druida-covid-ritratto

Druida pandemica

Mezz’ora per trovare un titolo a questo breve pezzo. Meh.

Lo so che è luglio e siete impegnati con le vacanze.

Probabilmente sarete anche al mare, o a farvi un aperitivo da qualche parte.

Sicuramente sarete a godervi il sole, se siete in un posto baciato da questa grazia.

Ma mi conoscete, e sapete come sono fatta. Quanto più vi state rilassando, tanto più vi arriva la mia considerazione del giorno. E questo accade perché la Druida vive in versione scritta solo nel mio tempo libero. Ma questa è un’altra storia.

Insomma, la questione è che, tempo fa, ho creato questo sito:

(cliccarci sopra, prego)

covidpatientsnotrecovered .

Ho deciso di inverstirci soldi, tempo e anima, perché la salute ce la ho già messa, a riguardo. E sto cercando di sensibilizzare quante più persone.

Lo sto pubblicizzando come Druida, perché da qui già mi conoscete, e mi è più facile farmi leggere e spingere più lontano la mia voce.

Credo che questa sia una delle imprese più impossibili in cui mi sia imbarcata nella mia intera vita. Ma continuo lo stesso.

Anche se fa caldo ed è vacanza, la gente sta male.

Le frontiere sono chiuse, le famiglie sono spaccate, i sintomi non sono spariti.

Solo, non li vedete perché si parla di altro. Giustamente, perché la vita va avanti.

Fantascienza o realtà, pantomima o meno, questa è la vita che migliaia di persone stanno vivendo.

Per colpa di chi o che cosa non si sa, ma poco ti interessa questa cosa a un certo punto, quando stai male.

Non voglio cominciare a interessere polemiche, o discorsi politici o complicati. Mi interessa solo mostrarvi la verità; aprire una finestra su un mondo che vi hanno detto che esiste, ma che in buona parte non avete mai toccato, e forse dubitate pure che ci sia mai stato.

Il mio mestiere qui è mostrare, usando le armi che conosco. So scrivere; uso le parole.

Il sito è in inglese, perché il Covid è una patologia mondiale, e il sostegno che vuole offrire va oltre i confini. Almeno questo può prendere il volo senza gli aerei.

Se siete stati vittima del virus, o se conoscete qualcuno che lo è stato, potete aiutare gli altri a sentirsi meno soli.

Potete condividere la vostra storia, da pazienti o da amici/famigliari.

Potete condividere il sito.

Questo sito qui: covidpatientsnotrecovered

Sarebbe un bel gesto.

Detto da qualcuno che ha cercato per mesi queste informazioni e questo appoggio, e alla fine ha pensato di costruirlo per gli altri.

Qualunque sia la vostra scelta, vi ringrazio per essere arrivati a leggere fino a questo punto.

Speriamo che tutto questo abbia una fine, un giorno.

Ciao e, comunque, grazie.

attacco-2Ba-2Butrecht.jpg

Attacco a Utrecht

Non è proprio un pezzo che avrei voluto far entrare nel mio blog.

Ma il mio viaggio è anche questo, quindi mettiamocelo.

Sì, vivo a Utrecht.

In realtà non ci sto h24, mi sposto continuamente, e in particolare staziono a Schiphol, l’aeroporto di Amsterdam, per cui no, non è facile sapere dove mi trovi esattamente se non si è parte attiva della mia vita.

Però sì, vivo a Utrecht.

Sì, la piccola U è un posto tranquillo, di quelli da fiaba.

No, nessuno se lo aspettava.

Sì, so di che zona si tratta.

C’è la scuola di mia figlia, là dietro.

Sì, conosco quella linea di tram, è quella che lei prende ogni tanto per andare a lezione.

Sì, ogni tanto la prendo anche io, dipende da quel che ho da fare.

Sì, avremmo potuto esserci.

No, quel giorno mia figlia non era a scuola e io non ero sul tram.

Io stavo dormendo. Sono stata svegliata gentilmente, in un soffice tentativo di non farmi agitare.

No, non ha funzionato al 100% ma eravamo tutti al sicuro, per cui sì, alla fine il tentativo è andato decentemente.

Sì, ho pensato come sarebbe stato, se qualcosa fosse stato diverso quel giorno.

Ho pensato alle fatalità, a come esci la mattina inconsapevole di come tu stia andando incontro al tuo destino.

Sì, sono rimasta ferma, ho avuto molte difficoltà a riaddormentarmi.

Sì, ho cercato di rispondere a tutti i messaggi che mi arrivavano, in un tempo ragionevole.

Sì, alcuni mi hanno stupito.

Sì, alcuni sono mancati.

