new work by night

Cosa è successo in quasi un anno che non vi ho detto

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imbarazzante.

L’ultimo articolo è di giugno 2022, quasi un anno fa.

non basterebbe una pagina a raccontare tutte le cose che sono successe da allora.

a volte mi chiedo che lo pago a fare il dominio del mio blog se lo aggiorno due volte l’anno. mah.

cosa è successo nel frattempo non lo dico nemmeno. ma per fortuna che il tempo è qualcosa di relativo.

una nota degna di attenzione è il fatto che sto letteralmente girando il mondo da quando il 2023 è cominciato.

interessantissimo.

la parte migliore è l’introspezione che questo mega viaggio mi porta a fare.

incontro decine di persone ogni giorno, stringo mani di cui non ricordo il nome, mi sento una cantante in tour.

la parte neutra è la stanchezza fisica, l’accumulo di peso.

la parte peggiore è la difficoltà a costruirmi una vita privata.

e qui mi viene in mente solo una persona, l’unica con cui ho costruito davvero qualcosa, e con cui ci siamo lasciati andare.

ho detto che la parte migliore è l’introspezione.

in realtà, non è tutto.

sto esplorando il mondo.

sto vedendo alcuni dei posti che volevo vedere, e altri che non erano nemmeno in lista.

sto mettendo alla prova me stessa.

sto mettendo puntine sulla mappa, se ne avessi una. (quasi quasi me la compro).

ho abbracciato mia sorella, quella non tecnicamente biologica ma di connessione d’anima, che non posso vedere così spesso come voglio.

sto riempiendo il mio rullino.

sto valutando tutte le scelte che non ho fatto e che avrei potuto fare.

sto vivendo una vita di scoperte, di conoscenze, di sorprese, mappe della città, fotografie, memorie, racconti, amici diversi.

ho conosciuto un angelo custode di nome Pete.

ho fatto i conti con quella che sarebbe potuta essere la mia vita ma l’universo mi ha protetta.

ho corso a central park, e visitato la biblioteca nazionale di New York in un tour privato che non dimenticherò facilmente, a meno che non mi diano una botta in testa, e anche in quel caso non sono sicura che lo dimenticherei.

biblioteca nazionale new york

sto collezionando autoscatti di me runner nelle città più impensabili e inadatte.

ho scavato nel cuore un posto per nuove persone, e sto analizzando i buchi che ho conservato per gli altri.

ho visto come potrei ricominciare daccapo.

come mi mancherebbe il mio cibo, le mie abitudini, mia figlia, il mio dischetto di ovatta che mi pulisce la pelle la sera ed è sempre bianco no-matter-what.

e se state pensando come si fa a paragonare una figlia con un dischetto di ovatta, vi sta sfuggendo il senso di questo post.

tra poco sono in ripartenza.

andrò al caldo questa volta.

e pensare che questa è la vita che sognavo. sempre in viaggio. sempre alla scoperta del mondo.

cosa manca?

 

 

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La lingua dell’amore – Is Italian the language of love?

Perché ho messo un doppio titolo italiano-inglese, vi starete chiedendo.
Eeh. Nel post di oggi, succede una cosa strana.
C’è un’agenzia di traduzioni che si chiama Tomedes. Sono stata contattata da loro e, com’è come non è, viene fuori un’idea: “ti va se scriviamo un articolo per la Druida?”. “Certo!”, dico io, “molto volentieri. E su cosa lo vorreste fare questo articolo?”. “Beh”, dicono loro, “c’è Louise che dice se ti interessa un pezzo sulla lingua italiana e sull’amore”. Louise è la content manager di Tomedes.
Ora, chi mi legge da tanto lo sa: se c’è un argomento che la Druida tratta, quando parla di viaggio figurato, è proprio l’amore. Vi pare che io potessi rifiutare l’offerta?
Così, Louise ha scritto questo pezzo per voi, una piccola riflessione sulla lingua italiana abbinata all’amore.
L’articolo è in inglese, spero possiate capirlo tutti. Altrimenti, vi ricordo che sul lato destro della pagina c’è un menu a tendina con l’opzione “traduci”.
L’aspetto che mi ha colpita di più leggendo l’articolo, quando mi è arrivato, è proprio il modo in cui gli stranieri ci vedono: c’è una lunga storia dietro la nostra lingua elaborata. Alle loro orecchie, quando parliamo suoniamo come una melodia. Per la precisione, una delle più romantiche e sexy del mondo.
Scrive Louise: “Quando si tratta di amore e romanticismo, l’italiano ha una serie impressionante di frasi che non possono che deliziare”.
Dunque, italiani: dichiarate il vostro amore straniero e fatevi sotto! 😉

Is Italian the language of love?

Beauty is not just in the eye of the beholder, but also the ear – and there are few languages that sound more beautiful than the flow of softly spoken Italian.
It is fitting, then, that all languages classed as ‘Romance’ languages have evolved from the vernacular of ancient Rome. However, while many languages have evolved naturally over time, Italian has undergone something of a unique process. This has led to its reputation as the ‘language of love’ with many linguists around the world, as well as with listeners who don’t even speak Italian themselves.

