new work by night

Cosa è successo in quasi un anno che non vi ho detto

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imbarazzante.

L’ultimo articolo è di giugno 2022, quasi un anno fa.

non basterebbe una pagina a raccontare tutte le cose che sono successe da allora.

a volte mi chiedo che lo pago a fare il dominio del mio blog se lo aggiorno due volte l’anno. mah.

cosa è successo nel frattempo non lo dico nemmeno. ma per fortuna che il tempo è qualcosa di relativo.

una nota degna di attenzione è il fatto che sto letteralmente girando il mondo da quando il 2023 è cominciato.

interessantissimo.

la parte migliore è l’introspezione che questo mega viaggio mi porta a fare.

incontro decine di persone ogni giorno, stringo mani di cui non ricordo il nome, mi sento una cantante in tour.

la parte neutra è la stanchezza fisica, l’accumulo di peso.

la parte peggiore è la difficoltà a costruirmi una vita privata.

e qui mi viene in mente solo una persona, l’unica con cui ho costruito davvero qualcosa, e con cui ci siamo lasciati andare.

ho detto che la parte migliore è l’introspezione.

in realtà, non è tutto.

sto esplorando il mondo.

sto vedendo alcuni dei posti che volevo vedere, e altri che non erano nemmeno in lista.

sto mettendo alla prova me stessa.

sto mettendo puntine sulla mappa, se ne avessi una. (quasi quasi me la compro).

ho abbracciato mia sorella, quella non tecnicamente biologica ma di connessione d’anima, che non posso vedere così spesso come voglio.

sto riempiendo il mio rullino.

sto valutando tutte le scelte che non ho fatto e che avrei potuto fare.

sto vivendo una vita di scoperte, di conoscenze, di sorprese, mappe della città, fotografie, memorie, racconti, amici diversi.

ho conosciuto un angelo custode di nome Pete.

ho fatto i conti con quella che sarebbe potuta essere la mia vita ma l’universo mi ha protetta.

ho corso a central park, e visitato la biblioteca nazionale di New York in un tour privato che non dimenticherò facilmente, a meno che non mi diano una botta in testa, e anche in quel caso non sono sicura che lo dimenticherei.

biblioteca nazionale new york

sto collezionando autoscatti di me runner nelle città più impensabili e inadatte.

ho scavato nel cuore un posto per nuove persone, e sto analizzando i buchi che ho conservato per gli altri.

ho visto come potrei ricominciare daccapo.

come mi mancherebbe il mio cibo, le mie abitudini, mia figlia, il mio dischetto di ovatta che mi pulisce la pelle la sera ed è sempre bianco no-matter-what.

e se state pensando come si fa a paragonare una figlia con un dischetto di ovatta, vi sta sfuggendo il senso di questo post.

tra poco sono in ripartenza.

andrò al caldo questa volta.

e pensare che questa è la vita che sognavo. sempre in viaggio. sempre alla scoperta del mondo.

cosa manca?

 

 

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Druida pandemica

Mezz’ora per trovare un titolo a questo breve pezzo. Meh.

Lo so che è luglio e siete impegnati con le vacanze.

Probabilmente sarete anche al mare, o a farvi un aperitivo da qualche parte.

Sicuramente sarete a godervi il sole, se siete in un posto baciato da questa grazia.

Ma mi conoscete, e sapete come sono fatta. Quanto più vi state rilassando, tanto più vi arriva la mia considerazione del giorno. E questo accade perché la Druida vive in versione scritta solo nel mio tempo libero. Ma questa è un’altra storia.

Insomma, la questione è che, tempo fa, ho creato questo sito:

(cliccarci sopra, prego)

covidpatientsnotrecovered .

Ho deciso di inverstirci soldi, tempo e anima, perché la salute ce la ho già messa, a riguardo. E sto cercando di sensibilizzare quante più persone.

Lo sto pubblicizzando come Druida, perché da qui già mi conoscete, e mi è più facile farmi leggere e spingere più lontano la mia voce.

Credo che questa sia una delle imprese più impossibili in cui mi sia imbarcata nella mia intera vita. Ma continuo lo stesso.

Anche se fa caldo ed è vacanza, la gente sta male.

Le frontiere sono chiuse, le famiglie sono spaccate, i sintomi non sono spariti.

Solo, non li vedete perché si parla di altro. Giustamente, perché la vita va avanti.

Fantascienza o realtà, pantomima o meno, questa è la vita che migliaia di persone stanno vivendo.

