi avvolge la vita.



                     Alla testa che si inclina, 
                   alle note che si intrecciano nel tessuto dei vestiti,   
                       ogni rumore risuona in eco         
                         il mondo si allontana                
                       e noi balliamo         
                            mentre gli occhi, come geishe,  studiano pazientemente l’attesa del dopo.     

photo credits: Mendee, Cocktail umbrellas

uomo raggiunto da un raggio di luce nel buio

Voglio

una casa in campagna

un orto, con le mie verdure e la frutta, che poi vado a vendere al mercato

galline, un gallo. una mucca, pecore e capre. conigli. cavalli bianchi e uno nero. una vigna

una cucina come quelle dei castelli, enorme, con un piano di lavoro centrale grande come un letto a due piazze, e tanti paioli in rame.

un camino e un barbeque

l’arte di fare dolci di scena

un’amaca

una tinozza d’altri tempi dove lavarsi

una pompa in giardino con cui spruzzare d’acqua i bambini pieni di fango prima che entrino in casa

un pavimento in cotto

scale per le stanze da letto dei piani superiori

un salone delle feste come quello di una reggia, per fare ricevimenti

cani e gatti sotto lo stesso tetto

un loft a new york

una casa a valencia

la direzione della tate gallery

la proprietà di un’officina per artisti che diventano famosi solo perché stanno esponendo da me

un laboratorio creativo di nuove invenzioni pensate e messe in pratica fino ad oltre i limiti della creatività dei loro padroni

concept continui di rivoluzione dell’estetica per il gusto del brainstorming

cantare allo stadio olimpico e al royal albert hall mentre tutti i miei colleghi stanno lavorando per me

decidere di non fare un cazzo quando voglio

fare il medico

vivere in costume da bagno

mangiare messicano in messico

stare sdraiata tutto il giorno a bordo piscina

non avere bisogno di cibo

fare il bagno nuda quando nessuno mi vede

e fare il bagno di notte d’estate al mare

uscire sotto la pioggia estiva e bagnarmi, ridere di tutta l’acqua e fare una foto che immortali il momento

distruggere con l’acido le fotoricordo sbagliate impresse in maniera indelebile nella mente

bere vino rosso di buona qualità

avere una fornitura a vita di birra

guidare solo quando ne ho voglia, e una sportiva che corre, corre forte

attraversare la route 66

vivere a las vegas

visitare la nuova zelanda e fermarsi a fare colazione in australia

andare a vedere un igloo

urlare nel grand canyon fino a sentirmi rispondere

un mazzo di rose rosse

o anche bianche

fiori, già, fiori

rifare il viaggio in macchina io e mio zio, diretti non so dove ma vicini al cuore più che mai

andare al ristorante io e papà, non importa se non è una mangiata di pesce come quelle che mi aveva promesso che un giorno avremmo fatto

e non abbiamo mai potuto farlo

tornare indietro a un weekend fa

riavere le mie coccole e i miei abbracci

ridere

ma in fondo basterebbe sorridere, perché ridere è solo momentaneo mentre sorridere, quello è per sempre

dire a tutti quello che penso di loro senza preccuparmi della forma

fare tante partite a shangai e a memory

giocare a cluedo

avere mary poppins al mio servizio perché non ho voglia di mettere a posto la stanza

aprire scatole senza trovare nulla di rilevante o importante che abbia con sé un segno graffiante

non avere dolori sul viso

né occhi gonfi

avere un ristorante

anzi no, una locanda

anzi no, un piccolo albergo, con una cuoca brava e simpatica che sia anche mia amica, qualche stanza ben tenuta e curata nei piccoli dettagli, e qualche tavolo per pochi, dove servire pasti semplici ma gustosi

far vivere d’arte chi se lo merita, perché io non ho talenti, so solo ascoltare

aiutare chi ha bisogno di aiuto a credere nei propri sogni

le foto che ho avuto in promessa

avere risposte

un bastone al bisogno

una mano vicina

un’anima amica del mio cuore

un prato leggero su cui sdraiarmi

un venticello e le sue nuvole che formano disegni da indovinare

essere libera

dormire.

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Tradimenti.

Silenzi.

Frasi fatte.

Dubbi.

Situazioni a metà.

Girotondi.

Fraintendimenti.

Derisioni.

Antipatie.

Bugie.

Misteri.

Progetti nascosti.

Proposte.

Proposizioni.

Preposizioni.

Falsità.

Menefreghismo.

Superficialità.

Egoismo.

Mancanza di rispetto.

Intolleranza.

Presunzione.

Saccenza.

Cecità.

Arroganza.

Sorprese fredde.

Parole sbagliate, al momento sbagliato.

Stupore.

Gambe corte, stupore.

Stupore, tradimenti. 

E’ l’altro lato della medaglia.