Sì, trovi il tempo di fare anche questo tipo di riflessioni se la circostanza te lo permette.

No, l’esito delle suddette riflessioni non mi interessa più di tanto alla fine, non è niente che si discosti dall’andamento della mia vita reale.

Sì, la percezione delle cose ti cambia.

Sì, il giorno dopo esci e cammini in modo strano, ma il problema è riuscire, è svegliarsi il giorno dopo.

Io dovevo uscire dopo qualche ora, e sì lo ho fatto e mi sono forzata, perché dovevo andare al lavoro e volevo un po’ di normalità.

Sì, la routine quotidiana aiuta.

No, non smetti di tornare con la mente a quelle circostanze.

Sì, resti in stato catatonico per un po’. Un bel po’.

No, non credo di conoscere qualcuna delle vittime o dei feriti. Ma non ne sono sicura, non sono riuscita a trovare un elenco di nomi.

Sì, mia madre è meglio della BBC e aveva degli aggiornamenti che nemmeno io che ero sul posto.

Una giornalista RAI mi ha chiamato per avere informazioni. Avrei dovuto darle il telefono di mia madre, ora che ci penso. Giornalista che tanto lo so che mi stai leggendo, senti lei la prossima volta.

No, non mi sento una miracolata.

Mi sento attaccata.

Non mi sento protetta.

Mi sento nuda.

Non che ci sia da stare allegri in questo mondo, ma come detto la piccola U è solamente la piccola U: una innocua cittadina, così esposta che sembra un po’ la parte fessa in una relazione di coppia.

No, non mi sogno niente la notte.

Sì, ci penso costantemente di giorno.

No, non c’è nessun movente personale.

Sì, la pista terroristica è quella quasi confermata.

Sì, c’è ancora il ‘quasi’.

No, non c’è stata nessuna rivendicazione ufficiale.

No, in effetti non serve.

No, non è più o meno grave degli altri solo perché c’erano solo una decina di persone coinvolte, è disgustoso uguale.

Il numero di vite non cambia niente.

No, non ho la televisione in casa, quindi non so come i media stanno trattando la cosa.

Leggo i siti dei quotidiani e le agenzie giornalistiche locali e internazionali.

No, non mi sento sbagliata per questo.

È stata organizzata una marcia per oggi, venerdì 22 marzo 2019, questo è il percorso:

Il quadratino a destra, cioè l’inizio, è la stazione. Quello tratteggiato è il percorso della marcia, che è il percorso del tram.

No, non ci vado.

No, non vi spiego perché.

Sì, sono bene organizzati in Olanda.

Per esempio, ci sono avvisi che ti arrivano sul telefono in caso di unità di crisi.

Sì, sono in olandese, ma d’altra parte sono avvisi governativi, non è che si possono metterli a tradurre, problemi tuoi se hai scelto di vivere in una nazione di cui non capisci la lingua.

Gli annunci possono essere inviati a livello nazionale o locale. Questo qui è stato spedito a chi si trovava ad Utrecht.

Sì, è un avviso riguardo l’attentato e dice di non andare in quel quartiere.

Sì, parlo un po’ olandese per chi se lo fosse perso.

Sì, sì, è una figata.

No, non devi fare richieste particolari per avere questi avvisi, il telefono ti viene configurato in automatico appena possiedi un numero olandese. Ogni tre mesi c’è una prova generale di allarme, partono le sirene di lunedì alle 12 per un minuto per tutte le città. Se sei nuovo, ti vibra il telefono e ti si configura (quasi tutti i modelli).

Sì, il telefono fa un gran bordello in caso di allarme.

Sì, ci piace questo sistema di protezione.

No, non capita spesso, direi davvero raramente.

No, non ho altro da aggiungere.

Sì, ho utilizzato la funzione di Facebook per far sapere che ero in salvo.

Sì, mi sono chiesta se davvero interessasse alla gente.

Sì, quel giorno è stato assurdo, finto, irreale.

Sì, sono più consapevole che la vita è un soffio.

Sì, ho tutte le intenzioni di vivermela.

24 Oktoberplein, Utrecht, 18 Marzo 2019.
In memoria. 

Andrew Buchanan

Terremoto

– Ore 19:16 –

C’è un sole caldo dalle parti di Bologna. O almeno questo è quello che appare dal finestrino del mio treno. Finalmente stiamo uscendo dai tunnel di gallerie che separano la bella Firenze dalla devastata Emilia. I raggi mi colpiscono negli occhi. “Sembra che faccia estate”, potrebbero dire i pensieri dei miei vicini. “Chissà se qualcuno stacca gli occhi dallo schermo del computer o del cellulare”, dicono invece i miei.