Per colpa di chi o che cosa non si sa, ma poco ti interessa questa cosa a un certo punto, quando stai male.

Non voglio cominciare a interessere polemiche, o discorsi politici o complicati. Mi interessa solo mostrarvi la verità; aprire una finestra su un mondo che vi hanno detto che esiste, ma che in buona parte non avete mai toccato, e forse dubitate pure che ci sia mai stato.

Il mio mestiere qui è mostrare, usando le armi che conosco. So scrivere; uso le parole.

Il sito è in inglese, perché il Covid è una patologia mondiale, e il sostegno che vuole offrire va oltre i confini. Almeno questo può prendere il volo senza gli aerei.

Se siete stati vittima del virus, o se conoscete qualcuno che lo è stato, potete aiutare gli altri a sentirsi meno soli.

Potete condividere la vostra storia, da pazienti o da amici/famigliari.

Potete condividere il sito.

Questo sito qui: covidpatientsnotrecovered

Sarebbe un bel gesto.

Detto da qualcuno che ha cercato per mesi queste informazioni e questo appoggio, e alla fine ha pensato di costruirlo per gli altri.

Qualunque sia la vostra scelta, vi ringrazio per essere arrivati a leggere fino a questo punto.

Speriamo che tutto questo abbia una fine, un giorno.

Ciao e, comunque, grazie.

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Attacco a Utrecht

Non è proprio un pezzo che avrei voluto far entrare nel mio blog.

Ma il mio viaggio è anche questo, quindi mettiamocelo.

Sì, vivo a Utrecht.

In realtà non ci sto h24, mi sposto continuamente, e in particolare staziono a Schiphol, l’aeroporto di Amsterdam, per cui no, non è facile sapere dove mi trovi esattamente se non si è parte attiva della mia vita.

Però sì, vivo a Utrecht.

Sì, la piccola U è un posto tranquillo, di quelli da fiaba.

No, nessuno se lo aspettava.

Sì, so di che zona si tratta.

C’è la scuola di mia figlia, là dietro.

Sì, conosco quella linea di tram, è quella che lei prende ogni tanto per andare a lezione.

Sì, ogni tanto la prendo anche io, dipende da quel che ho da fare.

Sì, avremmo potuto esserci.

No, quel giorno mia figlia non era a scuola e io non ero sul tram.

Io stavo dormendo. Sono stata svegliata gentilmente, in un soffice tentativo di non farmi agitare.

No, non ha funzionato al 100% ma eravamo tutti al sicuro, per cui sì, alla fine il tentativo è andato decentemente.

Sì, ho pensato come sarebbe stato, se qualcosa fosse stato diverso quel giorno.

Ho pensato alle fatalità, a come esci la mattina inconsapevole di come tu stia andando incontro al tuo destino.

Sì, sono rimasta ferma, ho avuto molte difficoltà a riaddormentarmi.

Sì, ho cercato di rispondere a tutti i messaggi che mi arrivavano, in un tempo ragionevole.

Sì, alcuni mi hanno stupito.

Sì, alcuni sono mancati.

Sì, trovi il tempo di fare anche questo tipo di riflessioni se la circostanza te lo permette.

No, l’esito delle suddette riflessioni non mi interessa più di tanto alla fine, non è niente che si discosti dall’andamento della mia vita reale.

Sì, la percezione delle cose ti cambia.

Sì, il giorno dopo esci e cammini in modo strano, ma il problema è riuscire, è svegliarsi il giorno dopo.

Io dovevo uscire dopo qualche ora, e sì lo ho fatto e mi sono forzata, perché dovevo andare al lavoro e volevo un po’ di normalità.

Sì, la routine quotidiana aiuta.

No, non smetti di tornare con la mente a quelle circostanze.

Sì, resti in stato catatonico per un po’. Un bel po’.

No, non credo di conoscere qualcuna delle vittime o dei feriti. Ma non ne sono sicura, non sono riuscita a trovare un elenco di nomi.

Sì, mia madre è meglio della BBC e aveva degli aggiornamenti che nemmeno io che ero sul posto.

Una giornalista RAI mi ha chiamato per avere informazioni. Avrei dovuto darle il telefono di mia madre, ora che ci penso. Giornalista che tanto lo so che mi stai leggendo, senti lei la prossima volta.

No, non mi sento una miracolata.

Mi sento attaccata.

Non mi sento protetta.

Mi sento nuda.

