(201211080038)
Chi resta può dimenticare più in fretta perché è già nella sua casa.
Chi parte ha invece il tempo di pensare e di restare da solo.
Niente compagnia che aiuta.
Differenze dei punti di vista.
in viaggio tra Firenze e Roma.
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(201211080038)
Chi resta può dimenticare più in fretta perché è già nella sua casa.
Chi parte ha invece il tempo di pensare e di restare da solo.
Niente compagnia che aiuta.
Differenze dei punti di vista.
in viaggio tra Firenze e Roma.
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(201203120830)
Al binario 5, c’era una storia.
Dico c’era, perché diverse cose sono cambiate, da allora.
E’ passato molto tempo da quello scatto; la foto me la fece una ragazza, all’epoca mia grandissima amica. E’ cambiato anche quello.
Era l’inizio di una mattina senza troppo freddo, non ricordo nemmeno il periodo esatto. Ho una vaga ombra solo dello stato d’animo che mi accompagnava. A dispetto della risata che si vede, ero tristissima. Oserei dire quasi morta dentro, se non fosse che non si può essere morti se si stanno provando dei sentimenti, e ‘tristissima’ è uno di questi.
Però una parte di me era del tutto spenta, e l’altra stava andando a male. Avevo deciso di consumarmi per un amore del tutto sbagliato, o farei meglio a dire per ciò che credevo essere un amore, perché quando le cose non sono giuste, e tu sai che non sono giuste, non dovresti parlare d’amore; piuttosto, di desiderio di riscatto, di bisogno di non dichiarare un fallimento, di voglia di rivincita su te stesso e sul destino.
Ma non è mai colpa del destino. Quello fa la strada che fa.
Non voglio aprire un capitolo sul vero significato degli amori sbagliati. Come in tutte le storie, ci sono eccezioni, e non è adesso la sede per questo discorso. La sede di stasera è il binario 6, quello dove attendevo il mio treno, e nella foto ci è uscito il binario 5.
Non sarà stato un caso. Un altro binario, diverso dal treno che stavo aspettando. Un’altra strada.
Se potessimo aprire gli occhi in tempo per risparmiarci tante pene e sofferenze.. ma sono convinta che ogni cosa accada sempre al suo giusto tempo. Se non lasciamo cadere qualcosa, più che probabilmente non siamo pronti a farlo. Non ci abbiamo preso sufficienti batoste, o non abbiamo abbastanza autostima di noi stessi, anche questa è una possibile interpretazione. Le storie sono piene di possibili interpretazioni. L’angolo dalle quali le osserviamo ci permette solo di vederne una o due sfumature, ma dobbiamo sempre fare i conti con l’essenza che si trova dietro ciò che appare.
Per questo, penso che dobbiamo imparare ad ascoltare. Gli altri, le parole, le azioni -perché sì, si ascoltano anche le azioni-, il nostro cuore, e questo lo dico sempre, per chi mi legge abitualmente non è una novità.
In fondo, noi lo sappiamo se stiamo commettendo una leggerezza oppure no; se una persona ci sta facendo soffrire, o se invece ci fa del bene. Se ci andiamo d’accordo e c’è intesa, o se siamo solo preoccupati dei giudizi del mondo e della paura del poi. Ma con la paura del poi non si va da nessuna parte; a volte nemmeno sul binario sbagliato.
No, con la paura del poi non si parte proprio.
A renderci ciechi ci pensa il terrore verso il punto finale, o verso quello che crediamo essere il punto finale. Che forse è: la proiezione delle nostre paure . la mancanza di coraggio . l’incapacità di assumersi responsabilità . il desiderio di restare Peter Pan . il pensiero dell’altro.
Ah, questo è uno degli errori più comuni.
Ci sostituiamo al pensiero dell’altro.
Stabiliamo una conclusione sulla base dei film mentali che ci facciamo.
E troppo spesso non è così.
E’ quando smettiamo di capirlo che, di colpo, la nostra vita migliora.
Io ho cambiato binario. Il 5 è diventato somma e sottrazione insieme degli errori commessi e del percorso da prendere, quello che vedevo ma che negavo a me stessa.
Ci sarebbe un mondo di cui parlare, da quel tempo ad oggi. Un mondo fatto di intrecci e storie che nemmeno vi immaginate. Un mondo ai limiti del surreale, che da solo varrebbe la trama di un libro, e che non è detto si sia ancora concluso.
Ma non è il finale quello che conta.
Quello che conta, non è dove pensi di arrivare, ma cosa provi mentre vai.
Una volta assunto questo, la parte migliore viene da sé.
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(201110021900)
Voglio raccontarvi di quei baci alla stazione, delle foto ricordo. Degli sconosciuti infiltrati nei ricordi di tanti altri, dei frammenti di vita immortalati in promesse, su pellicola destinata a sfumare. Degli abbracci in sala d’attesa, e dei saluti gridati al binario rincorrendo un finestrino opaco in movimento. Dei sorrisi lanciati dal predellino, di quei ciao sommessi a fior di labbra, come ventriloqui, mentre un velo di tristezza appanna gli occhi. Degli scambi di sguardi da film muto, delle piccole e grandi lacrime versate, una volta a bordo, o una volta soli sulla banchina. Dei paesaggi osservati dall’oblò, mischiati alla texture di pensieri sui momenti appena vissuti, o al resuming di una vita, quasi come se ogni volta fosse un bilancio. Delle attese per la prossima occasione. Dei minuti interminabili che precedono la separazione, o della contentezza che precede la partenza. Dell’eternavoglia di muoversi, e acquietarsi, in braccia calde e rassicuranti, una ricarica di vita breve ma intensa. Della voglia di portare la ricarica con sé per un viaggio perpetuo. Della voglia di vivere. In una lingua straniera, in un tramonto, in un sorriso.
Scritto il 2 ottobre, alle 19:00, sulla pensilina della stazione di Venezia.
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photo credits: Robert Doisneau, Il bacio
(201109072242)
Milano, 5 am.
Un tassista in anticipo di 20 minuti.
Due ore di sonno, che non ce la fai nemmeno a fare colazione nell’unico bar aperto.
Il treno che partirà ancora in oscurità, tu che ci dormirai a bordo.
O tu che ciondolerai in stazione nell’attesa si faccia giorno.
Buio ovunque che non distingui le strade, ma forse nemmeno le conosci, il tassista potrebbe fare il giro che vuole.
Il tassametro che scorre da quella quasi mezz’ora prima.
Tu che ruzzoli giù dal letto in tutta fretta, sentendo il rumore del motore.
Questa canzone a guidare il tragitto.
Riuscire a trovare in macchina un motivo per ridacchiare, è qualcosa che ti cambierà la prospettiva di tutta la giornata. Il colore delle strade. Il caffè del risveglio. Il traffico lento. Il buon buongiorno.
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Oggi ero qui. Per caso. Anche quando non scelgo di andarci, devo farlo. A volte mi pare di viverci, in questo posto. E’ tutto così familiare, il dlin dlon, la voce degli annunci, le facce da bar. Non che sia un male, intendiamoci. Il male è non potersi mettere di fronte al tabellone, puntare il dito a caso e dire ‘oggi si va qui’. O il male è non poter prendere il treno che dico io ogni volta che ne ho voglia o ce n’è bisogno. O è non potermi permettere qualche giorno fuori con un amico, o un anno fuori da casa. O forse è solo un momento. Un momento di inquietudine. Un momento molto lungo.
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