A guardare le dolci colline illuminate e rifrangenti, si fa fatica a pensare che solo qualche ora fa ci sia stata l’ennesima, forte scossa di terremoto.

– Ore 19:27 –
Siamo fermi da 5 interminabili minuti all’ingresso della stazione di Bologna, quando finalmente ricominciamo a muoverci. Il piccolo stop è sufficiente per far scattare il clic nei passeggeri, cominciano a parlare del tu dov’eri stamattina alle nove, mia mamma l’ha sentita, speriamo che smetta. Si pensa sempre alla mamma, in certi casi. In certi casi, il tuo primo pensiero corre a ciò che hai di più importante nella vita e che davvero non vorresti perdere, e solitamente tutto questo si traduce negli affetti, non ho mai sentito nessuno pensare alla banca o alla posta. Ragioni seriamente in termini di ‘come se dovessi morire’, quando davvero la sfiori, quella normalità di vita: la normalità della morte, che nessuno vuole mai accettare.

– Ore 19:34 –
Non ho capito se siamo in ritardo. Mi guardo intorno. Cerco le tracce di qualcosa. Mi aspetto un solco profondo, ferite evidenti, sono alla ricerca di un particolare che mi possa far dire “ecco, l’ho visto”. Ma non vedo nulla. Magari alcune pietre disossate, ma chissà se erano già lì da prima. Chissà se sono come le rughe dei volti che fisso, questa gente che percorre le banchine e legge i cartelloni delle partenze, che oggi è stata smottata e ribaltata ed ora, dopo essere andata a mille all’interno del cuore, sta camminando come se nulla fosse, a normale velocità. Quella che non ha il mio treno. Siamo appena usciti da Bologna, e già inchiodiamo di botto.

– Ore 19:59 –
E alle diciannoveecinquantanove tocchiamo i trecento chilometri orari.

– Ore 20:05 –
Sono partita per raggiungere il mio amore. Ho approfittato di una vacanza e ho prenotato il treno un mese fa. Poi uno dice che non crede al destino. Un mese fa, mi ero chiesta se partire lunedì; ci avevo pensato per ben cinque minuti ed alla fine avevo optato per il martedì. Ieri sera, con qualche ora di anticipo sull’effetto sorpresa, ho comunicato al mio amore che lo avrei raggiunto, e stamattina, nel suo consueto messaggio di buongiorno, lui ci ha inserito un “Luca si è svegliato con una scossa”.
Mi sarebbe bastato il “buon buongiorno, amor mio”.
Non era per niente l’sms romantico che immaginavo per la giornata sorpresa, e sono rimasta tutto il giorno come una scema ad avere paura.
Ho pensato a scenari apocalittici.
Ho pensato a mia figlia, lontana e da sola nel centro Italia.
Ho pensato che era veramente da stupidi ed incoscienti viaggiare proprio oggi per il Nord.
Ho pensato che siamo impotenti, che non abbiamo nulla da dire, che soprattutto non abbiamo nessun diritto di dire; nessun diritto di ragionare per se stessi, quando molto è crollato e tu hai la sedia al riparo.
Ho pensato che non potrei sopportare di perdere mia figlia, ed ho pensato che volevo stare nelle braccia del mio amore. Come se lui mi mettesse al sicuro.
E ho preso questo treno.
Chissà se stanotte ci saranno altre scosse, ma tra poco più di mezz’ora arrivo.

Porto dieci minuti di ritardo.

30 Maggio 2012

Amnesty_International_-_It_Happens_When_Nobody_Is_Watching

Il silenzio delle donne

Questa era una campagna affissioni di Amnesty International di qualche anno fa. La telecamera che vedete era vera, registrava i movimenti delle persone e modificava le immagini.

C’è stato un momento storico in cui siamo stati capaci di grandi battaglie. Quando il mondo non ci piaceva, ci siamo alzati e abbiamo urlato a gran voce di essere ascoltati. Lo abbiamo fatto in Italia, lo abbiamo fatto all’estero. Abbiamo avuto il supporto dei giornalisti, delle telecamere, dei politici, delle classi dirigenti.
Ci siamo scandalizzati, indignati, abbiamo pianto, reagito, camminato, manifestato, scioperato.
Ci siamo crocifissi in nome dell’uguaglianza dei diritti e delle dignità di vivere ed essere liberi. Abbiamo fatto il ’68, abbiamo combattuto per il divorzio, per l’aborto, per la democrazia. Abbiamo chiesto di essere governati nel rispetto del voto che abbiamo dato.