Non che ci sia da stare allegri in questo mondo, ma come detto la piccola U è solamente la piccola U: una innocua cittadina, così esposta che sembra un po’ la parte fessa in una relazione di coppia.

No, non mi sogno niente la notte.

Sì, ci penso costantemente di giorno.

No, non c’è nessun movente personale.

Sì, la pista terroristica è quella quasi confermata.

Sì, c’è ancora il ‘quasi’.

No, non c’è stata nessuna rivendicazione ufficiale.

No, in effetti non serve.

No, non è più o meno grave degli altri solo perché c’erano solo una decina di persone coinvolte, è disgustoso uguale.

Il numero di vite non cambia niente.

No, non ho la televisione in casa, quindi non so come i media stanno trattando la cosa.

Leggo i siti dei quotidiani e le agenzie giornalistiche locali e internazionali.

No, non mi sento sbagliata per questo.

È stata organizzata una marcia per oggi, venerdì 22 marzo 2019, questo è il percorso:

Il quadratino a destra, cioè l’inizio, è la stazione. Quello tratteggiato è il percorso della marcia, che è il percorso del tram.

No, non ci vado.

No, non vi spiego perché.

Sì, sono bene organizzati in Olanda.

Per esempio, ci sono avvisi che ti arrivano sul telefono in caso di unità di crisi.

Sì, sono in olandese, ma d’altra parte sono avvisi governativi, non è che si possono metterli a tradurre, problemi tuoi se hai scelto di vivere in una nazione di cui non capisci la lingua.

Gli annunci possono essere inviati a livello nazionale o locale. Questo qui è stato spedito a chi si trovava ad Utrecht.

Sì, è un avviso riguardo l’attentato e dice di non andare in quel quartiere.

Sì, parlo un po’ olandese per chi se lo fosse perso.

Sì, sì, è una figata.

No, non devi fare richieste particolari per avere questi avvisi, il telefono ti viene configurato in automatico appena possiedi un numero olandese. Ogni tre mesi c’è una prova generale di allarme, partono le sirene di lunedì alle 12 per un minuto per tutte le città. Se sei nuovo, ti vibra il telefono e ti si configura (quasi tutti i modelli).

Sì, il telefono fa un gran bordello in caso di allarme.

Sì, ci piace questo sistema di protezione.

No, non capita spesso, direi davvero raramente.

No, non ho altro da aggiungere.

Sì, ho utilizzato la funzione di Facebook per far sapere che ero in salvo.

Sì, mi sono chiesta se davvero interessasse alla gente.

Sì, quel giorno è stato assurdo, finto, irreale.

Sì, sono più consapevole che la vita è un soffio.

Sì, ho tutte le intenzioni di vivermela.

24 Oktoberplein, Utrecht, 18 Marzo 2019.
In memoria. 

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40 cose di Roma che il resto del mondo non avrà mai

(E perché prima o poi mi candiderò a Sindaco)

  1. Le amicizie nate alle banchine dei mezzi pubblici grazie alle lunghe ore di attesa
  1. La sauna gratis sugli autobus quando è estate
  1. Il risparmio del riscaldamento sugli autobus quando è inverno
  1. L’app delle buche
  1. La possibilità di affinare le proprie doti di camperista alla palina del bus
  1.  La sensazione di essere cittadino del mondo grazie alla popolazione multietnica
  1.  La sensazione di vivere a Londra, nello specifico, grazie al ponte all’inglese
  1.  La sensazione di vivere all’estero in generale, quando cambi quartiere
  1.  Le barzellette
  1. Er Cavaliere Nero, er cavaliere bianco e quel genio che li ha inventati
  1. Un nuovo concetto di animali domestici grazie alle simpatiche pantegane
  1. Il tuffo di Capodanno nel Tevere e la costante domanda ‘ma com’è che nessuno muore mai di leptospirosi’
  1. Il gioco d’azzardo scommettendo sullo straripamento del Tevere a Ponte Milvio
  1. Il semaforo di Caracalla che non scatta mai
  1. I caricaturisti di Piazza Navona
  1. I centurioni fuori al Colosseo
  1. Il Piotta
  1. San Pietro e la diatriba su Via della Conciliazione spianata dai fascisti
  1. Trastevere
  1. Le botticelle che spennano i turisti
  1. Il piacere di rimorchiare il vicino di macchina quando è l’ora di punta sulla Tangenziale e sul Grande Raccordo Anulare
  1. La canzone di Guzzanti sul Grande Raccordo Anulare
  1. Le Dune
  1. La bocca che se ci metti la mano dentro e hai detto una bugia te la tagliano
  1. Il portale magico di Piazza Vittorio
  1. L’ebbrezza di rischiarsela e dichiarare ‘certo che sarò puntuale’ in un giorno qualsiasi
  1. Sentirsi Steve Jobs e asserire ‘stay hungry stay foolish’ andando a lavorare il giorno dello sciopero
  1. La mortazza
  1. La rosetta
  1. L’Osservatorio a Montemario per rimorchiare meglio
  1. Gli incredibili tramonti sul Lungotevere
  1. L’acqua frizzante gratis che ‘solo noi a Capanelle ce l’abbiamo’
  1. La birretta della sera passeggiando a Piazza di Spagna
  1. La pista ciclabile più inutile del mondo
  1. I tonnarelli cacio e pepe
  1. Via delle Carrozze
  1. Il giardinetto sotto casa mia
  1. Le poste fuori al Teatro delle Vittorie e al bar Vanni ad aspettare i vip per un autografo
  1. Le indicazioni per l’Auditorium
  1. La filosofia dello ‘sticazzi