Shaping the language of love

Giovanni Boldini (1842-1931), “Serenata”

Languages evolve over time in many different ways. In Italy, the country’s greatest writers, musicians and poets helped the process along. Their influence shaped the style and vocabulary of Italian over the centuries, until it evolved into the melodic tongue that we know today.

Often, these creatives focused on the beauty of the way the language sounded as they shaped the language to suit the whims of their muses. Many, such as Adriano Banchieri, crossed and mixed the various disciplines of the arts in their quest for linguistic perfection. Banchieri was not only a composer, but also an organist and a poet. As founder of the Accademia dei Floridi in Bologna, his influence over the Italian language was significant. The same can be said of many of Italy’s most famous musicians and poets throughout history.
Perhaps the greatest linguistic influencer as Dante Alighieri, author of the Divine Comedy. Instead of writing in Latin, as was widely done by the educated elite back in the 13th and 14th centuries, Dante wrote in his native Tuscan dialect. The eloquence of his poetry was so beautiful that he has been seen as a champion of the vernacular ever since.
This unique linguistic development process, with so much attention paid to the beauty of the sound, has given contemporary Italian a particularly lyrical flow, which speaks of love and romance even to those who don’t understand what is being said.
This is most often apparent in the reactions of non-Italian speakers to visiting the opera. The combination of musical and linguistic beauty – blended with big storylines that tend to focus on matters of love, death, passion and loss – is enough to reduce many to tears, despite their understanding not a single word of the lyrics to which they are listening.

The actual language of love

When it comes to love and romance, Italian also has an impressive array of phrases, all of which trip lyrically off the tongue. The sheer sound of these expressions cannot help but delight.
Let’s consider the Italian for “I love you, my darling,” which translates to “Ti amo, mio tesoro,” compared with its equivalent in German: “Ich liebe dich, mein Schatz.” Even without understanding the translation, the Italian simply sounds more romantic – it is a language to make the heart melt!
Other beautifully lyrical Italian phrases for those declaring their love include:
  • Sei il grande amore della mia vita – you are the love of my life
  • Voglio soltanto te – I want only you
  • Non posso vivere senza te – I can’t live without you
  • Ti penso ogni giorno – I think about you every day
  • Sei la mia anima gemella – you are my soul mate
  • Nei tuoi occhi c’è il cielo – heaven is in your eyes
Each possesses a poetic charm with which few other languages can compete.
Modern-day Italian remains a beguiling and captivating tongue, drawing the listener in and evoking a powerful emotive response. Those who don’t understand the words understand something deeper and more beautiful: the language of love that speaks directly to the soul.
Author bio
Louise Taylor is the content manager for translation agencyTomedes
Gennaio 2018
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Le interviste della Druida: note sul paradiso e Roberto Stanzani

Per la prima volta sul blog ospito un’intervista.
Oddio, veramente era un po’ che pensavo di inserire questa sezione, facendo due chiacchiere con voi sul tema del viaggio e argomenti vari. Tra questo po’ e l’oggi, è successo nel frattempo che sono stata contattata da Roberto Stanzani, autore del libro Eden, Trova il tuo Paradiso Terrestre.
In breve:
Ho letto il libro.
Ho deciso che dovevo assolutamente condividerlo con voi.
Perché?
Perché questo libro non è solo un manuale per scegliere il proprio paradiso personale, come dice Roberto, ma una sorta di enciclopedia miniaturizzata.
Perché chi ha voglia di viaggiare e non può permetterselo, farà il giro del mondo in 500 pagine.
Perché chi farà questo giro del mondo virtuale, non lo farà da turista ma da viaggiatore.
Perché chi ha sete di conoscenza, troverà i dati che cerca.
Perché chi vuole andare via e non sa da dove cominciare, potrà trovare qualche idea.
Perché chi ha figli in età scolare, potrà appioppargli questo tomo e dire “tiè, figlio, studia qui che ci sta il ripasso della roba che fai a scuola” (“o che dovresti fare”).
Così, un lieve giorno di ottobre, in un sabato che tutto aveva tranne che del pigro e stanco fine settimana, ho chiesto le seguenti cose a Roberto.
(Sono le ore 16. Vorrei aggiungere che, sullo sfondo della nostra chiamata skype, dietro di me c’è una fantastica libreria che ospita pile di mie carte, bicchieri da vino, sale e pepe; dietro Roberto, c’è la campagna emiliana illuminata dal sole, lui è in maglia di cotone e un signore passeggia stancamente. Cose che noti, quando tu ti trovi nella terra della pioggia a vento.)
 