Abbiamo chiesto parità dei sessi. Che è stata interpretata malissimo da certe donne, e malissimo da certi uomini. L’uguaglianza che abbiamo invocato si è trasformata in un atteggiamento aggressivo -definito, malamente, ‘femminista’- da parte di donne che hanno giocato a fare gli uomini ed a mettersi i pantaloni, cambiando le gonne in tailleurs restrittivi.
Non mi pare che abbiamo ottenuto molto.

La parità non è questa.

La parità dovrebbe essere data dal fatto che possiamo fare il chirurgo, il magistrato, il direttore di giornale, il responsabile di partito, il capitano d’industria.

La parità non è cucinare stirare e lavare i piatti in due, portare la giacca in due, fare a pugni in due.

La parità dovrebbe essere data dalla libertà di uscire e girare per le strade senza paura.

Ecco, io non mi sento affatto libera.

Io ho paura di uscire e di far uscire mia figlia, e come me molte altre donne, che non vogliono rientrare a casa la notte da sole, e a volte non vogliono girare nemmeno di giorno da sole.

Vi faccio un piccolo elenco di casi umani recenti, estratto scelto che vi invito a leggere, perché sarà il caso che vediate in un colpo solo che cosa sta accadendo:

– il 30 novembre 2011 un uomo uccide suo figlio di 3 anni, mettendolo in lavatrice per punirlo perché il bambino si è comportato male all’asilo;

– il 17 gennaio 2012 un uomo uccide la moglie di 33 anni facendo passare la morte della donna come un tentativo di rapina finito male, dopo che –complici i suoi amici- tenta l’occultamento di cadavere ma viene scoperto dai vicini di casa;

– sempre il 17 gennaio una ragazza di 24 anni viene rapita, stuprata e poi arsa viva (non si sa mai, magari le veniva in mente di parlare);

– il 4 febbraio una donna di 50 anni è violentata a casa sua, durante una rapina;

– il 12 febbraio una ragazza di 20 anni è stuprata e lasciata nella neve – riporterà 48 punti di sutura, le ricostruiranno anche l’apparato digerente, l’avvocato difensore del violentatore dichiarerà che si è trattato di un rapporto amoroso consensuale;

– il 29 febbraio un uomo viene arrestato per aver massacrato di botte una donna di 53 anni – ancora sconosciuti i motivi;

– l’11 marzo un uomo ubriaco suona in una casa di sconosciuti, picchia il giovane che gli apre la porta, entra e violenta la donna di 36 anni che sta dormendo all’interno;

– il 14 marzo un uomo di 77 anni colpisce la moglie a martellate, staccandole una parte di orecchio;

– ancora il 14 marzo una ragazza è violentata al distributore automatico delle sigarette, di fronte agli occhi della sua amica che invece riesce a scappare e a dare l’allarme;

– sempre il 14 marzo viene resa pubblica la notizia di una ragazzina di 13 anni costretta ad avere rapporti sessuali con 2 quattordicenni, alla presenza di altri 3 tredicenni;

– il 16 marzo una donna di 47 anni è stuprata in un parco, di mattina;

– sempre il 16 marzo una ragazza di 22 anni viene presa a martellate dal suo convivente, il quale, già che c’è, uccide anche il bambino di lei, di anni 2;

– il 18 marzo una ragazza di 18 anni è prima picchiata e poi gettata dal ponte dal suo ex fidanzato, che proprio non si rassegnava alla fine della loro storia d’amore.

Basta così.

Non so voi ma io non riesco più ad andare avanti con l’elenco, né a rileggerlo, né a tollerarlo.

Per questo ne scrivo qui, una volta per tutte, in giorni in cui al telegiornale non ve lo stanno dicendo, affinché ognuno faccia ciò che è nel proprio potere e nella propria coscienza.

Non si tratta di stranieri o italiani, non si tratta di maschi contro femmine. È indubbio che ci sono donne violente, così come però è indubbio che gli uomini lo sono in misura maggiore.

Ne scrivo qui e mi appello a voi che leggete, perché è intollerabile dire che siamo in un mondo difficile, che queste cose ci sono sempre state e che noi non possiamo fare nulla. Non è vero che non possiamo fare nulla.

Possiamo alzarci e indignarci seriamente. Possiamo chiedere ai nostri compagni di aiutarci, di schierarsi con noi, di scendere in piazza, firmare un foglio, fare protesta fuori dal Parlamento.
Possiamo chiedere ai politici di prendersi in carico queste lotte così come si sono fatti carico di votare la legge sull’aborto.

Possiamo pretendere il rispetto della dignità umana, perché dopo una violenza, sia essa psicologica o fisica, la mente di una donna si appanna e le viene strappata ogni voglia di sorridere.