Giugno 2018

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La colazione dell’estate

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E insomma c’è questo piccolo bar,

in un punto nascosto della strada, che non lo diresti mai, ma fa dei cappuccini fantastici.
Puoi sederti a uno dei tavolini esterni, in mezzo al giardino, oppure su uno di quegli sgabelli da bancone, fatti apposta per i tavoli alti.
Insieme ai cappuccini fantastici, ti porta dei croissant freschissimi.
Con un morso, sei nel mondo dello zucchero e nel paradiso del morbido.
Non sono una fan dei dolci, ma il croissant al bar ha sempre un retrogusto di vacanza, anche se sei a cinque centimetri da casa per mezz’ora.
Allora, c’è questo bar, e non è mai vuoto ma allo stesso tempo è come se non fosse pieno.
Ti lascia lo spazio per le tue chiacchiere e anche per ascoltare qualche storia dal tavolo dei vicini.
Può capitare che, intorno a te, qualche bambino giochi a rincorrersi nel vicino campo da calcio; che qualche ragazzo lasci penzolare le gambe dal dondolo poco lontano; che qualche anziano legga le notizie della mattina sul quotidiano messo a disposizione e buttato su un tavolo.
Se non ti va il fantastico cappuccino ed è ora di pranzo, puoi optare per un bicchiere di vino bianco accompagnato da qualche oliva.
Io le olive non le mangiavo. Quando poi è successo tutto, ogni morso è diventato un ricordo.

C’è un tavolo, in particolare, che preferisco più degli altri, è subito alla finestra del bancone del bar. E’ come essere con la macchina al drive-in: suoni il pulsante e il vetro si apre sul magico mondo delle ordinazioni e della cucina.
Mi piaceva sedermi lì. Mi sentivo alta.
E dunque, c’è questo piccolo bar, vicino alla chiesa, dove si andava d’estate, perché d’inverno che ci andavi a fare – anche se ogni tanto capitava, ma d’estate niente è mai lo stesso.

Ogni tanto, un piccolo alito di vento osava spingersi fin lì; ma la maggior parte delle volte aveva paura, era il bar che ti riparava, dalle piogge e dal freddo.
Nemmeno il sole aveva il coraggio di scottarti, quando raggiungeva quei tavolini: tutto quello che riusciva a fare era guardarti e accarezzarti dolcemente.
E comunque, d’estate, il cappuccino sapeva di diverso.
Il croissant non sapeva solo di vacanza, il vino bianco le olive e le patatine non sapevano di aperitivo, il giornale non sapeva di vecchio.
Tutto sapeva di sole, di pace, di buono.
Di voglia di ombrellone, pure se non stavi in spiaggia e la sabbia era lontana.
Tutto sapeva di calore; ma solo poi ho capito che il calore era dentro.
Perché la colazione non sa d’estate se la fai tra giugno e agosto. La colazione sa d’estate se la fai con il cuore in perpetua stagione calda, altrimenti stai solo bevendo un cappuccino.
E insomma, c’era quel piccolo bar,e c’è ancora.
Ha visto cambiare i proprietari, qualche bambino che si è fatto grande, qualche cliente. Qualcun altro è sempre lo stesso e va ancora lì.
Io, con il pensiero, ancora prendo latte macchiato e croissant.

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C’era una volta la festa del Re (ubriaco)

Olandesi gente sobria.