Roberto, la prima domanda che mi viene in mente, guardando la copertina del tuo libro, è questa: ci sono due autori, ma tu sei l’interfaccia ufficiale. Qual è il rapporto tra te e il secondo autore, Sergio Senesi?
Sergio è un ingegnere, un mio ex collega di lavoro. Mi ha supportato sia dal punto di vista organizzativo che emotivo perché l’opera è molto articolata e lunga, ha richiesto una approfondita ricerca di dati e grazie a lui sono riuscito a organizzare le scadenze necessarie per ordinare il materiale e portare a compimento il libro.

Io ho una versione del libro che è la 2.0. La prima edizione di quando è?
La prima è uscita tra il 2013 e il 2014; ora la abbiamo aggiornata perché è la natura stessa del libro che lo richiede. Ci sono dati raccolti da organizzazioni internazionali come l’ONU, la NASA, l’ESA, che cambiano a seconda dei rilevamenti ufficiali.
 
Chi ha parlato di voi, finora?
Turisti Per Caso, Caboto, siti del mondo dell’espatrio come Italians In Fuga e Voglio Vivere Così.
 
E ora siete anche su I Viaggi Della Druida. Info per chi vi legge: in quante lingue esiste il vostro libro e quanto costa?

C’è anche in inglese, con il titolo di “Paradise Found At Last”; costa €9,99, per offrire a tutti la possibilità di accedere ai dati che abbiamo raccolto.

 

Lui è l’autore del libro. In versione estiva nell’Oceano 🙂
Parliamo di questo. Arrivata alla fine della lettura mi sono detta “ok, come faccio a mettere insieme tutti i dati per capire qual è il mio paese ideale?” Poi ho scoperto che ci sono le mappe sovrapponibili. Fantastiche!
Vero, sono molto utili. Sono mappe visualizzabili su computer, oppure cartacee in formato A3. Si sovrappongono attraverso una mappa trasparente e in questo modo puoi selezionare o cancellare di volta in volta gli Stati che ti interessano di più, in base ai parametri che avrai trovato nel libro. Comunque, alla fine di ogni capitolo ci sono già delle mappe mondiali riassuntive per argomento.
 
Perché ti è venuta in mente l’idea di questo libro?
Mi è venuta in mente nel 2009, quando c’è stato il terremoto a L’Aquila. Ho iniziato a chiedermi se ci fosse un paese del mondo senza pericolo sismico. Ho fatto una prima ricerca e ho trovato la mappa mondiale del rischio sismico. Da quel primo argomento sono passato ad altri e, dopo un po’, mi sono accorto che stavo raccogliendo davvero tanto materiale, e questo materiale poteva interessare non solo me. Così, ho pensato di renderlo fruibile a tutti. Ne è venuta fuori un’opera di 500 pagine.
 
Quindi hai fatto questa ricerca solo spinto da una sorta di curiosità iniziale? O c’era una volontà di espatriare?
C’era comunque una volontà di espatriare. Non volevo vivere in un paese dove esiste il pericolo che mi cada il tetto sulla testa.
 
Però sei ancora in Italia.
In realtà ci sono parzialmente: vivo all’estero con la mia famiglia e alcuni mesi all’anno sono anche in Italia.
 
E quale paradiso hai scelto?
Preferisco non risponderti perché non voglio influenzare il ragionamento degli altri! Ti dico solo che il paese che ho scelto è solo quello che più si adatta alle mie esigenze personali e professionali.
 
Che lavoro fai? Te lo chiedo perché il materiale contenuto nel tuo libro e la sua rielaborazione richiedono delle competenze specialistiche; ogni capitolo è approfondito come se tu avessi una laurea in quella materia, o come se ti fossi consultato con un tecnico del settore.
Io sono uno stylist engineer e sì, in effetti è stato proprio così: ci ho messo circa 3 anni a scrivere tutto quanto. Anni durante i quali ho contattato varie personalità e scienziati.
 
Ho visto che hai contattato anche la NASA.
Già, ma vuoi sapere cosa mi ha stupito, in tutto questo? Tu scrivi e le organizzazioni importanti rispondono. Mentre, in Italia, scrivi a una e non ricevi feedback.
 
Quando hai contattato i vari specialisti avevi già una casa editrice?
Assolutamente no. Avevo solo l’idea, li ho contattati come privato e ho raccontato quella. Ho spiegato quello che stavo per fare. Si sono dimostrati tutti interessati e disponibili e mi hanno fornito i dati corretti.
 
Chi è diventata la tua casa editrice?
Nessuna, il libro è ancora autoprodotto ed è in formato e-book. Le case editrici che avevo contattato all’inizio mi dissero che il lavoro era ottimo ma molto grafico, quindi avrebbe richiesto una stampa a colori che avrebbe fatto lievitare il prezzo, per questo non se ne fece nulla. Vendiamo su Amazon e iTunes.
 
Roberto in versione invernale
Parliamo di come è strutturato il libro. Lo avete diviso in “fasi del viaggio”. Cosa significano?
Abbiamo cercato di raggruppare i temi secondo famiglie di argomenti. La prima fase è di geofisica: si parla di uragani, terremoti, climi… abbiamo 27 climi, lo sapevi?
 