Ma anche il silenzio gliela leva. Il silenzio, le teste abbassate, la mancata condivisione di notizie come quelle riportate – non ce ne facciamo nulla della vostra solidarietà privata, se non la sbandierate pubblicamente.

Possiamo chiedere alle donne che hanno notorietà e potere in questo paese di dire qualcosa, qualcosa che non sia SOLO ‘basta alle vallette donne oggetto in tv’, ma qualcosa che sia ANCHE  basta alle donne oggetto.

Possiamo chiedere a tutti i creativi, i comunicatori, i pubblicitari, di cambiare linguaggio di vendita e smettere di incitare continuamente ai doppi sensi. Il consumatore non è certo scemo, ma se non ricordo male la pubblicità dovrebbe fare leva sui bisogni o, in alternativa, crearli.
Perfino i comici, una volta, facevano ridere senza volgarità. Oggi pare che, senza parolacce, non si possa andare in onda.

E quindi: che ognuno faccia la sua parte, per favore. Penso che questo possiamo chiederlo.

Perché le donne sono anche le vostre, i bambini sono anche i vostri.
Se vi indignate per cinque minuti e poi tornate al vostro silenzio, non siete diversi da chi ha tentato di stuprarci ieri e tenterà di farlo domani.

E statisticamente, in qualsiasi forma, prima o poi potrebbe toccare a ognuno di voi.

palco vasco rossi

Incidente con morto per il palco della Pausini

– Il silenzio di Facebook –

Partiamo dalla foto che vedete sopra.

E’ un particolare di un palco di Vasco. Imponente, non trovate?

Da stamattina ho scritto e cancellato almeno tre status nella mia pagina personale di facebook. Guardo e riguardo la foto di Matteo, leggo i commenti che mi vengono scritti, noto la scarsa partecipazione della comunità e mi dico che non trovo le parole adatte.

Mentre scrivo, ci sono un paio di feriti in ospedale, di cui uno in gravi condizioni.

Dove siamo: a Reggio Calabria, durante il montaggio del palco del concerto di Laura Pausini.

La foto del palco di Vasco la ho messa solo per darvi un’immagine fissa di dove ci si arrampichi quando si lavora a un concerto.

Matteo era un rigger. Vi spiego cosa fa un rigger: è il tizio che si arrampica in cima alle impalcature e appende cose.

I rigger sono pochi, come forse potete immaginare. Hanno conoscenza, esperienza, prestanza fisica, si caricano di pesi e salgono, salgono, salgono. Non è infrequente scoprire che sono scalatori, nel tempo libero.

Prima dei rigger, ci sono altre figure incaricate di montare la ‘base’ del palco, diciamo così. Di questi, un bel numero è a rotazione continua, tanti sono ragazzi universitari o stranieri in cerca di lavoretti e di qualche spicciolo, per turni anche di 20 ore di lavoro continuo.

Cosa è successo durante il montaggio del palco della Pausini?

Boh.

Un cedimento del parquet, dovuto ad un vuoto sotto al pavimento. Una struttura ospitante inadatta. Riduzione del budget per mancanza di fondi. Materiale montato smontato e rimontato continuamente. Riduzione del budget per avidità. Mania di grandezza per mostrare palchi sempre più accattivanti. Modifica dei prospetti per aumentare il numero di posti a sedere da tutte le angolazioni del palco.

Si sta cercando di capire.

Non voglio aprire un dibattito sul ruolo di promoters, organizzatori, artisti, della fatica fisica che accompagna il vostro divertimento, oggi non è il caso.

Voglio parlare della piazza che resta.

Dovete immaginare i vari social networks, in particolare facebook, come una grande piazza di paese, o l’ingresso della vostra scuola superiore; un luogo di quelli dove ci si incontra con la comitiva. Ognuno ha i suoi argomenti preferiti, le sue opinioni, i suoi gusti, il suo modo di esprimersi. Se tizio sceglie di parlare di politica e caio dell’arbitro cornuto, non è che uno sia meglio di un altro, sono solo caratteri ed interessi che emergono.

Poi ci sono quegli argomenti che ogni tanto attirano l’attenzione di tutti. Io con Matteo ho lavorato, quindi è chiaro che ciò che tocca me potrebbe non interessare voi. Non avevo mai lavorato con Francesco, morto a Trieste durante la costruzione del palco di Jovanotti, ma mi ha toccato lo stesso perché la produzione dei concerti è un lavoro che svolgo da molto tempo.

Qualcuno ha scritto che Matteo poteva cadere dall’impalcatura dietro casa e nessuno avrebbe alzato tutto questo polverone  e che, quando capita, capita.

Rispetto questa affermazione.

E mi chiedo:

1) Quando capita, capita? Prego? E no. Non deve capitare.