Da quando bazzico le terre del burro, ho visto gente vestita da coniglio andare in bicicletta, draghi che vanno a cena, equilibristi in mezzo alla strada, tute-pigiama alle cinque del pomeriggio e grida che gli ultrà allo stadio sembrano un convegno di sordomuti.

Oggi voglio raccontarvi della festa del Re: l’evento più arancione e chiassoso del mondo, simbolo della cultura dei Paesi Bassi e fertile terreno di rimorchio love-sex. Ma partiamo dal principio.

Il pippone ufficiale per spiegarvi l’argomento di questo articolo

carini loro! ecco i coniugi reali. curiosità: la signora con il cappellino a sinistra della foto è identica alla mia ex-padrona di casa

È il 25 aprile, è quasi ora di cena e sto scrivendo questo articolo. In Italia è festa nazionale, mentre in Olanda lo sarà tra 2 giorni, ovvero: il 27 aprile.

Il nobile motivo per cui c’è una festa nazionale è il compleanno del Re.

Per l’occasione, tutta la patria è autorizzata a fermarsi e a festeggiarlo.

L’evento è così speciale che il 27 aprile è l’unico giorno in cui ai cittadini viene concesso bere alcolici in strada.

Blablabla, ho finito il pippone: partiamo con i retroscena e la nuda verità.

C’era una volta la festa del Re

La festa del Re è una delle tante scuse che gli olandesi adottano per fare festa.

Ho già detto in più di una occasione che come fanno festa questi qui, non la fa nessuno. Ogni occasione è buona, e ogni occasione è buona per bere. Quando la prima volta ho sentito questa frase, credevo che fosse una malignità sparata lì per caso: ora ho capito che è vero.

Fase 1 della festa: procurarsi il bene primario

E insomma, quindi alla festa del Re c’è questa cosa che gli olandesi possono bere legalmente in strada. Questa legge esiste davvero e tecnicamente sarebbe ancora in vigore, anche se non se la fila nessuno. Fatto sta che gli olandesi prendono le leggi molto sul serio, così ci danno giù, in questo modo:

esempio di sobrietà

La foto è di oggi, 25 aprile. Questo angolino del supermercato dove vado spesso è quello adibito alle promozioni per le feste: ci trovi i dolcetti di natale, i pulcini di pasqua (non hanno le uova, vendono plotoni di pulcini di pelo in miniatura), le robe da barbeque, le birrette per la festa del Re. Giusto due. Non si sa mai che ti finisca la scorta, almeno hai varietà.

Fase 2 della festa: procurarsi l’abbigliamento adeguato

Il dress-code del palazzo reale vuole che ogni suddito indossi almeno una cosa arancione e che questa cosa sia a vista. Non sono valide le mutande, a meno che non vai in giro solo in mutande – cosa peraltro non così impossibile.

Siccome gli olandesi sono gente sobria, non ci facciamo mancare nemmeno il completino sado-maso per le notti reali, che come t’attizza l’arancione non t’attizza nient’altro.

(prego notare che lei indossa il calzino: che sexy)

Fase 3 della festa: procurarsi l’accessorio

Perché il calzino sopra non basta, bisogna anche aggiungere: cappelli, parrucche, perfino trucchi a forma di bandiera olandese pronta da stamparsi sulle guance. Sono estasiata.

 

Fase 4 della festa: ciaone proprio

Lasciatemi dire che camminare in città è assolutamente impossibile, tra la sera del 26 e il pomeriggio del 27, tempo in cui si estendono i festeggiamenti.

C’è gente ovunque, sulle barche, sui ponti, tra un po’ pure sui tetti, ci sono feste e mercatini in ogni piazza e pub, ci sono bande musicali e ballerini, dj, bagni chimici e punti di incontro “droghe sicure”.

L’aspetto stupefacente (scusate la scelta di parole) è che di tutto questo bordello la mattina dopo non vi è traccia: magici umpalumpa ripuliscono subito dopo che il suddito è andato a dormire, allo scopo di far trovare la città la mattina successiva pronta per essere immediatamente ripopolata dalle bici e dai mezzi pubblici che ti portano in ufficio a produrre.

Dov’ero io l’anno scorso e dove sarò quest’anno

L’anno scorso ero andata a fare la reporter CNN infilata nel mio bel cappotto arancione, e ho prodotto una cosa seria qui. Ci sono volute 3 ore di riprese, perché la gente passava e interrompeva continuamente tra corna, boccacce, saluti e rutti.