Lo ho scoperto leggendo il libro, eheh!
Tutti quei climi significano che ognuno è davvero libero di scegliere secondo le proprie preferenze. Per dirti altri argomenti del libro, la seconda fase è l’analisi economica, quindi stipendi, disoccupazione, tasse, fare business all’estero, autosufficienza energetica; la terza fase è anima e corpo, cioè guerre, fumatori, alcool e droghe, malattie. La quarta è dedicata a istruzione ed educazione, internet e sistemi sanitari. La quinta e ultima riguarda i diritti umani, quindi informazione e giornalismo, religioni, differenze di genere. Poi c’è una fase extra: i paesi più belli e le oasi naturali.
 
Non vuoi dire dove vivi per non condizionare il lettore, ma nel libro c’è un capitolo dedicato ai paesi belli. Sono belli in base al Patrimonio Unesco?
Sono belli in base all’interesse che suscitano dal punto di vista estetico e culturale partendo dal Patrimonio Unesco, perché questa ci sembrava l’unica raccolta sensata di bellezze paesaggistiche e culturali. Alla fine, progettando il libro, abbiamo dovuto tradurre su carta un pensiero e per farlo ci servivano dei parametri riconosciuti come oggettivi a livello mondiale.
 
Ecco, a proposito di tradurre su carta un pensiero: avete trattato un contenuto estremamente tecnico con un linguaggio molto evocativo, oserei dire quasi romanzato. Perché questa scelta?
Volevamo dare una forma narrativa a un manuale super tecnico per renderlo più piacevole da leggere. Il viaggio non è solo una costruzione di dati.
 
Se il viaggio non è solo una costruzione di dati, perché c’è una sezione dedicata al rapporto numerico tra donne e uomini?
Perché penso che questo sia un argomento che uno prende comunque in considerazione, anche se magari ufficialmente non si dice!
 
I paesi sono 196 vero?
In realtà sono 197 con il Vaticano, ma scegliere quest’ultimo come proprio Eden ci sembrava strano da immaginare, come concetto…
 
Avete anche un capitolo dedicato alle malattie, abbiamo detto. Che tipo di analisi avete fatto in questo caso?
Abbiamo tenuto in considerazione solo le malattie endemiche e infettive, che potenzialmente spaventano chi si sta spostando in un determinato posto. Volevamo concentrarci sulle patologie legate esclusivamente alla geografia del territorio.
 
Dopo la pubblicazione del libro, avrete ricevuto messaggi da parte dei lettori. Che idea vi siete fatti? Cerchiamo tutti il paese che ci esponga a meno pericoli?
Siamo tutti diversi… Perfino questi parametri non sono uguali.
 
Quindi non c’è un tratto comune che hai riscontrato, che muove ogni trasferimento?
No. Ad eccezione delle persone che si trasferiscono senza fare una vera ricerca e che scelgono il paese che va di moda in quel determinato periodo.
 
Ho un’ultima domanda: se diventi ricco con questo libro, ti licenzi e cambi paese?
Uhm… Il mio lavoro è anche divertente, quindi magari no. Facendo il designer, guardo un foglio bianco e penso a cosa ne potrà venire fuori: è come tornare bambini ogni volta.
 
È così che hai fatto il libro? Hai visto dei fogli bianchi e hai detto lo realizzo?
Eheh, sì. Il libro è stato realmente progettato come un prodotto ingegneristico.
 
Grazie Roberto, per il libro e per il tuo tempo. Buona fortuna!

 

Grazie a te, a presto!
Questa è la copertina del libro di cui abbiamo parlato fino ad ora.
Per i curiosi, il sito internet è qui.
Giacomo Del Colle Lauri Volpi in scena con Van Gogh La Discesa Infinita

FCO – AMS: in volo sulle note della musica

Io un compositore di musica classica non lo avevo ancora conosciuto.

Ho studiato violino, strimpello il pianoforte (i tecnici mi perdonino per la bassezza del mio modo di esprimermi), ho conosciuto musicisti di ogni genere musicale, ma il compositore di classica davvero, davvero, mi mancava.

La cosa bella è che questa intervista è arrivata in modo casuale.

Ero andata ad Amsterdam, a vedere uno spettacolo a teatro: ‘Van Gogh, la discesa infinita’. Una pièce teatrale tratta dal libro di Giordano Bruno Guerri, messa in scena da Paola Veneto e con un cast di attori che sembrano usciti dal libro di storia dell’arte.

Giacomo musica il tutto.

Per farla breve: mi sono innamorata di quello che ho visto, ne ho scritto una recensione, ho contattato la crew, e com’è come non è mi sono ritrovata con Giacomo, di fronte a una birra, con il suo amico e socio Marco Cucco che in tutto questo vive ad Amsterdam, seduti al Bar Lebowski di Utrecht.

Eh sì, esiste un Bar Lebowski.