2) Quale polverone? Il polverone è stato alzato per Jovanotti, questa morte invece non è stata recepita dall’utenza media. Matteo è diventato normale.

Ma Matteo era normale. Era sconosciuto, come l’operaio che vi ha messo le piastrelle nel bagno, come l’idraulico che vi ha aggiustato la lavatrice, come me che a volte ho allestito camerini ed a volte ho contato e gestito una per una tutte le persone che lavoravano ad un concerto.

Per favore, non trattate Matteo come un personaggio famoso di cui non si hanno canzoni da linkare o, peggio ancora, come una notizia già sentita. Lui dovrebbe essere una questione di tutti. Come le specie animali in via di estinzione, la natura che viene bruciata, le tasse che paghiamo, la crisi del lavoro, l’inutile ed incombente 8 marzo.

Ricordiamo Matteo per parlare del poco investimento sulla sicurezza nel lavoro, piuttosto.

Ricordiamolo per parlare dei morti che cadono dall’impalcatura di casa vostra.

Ricordiamolo per parlare di tutti quelli che lavorano in condizioni estreme, in qualunque settore, che prendono 6 euro l’ora ed ai quali si chiede uguale formazione specialistica, che vengono mandati allo sbaraglio dalle ditte nella più totale approssimazione, senza caschetto di protezione, senza scarpe antinfortunistica, senza corde, che vengono spediti sulla neve con i furgoni senza catene né gomme termiche.

Ricordiamo Matteo per parlare dell’avidità che fa risparmiare soldi sui materiali, per evidenziare lo scarso interesse a volte presente nei confronti della vita dei lavoratori: “finché non succede qualcosa nel mio cantiere, chissenefrega”.

Ricordiamo Matteo per guardare ogni tanto oltre il nostro cantiere perché, se uno cade, è come un domino: è facile che dopo cadano tutti. Conosco uno che fa proprio questo di mestiere, sicurezza sul lavoro, e che mi ha detto che non gli interessa affiancare un suo dipendente in un apprendistato, se le cose non le sa sono problemi suoi.

Ecco, ricordiamo Matteo per ricordare l’esistenza di certi individui.

A parlare di lui per chiedere più sicurezza e meno speculazione nell’ambito degli eventi, ed a piangerlo come persona, ci pensiamo noi.

Voi ricordatelo affinché le prossime vittime abbiano sempre meno nomi.

Ed affiancatelo agli altri discorsi che ogni giorno scegliete di fare.

PERCHE’ IL DIRITTO AD UN LAVORO DIGNITOSO RIGUARDA TUTTI.

5 Marzo 2012

Shweyga Mullah

Nuova Libia

Questo è quanto accade.

La signorina Shweyga Mullah, che vedete qui sopra, è una dipendente del signor Hannibal Gheddafi, uno dei figli del Colonnello. (Sorvoliamo sul nome di battesimo.)

E’ la tata di casa, ed è stata bruciata con acqua bollente perché si è rifiutata di picchiare la bimba, rea di piangere incessantemente. (Chissà come mai piange sempre.)

Dopo il ricovero in ospedale, al rientro in casa i coniugi la hanno riassunta, ma non pagata, senza vitto e senza alloggio. Con la minaccia al resto dello staff di non aiutarla, pena la stessa sorte.

Adesso Shweyga aspira solo a tornare in ospedale, per avere almeno un tetto sulla testa.

Giudicate voi.

http://www.youtube.com/watch?v=xHTZMaQt0zY

Settembre 2011

palloncino giallo con scritta 'Life'

Se si muore d’aborto a 16 anni

La notizia è di oggi. Una ragazzina portoghese di 16 anni è morta in seguito all’assunzione della Ru486, la cosiddetta pillola abortiva. A scatenare lo shock mortale è stato il Clostridium Sordellii.

Allora, oggi facciamo un po’ di medicina. La facciamo in termini semplici, che chiunque potrà capire.

Il clostridium è un batterio che comprende tantissime specie, alcune sono causa di gravi reazioni; tanto per farvi capire in quale territorio ci muoviamo, parliamo di botulino, tetano, gangrena dei tessuti.

La specie ‘sordellii’ può far parte della flora intestinale e vaginale.

Il mifepristone è uno steroide, ed è la sostanza principale della pillola abortiva.

L’idea dei medici è che, quando assumiamo la Ru486, le tossine prodotte da questa specie di batterio possano interagire con la pillola, e possano portare ad un’infezione violenta del tratto genitale, con un probabile conseguente shock tossico fulminante e fatale.