Quest’anno starò lavorando in un ristorante. Sì, da qualche mese mi sono data allo studio del mestiere del ristoratore, magari ve ne parlo più in là. Per ora, focalizzatevi su questo: con tutto quel che avete letto fin qui, provate a immaginare che genere di persone entreranno a mangiare. Oh sì, ne avrò da raccontare.

Sempre se ne esco. Fatemi gli auguri!

PS.

Il post si intitola “del Re ubriaco” perché si narra che il Re, quando non era Re, era un tipico baldo giovanotto olandese che ne ha combinate di cotte e di crude all’università. Non ho foto d’archivio in proposito da mostrarvi, ma posso supporre che anche lui qualche volta non sia stato sobrio.

Vi lascio comunque un gossip, il link a un video che ha fatto molti rumors: la presunta tastata di chiappe alla Regina durante una parata del 27 Aprile. Enjoy 😉

25 Aprile 2018

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La lingua dell’amore – Is Italian the language of love?

Perché ho messo un doppio titolo italiano-inglese, vi starete chiedendo.
Eeh. Nel post di oggi, succede una cosa strana.
C’è un’agenzia di traduzioni che si chiama Tomedes. Sono stata contattata da loro e, com’è come non è, viene fuori un’idea: “ti va se scriviamo un articolo per la Druida?”. “Certo!”, dico io, “molto volentieri. E su cosa lo vorreste fare questo articolo?”. “Beh”, dicono loro, “c’è Louise che dice se ti interessa un pezzo sulla lingua italiana e sull’amore”. Louise è la content manager di Tomedes.
Ora, chi mi legge da tanto lo sa: se c’è un argomento che la Druida tratta, quando parla di viaggio figurato, è proprio l’amore. Vi pare che io potessi rifiutare l’offerta?
Così, Louise ha scritto questo pezzo per voi, una piccola riflessione sulla lingua italiana abbinata all’amore.
L’articolo è in inglese, spero possiate capirlo tutti. Altrimenti, vi ricordo che sul lato destro della pagina c’è un menu a tendina con l’opzione “traduci”.
L’aspetto che mi ha colpita di più leggendo l’articolo, quando mi è arrivato, è proprio il modo in cui gli stranieri ci vedono: c’è una lunga storia dietro la nostra lingua elaborata. Alle loro orecchie, quando parliamo suoniamo come una melodia. Per la precisione, una delle più romantiche e sexy del mondo.
Scrive Louise: “Quando si tratta di amore e romanticismo, l’italiano ha una serie impressionante di frasi che non possono che deliziare”.
Dunque, italiani: dichiarate il vostro amore straniero e fatevi sotto! 😉

Is Italian the language of love?

Beauty is not just in the eye of the beholder, but also the ear – and there are few languages that sound more beautiful than the flow of softly spoken Italian.
It is fitting, then, that all languages classed as ‘Romance’ languages have evolved from the vernacular of ancient Rome. However, while many languages have evolved naturally over time, Italian has undergone something of a unique process. This has led to its reputation as the ‘language of love’ with many linguists around the world, as well as with listeners who don’t even speak Italian themselves.

Shaping the language of love

Giovanni Boldini (1842-1931), “Serenata”

Languages evolve over time in many different ways. In Italy, the country’s greatest writers, musicians and poets helped the process along. Their influence shaped the style and vocabulary of Italian over the centuries, until it evolved into the melodic tongue that we know today.

Often, these creatives focused on the beauty of the way the language sounded as they shaped the language to suit the whims of their muses. Many, such as Adriano Banchieri, crossed and mixed the various disciplines of the arts in their quest for linguistic perfection. Banchieri was not only a composer, but also an organist and a poet. As founder of the Accademia dei Floridi in Bologna, his influence over the Italian language was significant. The same can be said of many of Italy’s most famous musicians and poets throughout history.
Perhaps the greatest linguistic influencer as Dante Alighieri, author of the Divine Comedy. Instead of writing in Latin, as was widely done by the educated elite back in the 13th and 14th centuries, Dante wrote in his native Tuscan dialect. The eloquence of his poetry was so beautiful that he has been seen as a champion of the vernacular ever since.
This unique linguistic development process, with so much attention paid to the beauty of the sound, has given contemporary Italian a particularly lyrical flow, which speaks of love and romance even to those who don’t understand what is being said.
This is most often apparent in the reactions of non-Italian speakers to visiting the opera. The combination of musical and linguistic beauty – blended with big storylines that tend to focus on matters of love, death, passion and loss – is enough to reduce many to tears, despite their understanding not a single word of the lyrics to which they are listening.