Ok. Facciamo che tu ti presenti e mi dici chi sei e cosa fai.

Ok. Faccio il compositore di musica classica, da 12 anni. Ho lavorato in RAI, ho cominciato sonorizzando la televisione, cioè documentari e spettacoli tv. Poi ho fatto pubblicità con Antongiulio Frulio, ero il suo assistente. Quando lui è andato negli Stati Uniti, io sono rimasto a Roma, in un giro che ormai cominciavo a conoscere bene. Lavoravo già con la computer music, in un’epoca in cui non esistevano software campionati, quindi capisci che la scelta della Produzione era pagare un sacco di soldi a un’orchestra vera, o dare a me un decimo del budget. I primi anni ho lavorato davvero molto.

Questo era quello che volevi fare da grande?

Sì, assolutamente. Anche se tutto è un’evoluzione, man mano che vai avanti scopri nuovi punti di arrivo.

Compositore di classica, hai detto. Cosa hai studiato?

Ho un diploma di composizione e flauto traverso al Conservatorio di Santa Cecilia.

Tu vivi e lavori a Roma?

Anche, sì.

Hai mai pensato a trasferirti definitivamente?

Eehh… Intanto devi tenere conto che mia madre è spagnola, per me il concetto di doppia nazione è normale. Nel 2008 ho pensato di andare a vivere in Spagna ma, per una serie di circostanze indipendenti da me, non lo ho più fatto. Fino ad adesso sono rimasto a Roma e al momento, con Spettro Sonoro, il progetto che condivido con Marco, stiamo collaborando con Sky, anche se Marco è già fisso in Olanda; ma riusciamo a gestire i lavori.

Va sempre tutto liscio? Non si risente della crisi?
Alcuni periodi si fatica un po’. Al momento non potrei farmi una famiglia: io ho 36 anni, è un’età in cui cominci a pensare anche a queste cose.

E questo non è un incentivo a trasferirsi?

Assolutamente sì! Ho pianificato regolarmente evasioni stile Fuga da Alcatraz, ma alla fine succedeva sempre qualcosa che mi tratteneva in Italia. C’era sempre qualcosa da fare, o da lasciare.

Hai detto che alcuni periodi si fatica un po’. Come si affronta il possibile buio che compare all’orizzonte?

Nei momenti morti, componi comunque. Ma per te stesso. Setacci un aspetto interiore della musica.

C’è una tecnica che si segue per comporre, o si va a sensazione?

C’è una tecnica. Ma la musica sta cambiando, c’è una tecnica precisa a seconda delle varie cose: dipende da quello che devi fare. Se componi per te, l’impresa più stimolante è che la tecnica te la cerchi tu. Per esempio, se vuoi fare un pezzo sui semafori di Utrecht, decidi di sonorizzare verdi, gialli, rossi… ma è una roba tua, sarà difficile da vendere.

Suona tutto come molto tecnico. Come vedi il rapporto tra il linguaggio della musica e quello della matematica?

La matematica è la parte preponderante. Nel futuro io mi immagino a collaborare nelle università, come ricercatore, a stipulare un programma che funziona in suoni sul DNA.

E poi che ci fai?
Niente, lo tengo per me.

Parliamo del motivo per cui ci troviamo qui io e te in questo istante. Come sei arrivato a comporre Van Gogh?

Cerco di riassumerti la storia. Giordano Bruno Guerri scrive il libro “Follia? Vita di Vincent Van Gogh”, dove sviluppa una tesi parallela a quella ufficiale, ossia che Van Gogh non fosse folle ma si fingesse tale per avere i mezzi per continuare a dipingere. Paola Veneto decide di fare promozione al libro, mettendo in scena una pièce teatrale. Contatta, allora, Alessandro Parise. Siamo nel 2009. Alessandro mi chiama, perché in scena serve un musicista.

Un incontro casuale di anime.

Sì. Abbiamo cominciato facendo prove, tentativi. Non avevamo fondi, solo un pianoforte. Ci siamo messi tutti insieme a leggere il libro e a sottolineare i punti che dovevano essere maggiormente valorizzati secondo Paola, che è sì la regista, ma ci ha sempre lasciato carta bianca nell’interpretazione. Quindi lo spettacolo è nato un po’ così: con pezzi che erano bozze da libreria fissate sull’hard disk, bozze come quelle scritte nei famosi momenti no, di cui parlavamo prima. Avevo un Maestro che diceva “la musica è come il maiale, non si butta via nulla”.

Il tuo Maestro a quanto pare aveva ragione. I linguaggi della comunicazione sono decisamente imprevedibili. E anche la storia di questo spettacolo lo è: se ho capito bene, è nato come attività promozionale e a distanza di 8 anni ancora gira.

Sì, ha avuto un successo inaspettato. Abbiamo girato palchi importanti, siamo andati anche a “Cortina Incontra”.

E perché lo offrite ancora in maniera gratuita?