Vi sembra tutto un po’ vago, immagino. Il motivo è che non ci sono posizioni ufficiali definitive in merito alla pillola abortiva. Quello che sappiamo per certo è che, da quando questa sostanza è stata autorizzata qualche anno fa, sono morte 32 donne. Quello che sappiamo è che in Italia la pillola abortiva è stata introdotta definitivamente nel 2009, con l’obbligo di assunzione in ospedale. Quello che ci è stato spiegato è che si tratta di un’alternativa al temuto intervento chirurgico; che i rischi ci sono, ma sono minori rispetto all’aborto tradizionale; non tutti sono d’accordo sulla somministrazione di una terapia antibiotica preventiva e alla fine dei conti, poiché il rischio di sepsi è raro, questa procedura si può ritenere efficace e sicura, tanto che già dal 2006 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha incluso mifepristone e misoprostolo nell’elenco dei farmaci essenziali per la salute riproduttiva.

Essenziali per la salute riproduttiva.

Dal 2006.

Oggi, qui, voglio solo fare qualche riflessione insieme a voi, per voi, che siete giovani, giovanissime, e forse non avete tutte le informazioni che vi occorrono per scegliere i metodi contraccettivi e quelli abortivi, e per poter decidere in libertà cosa fare nel caso in cui restiate incinta e non ci siano le condizioni per tenere il bambino.

Quando dico ‘non ci siano le condizioni per tenere il bambino’, intendo gravidanze a seguito di episodi di violenza sessuale, o dovute al malfunzionamento dei metodi contraccettivi, piuttosto che la presenza di patologie a carico della madre o del feto che giustifichino un aborto. Per tutti gli altri casi a base di leggerezza e superficialità, non ci sono scusanti.

Allora, andiamo.

La Ru486 è una pillola abortiva.

Sostanze chimiche progettate per farvi abortire entro la 7° settimana.

Non è efficace al 100% e può rendersi necessario un successivo intervento chirurgico.

Presenta numerosi effetti collaterali, inizialmente simili ai sintomi dello shock tossico e per questo difficilmente riconoscibili.

Il sanguinamento che segue può essere molto violento e causare forti emorragie.

Per questo motivo, la Ru486 non andrebbe presa se soffrite di patologie cardiovascolari, se siete a rischio di patologie cardiovascolari, se avete precedenti in famiglia di patologie cardiovascolari.

In rari casi, può associarsi alle tossine del clostridium e causare la morte. Ho detto rari, non impossibili.

LA Ru486 non è un metodo contraccettivo.

L’aborto chirurgico è l’alternativa.

Presenta tutti i rischi che presenterebbe un qualsiasi intervento, di un qualsiasi tipo, in una qualsiasi situazione.

Si pratica normalmente in ospedale, in regime di day hospital, e il vostro medico è tenuto alla riservatezza per questioni di etica professionale.

L’aborto chirurgico non è un metodo contraccettivo.

Se non volete ritrovarvi a scegliere tra queste due opzioni, e volete mettere in pratica metodi di protezione non convenzionali, tenete presente quanto segue.

La pillola del giorno dopo viene venduta come metodo contraccettivo.

Va usata esclusivamente con la testa e con cognizione di causa, ricordatevi che è sempre un farmaco, per quanto gli effetti collaterali siano relativamente leggeri (e comunque non è mai detto).

Quindi, la pillola del giorno dopo non può, moralmente, essere considerata un metodo contraccettivo.

La spirale non è un metodo contraccettivo adatto alle giovanissime.

Svariati sono i motivi per cui andrebbe riservata solo a chi ha già avuto figli, non ultima la possibilità di infezioni.

Il coito interrotto è una pratica ad alto rischio di gravidanza.

Se pensate che la sventura colpisca solo i ragazzi incapaci e le ragazze sfigate, svegliatevi e tornate su questo pianeta. Certe cose non succedono solo nei film: potrebbero essere anche la trama della vostra vita. E non è detto che abbiate l’età giusta, i soldi sufficienti, e il fidanzato abbastanza intelligente da capire che c’era anche lui, senza mollarvi da sole a crescere un figlio. (Oltretutto, per gli uomini è causa di sterilità, con l’andare del tempo. A 20 anni non ci pensano, a 40 potrebbero.)

Quindi, il coito interrotto non è un metodo contraccettivo.

Dunque, se non volete figli, non volete rischiare, e non avete voglia di praticare l’astinenza, affidatevi agli unici metodi sicuri.

La pillola, l’anello e il cerotto sono metodi contraccettivi.

Ma vanno assunti esclusivamente dopo che il medico si sia accertato del vostro stato di perfetta salute, e quando avete un partner fisso. E’ chiaro che non potete giurare sulla fedeltà del vostro lui.. quindi valutate bene i pro e i contro prima di decidere per l’assunzione di ormoni.