The actual language of love

When it comes to love and romance, Italian also has an impressive array of phrases, all of which trip lyrically off the tongue. The sheer sound of these expressions cannot help but delight.
Let’s consider the Italian for “I love you, my darling,” which translates to “Ti amo, mio tesoro,” compared with its equivalent in German: “Ich liebe dich, mein Schatz.” Even without understanding the translation, the Italian simply sounds more romantic – it is a language to make the heart melt!
Other beautifully lyrical Italian phrases for those declaring their love include:
  • Sei il grande amore della mia vita – you are the love of my life
  • Voglio soltanto te – I want only you
  • Non posso vivere senza te – I can’t live without you
  • Ti penso ogni giorno – I think about you every day
  • Sei la mia anima gemella – you are my soul mate
  • Nei tuoi occhi c’è il cielo – heaven is in your eyes
Each possesses a poetic charm with which few other languages can compete.
Modern-day Italian remains a beguiling and captivating tongue, drawing the listener in and evoking a powerful emotive response. Those who don’t understand the words understand something deeper and more beautiful: the language of love that speaks directly to the soul.
Author bio
Louise Taylor is the content manager for translation agencyTomedes
Gennaio 2018
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Le interviste della Druida: note sul paradiso e Roberto Stanzani

Per la prima volta sul blog ospito un’intervista.
Oddio, veramente era un po’ che pensavo di inserire questa sezione, facendo due chiacchiere con voi sul tema del viaggio e argomenti vari. Tra questo po’ e l’oggi, è successo nel frattempo che sono stata contattata da Roberto Stanzani, autore del libro Eden, Trova il tuo Paradiso Terrestre.
In breve:
Ho letto il libro.
Ho deciso che dovevo assolutamente condividerlo con voi.
Perché?
Perché questo libro non è solo un manuale per scegliere il proprio paradiso personale, come dice Roberto, ma una sorta di enciclopedia miniaturizzata.
Perché chi ha voglia di viaggiare e non può permetterselo, farà il giro del mondo in 500 pagine.
Perché chi farà questo giro del mondo virtuale, non lo farà da turista ma da viaggiatore.
Perché chi ha sete di conoscenza, troverà i dati che cerca.
Perché chi vuole andare via e non sa da dove cominciare, potrà trovare qualche idea.
Perché chi ha figli in età scolare, potrà appioppargli questo tomo e dire “tiè, figlio, studia qui che ci sta il ripasso della roba che fai a scuola” (“o che dovresti fare”).
Così, un lieve giorno di ottobre, in un sabato che tutto aveva tranne che del pigro e stanco fine settimana, ho chiesto le seguenti cose a Roberto.
(Sono le ore 16. Vorrei aggiungere che, sullo sfondo della nostra chiamata skype, dietro di me c’è una fantastica libreria che ospita pile di mie carte, bicchieri da vino, sale e pepe; dietro Roberto, c’è la campagna emiliana illuminata dal sole, lui è in maglia di cotone e un signore passeggia stancamente. Cose che noti, quando tu ti trovi nella terra della pioggia a vento.)
 
Roberto, la prima domanda che mi viene in mente, guardando la copertina del tuo libro, è questa: ci sono due autori, ma tu sei l’interfaccia ufficiale. Qual è il rapporto tra te e il secondo autore, Sergio Senesi?
Sergio è un ingegnere, un mio ex collega di lavoro. Mi ha supportato sia dal punto di vista organizzativo che emotivo perché l’opera è molto articolata e lunga, ha richiesto una approfondita ricerca di dati e grazie a lui sono riuscito a organizzare le scadenze necessarie per ordinare il materiale e portare a compimento il libro.

Io ho una versione del libro che è la 2.0. La prima edizione di quando è?
La prima è uscita tra il 2013 e il 2014; ora la abbiamo aggiornata perché è la natura stessa del libro che lo richiede. Ci sono dati raccolti da organizzazioni internazionali come l’ONU, la NASA, l’ESA, che cambiano a seconda dei rilevamenti ufficiali.
 
Chi ha parlato di voi, finora?
Turisti Per Caso, Caboto, siti del mondo dell’espatrio come Italians In Fuga e Voglio Vivere Così.
 
E ora siete anche su I Viaggi Della Druida. Info per chi vi legge: in quante lingue esiste il vostro libro e quanto costa?