Lo spettacolo è rimasto a titolo gratuito per rispettare il motivo originale, cioè la promozione del libro. Ma poi ci piace tantissimo tutto quello che si è creato, e anche il gruppo di lavoro, la storia stessa. Alcune date le abbiamo fatte senza percepire compenso.

Van Gogh è cambiato, nel corso del tempo, vero?

Van Gogh è cambiato tre volte. Il nocciolo duro è Paola-Giordano-Alessandro-io.

Perché Van Gogh è cambiato?

Perché come dice Marco, il mio socio, il protagonista muore alla fine della rappresentazione, ahah! Il Vincent attuale, Antonio Gargiulo, sembra il Vincent vero, è impressionante. Lo ha chiamato sempre Alessandro.

Ora che avete girato per Amsterdam, è capitato che qualcuno fermasse Antonio o lo guardasse incuriosito?

Di base no, perché lui si confonde bene con gli olandesi, sembra uno di loro. Ma c’è stato un momento in cui siamo passati accanto a un negozio con alcune forme di formaggio che avevano il viso di Van Gogh, lui si è messo vicino al formaggio per farsi una foto e alcune persone si sono fermate per fare una foto a lui e al formaggio!

Perché questo spettacolo viene fatto ancora, a distanza di quasi 10 anni?

Perché ci piace farlo. Anche se ognuno di noi ha un altro lavoro, quindi riusciamo a riunirci solo ogni tanto. Ma questa volta è stata diversa.

Perché?

Forse perché all’estero non ci eravamo mai esibiti. Ed eravamo pure nella terra di origine di Van Gogh. Tutte quelle frasi, le pagine di libro, le battute di scena, le stavamo vedendo nel loro contesto naturale. Avevano una potenza diversa. Per la prima volta abbiamo potuto dire “andiamo a vedere dal vivo le terre in cui Vincent ha vissuto”.

Deve essere stato emozionante.

Lo è stato. Eravamo anche stremati fisicamente. Abbiamo avuto una giornata lunga, non abbiamo dormito per le 24 ore precedenti alla rappresentazione. Sono successe cose per le quali uno direbbe “hey: che situazione ostile”.

“Hey che situazione ostile”: e certo, chi non lo direbbe?

Fa molto western, ahah… Abbiamo anche una chat di gruppo, che si chiama “Van Gogh ad Amsterdam”.

Beh, da spettatrice, ti posso dire che quelle emozioni le avete comunicate tutte. Mischiando note, parole, sentimento, luci, danza e volti difficili da dimenticare.

Grazie!

No, grazie a voi. È stato un piacere scoprirvi, e spero di rivedervi di nuovo all’opera.

Il piacere è stato nostro, di esserci potuti esibire ad Amsterdam. Tra l’altro, una città che si è rivelata di grande ispirazione.

Io Amsterdam ormai la conosco da un po’ e so quanta ispirazione può dare.

Ma in questo caso, ciò che mi ha ispirata insieme a tutto il resto è stata la musica di Giacomo.

C’è un piccolo assaggio di quello che ha prodotto, un brano di due minuti che lui mi ha gentilmente concesso in utilizzo per la recensione che ho scritto sullo spettacolo: lo trovate qui, se volete ascoltare qualche nota. Davvero ve lo consiglio.

 

Ps. Volete sapere com’è andato il resto dell’intervista e cos’altro ci siamo detti con lui e con Marco, il suo socio? Cliccate qui.

foto Paola Ragnoli e Giacomo Del Colle Lauri Volpi insiemeUna versione estiva di me e Giacomo a Roma, nel mitico Bar Vanni. I sorrisi hanno abbagliato la camera, per questo la foto è venuta sfocata.

 

 

Paola Ragnoli - The Dots Connection - intervista Claudio Lauria - 2017 (5)

Viaggiatori del mondo: spunti e punti di osservazione

L’attore è uno strano mestiere.

Puoi trovarti davanti di tutto: comici, burloni, gente con voce impostata che nemmeno Carmelo Bene; saltimbanchi, facce da psicodrammoni, facce da soap-operas, talenti sprecati e montati incapaci.

L’attore è uno che mi chiedo sempre “ma come fai a viverci? Pensa quanto è bravo a simulare le bugie in casa – ‘amore, quanto mi ami?’ ‘tanto amore mio, tanto più del mio cuore’. Potrei mai credere a un fidanzato che recita di mestiere?”

Forse questa è una domanda buona per Vanina, la fidanzata di Claudio.

Claudio è Claudio Lauria, attore italiano in Argentina, con all’attivo cose varie e sparse in tv e non, in Italia e non, che – al momento in cui scrivo – è in giro per il mondo a presentare il suo spettacolo Shakespeare 401.

Il momento in cui scrivo è luglio 2017.

Come sono arrivata a Claudio?

Un giorno di gennaio, Claudio si presenta in un gruppo di italiani residenti in Olanda, annunciando il suo arrivo a giugno.

Leggo il messaggio.

Guardo la foto.

Apprendo che è di Roma.