Usate il profilattico.

A meno che non siate allergiche al lattice, mi pare ovvio.

Andate in farmacia, comprateli di tasca vostra. Vi mettono al riparo anche dalle malattie sessualmente trasmissibili, e non mi pare poco.

Io sono a favore dell’aborto.

La battaglia per la legge 194 è stata dura e ancora oggi c’è qualcuno che tenta di rimettere tutto in discussione, provando a toglierci il diritto di gestire la maternità e il nostro corpo, e faccio questa affermazione senza alcun impulso di tipo femminista, semplicemente esercito la mia libertà di pensiero.

Sono a favore dell’aborto quando questa soluzione ha un senso, e non quando nasconde l’incoscienza dei nostri gesti, la mancanza di informazioni, la leggerezza nell’approccio alle responsabilità.

Sono a favore dell’aborto nel rispetto della salute fisica e mentale della donna.

Ragazze, ricordatelo e gridatelo al mondo:

L’ABORTO NON E’ UN METODO CONTRACCETTIVO.

E’ un affare troppo importante perché sia preso con superficialità, può avere un impatto psichico devastante ed è ingiusto che qualcuna possa stare male o addirittura morire per un motivo del genere.

Piuttosto, prendete informazioni, chiedete, andate al consultorio, non abbiate paura di fare domande.

E parlate con i vostri partner – condizione indispensabile perché qualunque rapporto vada avanti.

E se loro vi chiedono una prova d’amore facendolo senza precauzioni, non cascateci.

E se vi dicono che senza profilattico è più bello, dite loro che lo è anche per voi ma non abbastanza da sopportare i pannolini.

E se fanno finta di essersi scordati una protezione, per quella sera fate altro: il sesso è pieno di varianti favolose!

E soprattutto, se non capiscono nulla di tutto questo: uscite dalla stanza. E cambiateli con un altro.

🙂

17 maggio 2011

ragazze con margherite in mano

Oggi è la giornata mondiale contro la violenza sulle donne.

A milioni sono scese in piazza, hanno manifestato come hanno potuto, per il diritto a esistere. Almeno oggi, nessun uomo le ha fermate.

Le francesi ci sono andate in minigonna, a dire che le gambe non devono incutere timore né scatenare allergie. In Francia vige ancora una legge che vieta alle donne di indossare i pantaloni, tra l’altro.

Il Ministro Carfagna si è fatta parte attiva ricordando lo scempio della mutilazione dei genitali femminili.

E il telegiornale ha detto che, nella propria vita, a partire dalla maggiore età fino forse alla menopausa, 1 donna su 3 subirà per statistica almeno una forma di violenza. Quello che il telegiornale non ha detto è che quella percentuale 1:3 a volte si estende anche alla minore età.

Come qualcuno di voi saprà, questi sono temi ai quali sono sempre stata sensibile. Pensiamo possa capitare al vicino, mai a noi. Poi, un bel giorno, accade. E quel giorno, non te lo dimentichi più. O forse sì, te lo scordi, lo rimuovi con una forza tale che vedi solo il solco sulla parete e non riesci più a distinguere le immagini.

Le donne sono abituate al dolore, anche a quello fisico, intendo, se penso al parto, ad esempio. Ma quella è l’unica forma di sofferenza che la vita la dà, non la toglie. Voglio solo ricordarvi che l’ultimo caso di violenza è di due giorni fa: una ragazza è morta accoltellata brutalmente ad opera di quel bastardo del suo ex, che spero marcisca nel peggior fango della sua inutile vita.

Questa giornata sta volgendo al termine, e domani tutto tornerà in sordina. Ma queste cose non devono essere dimenticate. Sono quasi in 500, sulla mia pagina facebook. Vorrei che fosserò di più, per dire a tutte le donne di stare attente. Per dire a tutti, indistintamente dal sesso, di salvaguardare il mondo.

Per questo, vi chiedo di diffondere queste parole, affinché tutti ricordino che una donna su tre subisce violenza, sia essa fisica o psicologica, sia sessuale o siano calci e pugni, e non accade solo fuori casa, ma anche dentro le mura domestiche. Dentro. Ad opera di parenti e amici. Dentro. Come se ti avessero scavato il cuore con un trapano tenendoti bloccata con dei legacci.

Quello che non sapevo, e che ho imparato oggi, è che esiste un numero verde, attivo 24 ore su 24, per chiedere aiuto. E’ il 1522. Spero che a me non debba più servire, ma donne, mi raccomando: segnatelo sul telefonino. E uomini degni di essere chiamati tali, aiutate le donne a non morire. Grazie.

Novembre 2010