Fatta.

“Quando arriva è mio, lo intervisto.”

Gli scrivo.

È un bellissimo e caldo tardo pomeriggio di giugno. Nella sede olandese del Patronato Acli, i raggi del sole filtrano attraverso le grandi vetrate della sala ai piani alti. Abbiamo 50 minuti a disposizione, prima che il mio ospite cominci a prepararsi per lo spettacolo.

La mitica Vanina (già mi sta simpatica, ha tutta la mia solidarietà femminile) è seduta accanto a noi.

Ci fa un po’ di foto.

Ora dovrei farle la domanda su com’è essere fidanzate ad un attore. Mentre ci penso, Claudio esordisce: “Che bella la vita! Dai… ready!”

 

 

 

 

 

 

Cos’è che hai detto? “Che bella la vita”? Perché?

Perché già parlare con un sole così ti dà voglia di vivere! E poi io sto vivendo un piccolo sogno: avere il piacere di fare uno spettacolo totalmente scritto da me, ideato da me, regia e recitazione mia, in Argentina e in altre nazioni… ora sono qui, tra un’ora e mezzo vado in scena, il pubblico sta arrivando, e ci sei tu che mi aspetti per l’intervista!

Grazie! Dai, Dimmi qualcosa di più di Shakespeare 401.

È una pièce teatrale in tre lingue: italiano, inglese e spagnolo. Ho scritto tutti i testi. Parlo di Otello, di Romeo e Giulietta, cerco di raccontare Shakespeare e di portare il teatro alla mia maniera. Mi piace il genere brillante, attraverso il quale parlare di temi seri e importanti. Sono partito da Buenos Aires e lo sto portando dal Perù a New York, all’Europa, all’Asia, per chiudere con l’Australia.

Dai quanto tempo fai l’attore?

Ho cominciato in Italia tanti anni fa, quando ero giovanissimo. Ho fatto molta gavetta; non ho frequentato scuole, sono autodidatta.

Quando hai lasciato Roma?

Nel 2002, avevo 28 anni.

Tu hai viaggiato un sacco.

Per 12 anni.

In quali paesi hai vissuto?

Inghilterra, Palestina, Israele, Egitto, Giordania, Olanda e Brasile.

Palestina e Israele perché?
Sono andato come volontario. All’epoca in cui mi sono avvicinato a questa idea, vivevo a Londra, avevo un lavoro normale, una vita dal ritmo tipico inglese. Ho conosciuto un gruppo di persone in partenza per fare i volontari in Palestina. Mi hanno incuriosito. Mi sono avvicinato a quel mondo facendo volontariato nelle carceri inglesi. Alla fine ho ricontattato quel gruppo.

L’Argentina come è arrivata?

È arrivata tra l’Olanda e il Brasile. È stata la prima nazione che ho visitato una volta arrivato in Sud America; mi è subito piaciuta e ho deciso di fermarmi lì per un po’. Ma volevo ancora vedere il Brasile…

E cosa hai fatto?

Il Brasile era il mio mito, capisci? Il calcio degli anni ‘80, i bambini con il pallone sulla spiaggia… sono partito e ci sono rimasto per un anno.

Fammi capire. Il Brasile era il tuo mito ma vivi in Argentina. Per caso, ti ha deluso?

…Un pochini-ni-ni-ni-no sì…! Buenos Aires è meglio di Rio, per me. In Argentina ho trovato persone aperte, socievoli, con un valore dell’amicizia molto forte. In Brasile questo non è mai successo, non c’è lo stesso sentimento.

Se dovessi fare un confronto tra i vari paesi in cui hai vissuto e lavorato, pensi che potremmo identificare a grandi linee le persone a seconda del luogo d’origine? Cioè, che analisi sociale fai dei paesi che hai attraversato?

È bella questa domanda, perché io mi sono sempre divertito a farmela da solo. Ti posso dire questo. Dove c’è stato il cattolicesimo c’è più indisciplina, meno rigore, meno rispetto per le regole in generale. Al Nord Europa innegabilmente le persone sono più rispettose: si rispettano orari, promesse, regole. A livello di amicizie, però, è meno facile che la gente ti apra le porte di casa. Mentre il Medio Oriente è l’apoteosi dei sentimenti. Il popolo palestinese è il più affettuoso che io abbia conosciuto, forse pure troppo, al punto che tu non sei più libero di dire no. Per esempio, quando lavoravo lì e dovevo tornare a casa, una strada di 50 metri la percorrevo in 8 ore, e non è come modo di dire, intendo 8 ore sul serio, perché ogni 10 metri c’era una casa dove qualcuno ti obbligava a prendere il tè! Non potevi rifiutare. L’Israele è simile alla Palestina, ma la cosa è un po’ meno pressante.

foto intervista Paola Ragnoli Claudio Lauria

 

 

 

 

 

 

Senti Claudio, perché viaggi tanto?

Viaggiavo tanto.

Naa, lo stai facendo ancora, hai solo trovato una scusa professionale…

Allora diciamo che prima giravo per vivere la mia gioventù.

Cosa cercavi?

Cercavo di vivere i sogni che avevo, come andare a vedere i bambini giocare a pallone sulla spiaggia brasiliana. O andare a vedere l’Australia… quest’anno lo faccio, con lo spettacolo! In Brasile, però, mi sono reso conto che tutto ciò che stavo cercando da tempo, in realtà, lo avevo trovato: era in Argentina. Per questo sono rientrato a Buenos Aires e ci sono rimasto la bellezza di 7 anni, senza mai muovermi dalla città. Penso di aver avuto un rifiuto del viaggio, giunto a quel punto della vita. Ma poi c’è anche da dire che arriva un’età biologica in cui le esigenze sono diverse, e gli ultimi quattro anni la priorità è diventata il lavoro. Tre anni fa ho conosciuto Vanina. Viviamo insieme e lei ogni tanto mi segue nei tour, come sta facendo in alcune date di Shakespeare 401.

Come fai a integrarti in tutte le culture che affronti ogni volta, c’è un segreto?

Evitare italiani sempre! Battute a parte… Non ho nulla contro gli italiani, intendiamoci. Intendo dire che cercare di evitare connazionali aiuta ad integrarsi meglio o, almeno, prima.

Ma non ti manca casa? Anzi: qual è casa?

Eh… casa… Buenos Aires. Ma sento anche molta attrazione per New York. Ogni volta che ci vado, c’è quel richiamo…

La città che ti ha stimolato di più a livello creativo e culturale qual è?

Rischio di essere ripetitivo, ma… Buenos Aires! C’è grande vita culturale, lì. Loro preferiscono andare a teatro piuttosto che comprarsi un pantalone. Anche Londra e New York sono molto fervide.

Amsterdam no? Dicono tutti che sia molto ricca.

Davvero?

Almeno in ambito europeo, viene vista come ricca di stimoli.

A me non ha mai stimolato quanto Londra, per esempio. Ma è una mia opinione personale.

Ci mancherebbe, tutto quello che diciamo è sempre filtrato da un’opinione personale. Sono solo curiosa di sapere quali posti trovi stimolanti per la creatività, tu che ne hai visti tanti.

Trovo molto attive Milano, Berlino e Parigi. Ho parlato con diversi attori ad Amsterdam e lì il teatro non è poi così sviluppato, da parte degli attori ma anche da parte del pubblico, ad eccezione del musical. Il teatro sembra quasi una roba da amatori.

Perché fai questo mestiere, Claudio? Cosa vuoi comunicare?

Voglio condividere con gli altri la mia visione della vita e della politica. Per esempio: io non condivido l’idea che il politico sia visto quasi come un dio, un referente unico non criticabile che considera il popolo di sua appartenenza, e il popolo di rimando smette di notare le mancanze e si sofferma solo sulle poche cose che vengono fatte, come se non avesse il diritto di chiedere.

Quindi il tuo è un messaggio sociale?

Sì, assolutamente.

Comunicheresti la stessa cosa anche se non facessi l’attore?

Sì, tutto quello che ti sto dicendo è ciò che faccio e che dico anche quando sono giù dal palco.

Ma tu sei così come tutti ti vedono, o ci sono lati di te che non vengono fuori?

Beh, ovviamente c’è una parte di me che non metto in mostra. In generale, io sono ciò che faccio vedere, sono spontaneo. Alcune parti non escono non perché io le voglia nascondere: semplicemente, fa male a me tirarle fuori. Ad esempio, non mi piace essere uno che si lamenta. Se mi è accaduta una vicenda spiacevole e poco dopo ho una serata con amici, non vado a dire cosa mi è successo… credo che non dobbiamo ammorbarci a vicenda. Poi torno a casa e parlo con la mia compagna. C’è momento e momento per condividere le cose.

Come comunichi ciò che fai?

Scrivo su Facebook e sul mio blog. Al momento, sto pubblicando anche il resoconto del mio spettacolo itinerante.

Hai un sito?

Sì, ma preferisco Facebook. Mi permette di connettermi con la gente.

Claudio, ci rivedremo?
Lo spero!

Magari ti vedrò in una telenovela argentina.

Quisaz…

L’attore è forse uno dei mestieri che si presta meglio a dare un contorno alla comunicazione.

Unisco questo ai viaggi e alle lingue straniere, e ho il prototipo perfetto di intervistato.

Io che mi occupo di comunicazione, e che scrivo di viaggio in larghezza, che ho The Dots da una parte e I Viaggi Della Druida all’altra, trovo in Claudio e nella sua vita la combo perfetta per analisi e domande.

Certo, mi resta un dubbio: come si vive tutti i giorni con un attore?
Uhm.

Devo farmi dare da Claudio il numero di Vanina.

(Video promozionale realizzato da Claudio per la tv argentina. Ragazzi, per 30 secondi mi sono sentita una diva.)