C’è anche in inglese, con il titolo di “Paradise Found At Last”; costa €9,99, per offrire a tutti la possibilità di accedere ai dati che abbiamo raccolto.

 

Lui è l’autore del libro. In versione estiva nell’Oceano 🙂
Parliamo di questo. Arrivata alla fine della lettura mi sono detta “ok, come faccio a mettere insieme tutti i dati per capire qual è il mio paese ideale?” Poi ho scoperto che ci sono le mappe sovrapponibili. Fantastiche!
Vero, sono molto utili. Sono mappe visualizzabili su computer, oppure cartacee in formato A3. Si sovrappongono attraverso una mappa trasparente e in questo modo puoi selezionare o cancellare di volta in volta gli Stati che ti interessano di più, in base ai parametri che avrai trovato nel libro. Comunque, alla fine di ogni capitolo ci sono già delle mappe mondiali riassuntive per argomento.
 
Perché ti è venuta in mente l’idea di questo libro?
Mi è venuta in mente nel 2009, quando c’è stato il terremoto a L’Aquila. Ho iniziato a chiedermi se ci fosse un paese del mondo senza pericolo sismico. Ho fatto una prima ricerca e ho trovato la mappa mondiale del rischio sismico. Da quel primo argomento sono passato ad altri e, dopo un po’, mi sono accorto che stavo raccogliendo davvero tanto materiale, e questo materiale poteva interessare non solo me. Così, ho pensato di renderlo fruibile a tutti. Ne è venuta fuori un’opera di 500 pagine.
 
Quindi hai fatto questa ricerca solo spinto da una sorta di curiosità iniziale? O c’era una volontà di espatriare?
C’era comunque una volontà di espatriare. Non volevo vivere in un paese dove esiste il pericolo che mi cada il tetto sulla testa.
 
Però sei ancora in Italia.
In realtà ci sono parzialmente: vivo all’estero con la mia famiglia e alcuni mesi all’anno sono anche in Italia.
 
E quale paradiso hai scelto?
Preferisco non risponderti perché non voglio influenzare il ragionamento degli altri! Ti dico solo che il paese che ho scelto è solo quello che più si adatta alle mie esigenze personali e professionali.
 
Che lavoro fai? Te lo chiedo perché il materiale contenuto nel tuo libro e la sua rielaborazione richiedono delle competenze specialistiche; ogni capitolo è approfondito come se tu avessi una laurea in quella materia, o come se ti fossi consultato con un tecnico del settore.
Io sono uno stylist engineer e sì, in effetti è stato proprio così: ci ho messo circa 3 anni a scrivere tutto quanto. Anni durante i quali ho contattato varie personalità e scienziati.
 
Ho visto che hai contattato anche la NASA.
Già, ma vuoi sapere cosa mi ha stupito, in tutto questo? Tu scrivi e le organizzazioni importanti rispondono. Mentre, in Italia, scrivi a una e non ricevi feedback.
 
Quando hai contattato i vari specialisti avevi già una casa editrice?
Assolutamente no. Avevo solo l’idea, li ho contattati come privato e ho raccontato quella. Ho spiegato quello che stavo per fare. Si sono dimostrati tutti interessati e disponibili e mi hanno fornito i dati corretti.
 
Chi è diventata la tua casa editrice?
Nessuna, il libro è ancora autoprodotto ed è in formato e-book. Le case editrici che avevo contattato all’inizio mi dissero che il lavoro era ottimo ma molto grafico, quindi avrebbe richiesto una stampa a colori che avrebbe fatto lievitare il prezzo, per questo non se ne fece nulla. Vendiamo su Amazon e iTunes.
 
Roberto in versione invernale
Parliamo di come è strutturato il libro. Lo avete diviso in “fasi del viaggio”. Cosa significano?
Abbiamo cercato di raggruppare i temi secondo famiglie di argomenti. La prima fase è di geofisica: si parla di uragani, terremoti, climi… abbiamo 27 climi, lo sapevi?
 
Lo ho scoperto leggendo il libro, eheh!
Tutti quei climi significano che ognuno è davvero libero di scegliere secondo le proprie preferenze. Per dirti altri argomenti del libro, la seconda fase è l’analisi economica, quindi stipendi, disoccupazione, tasse, fare business all’estero, autosufficienza energetica; la terza fase è anima e corpo, cioè guerre, fumatori, alcool e droghe, malattie. La quarta è dedicata a istruzione ed educazione, internet e sistemi sanitari. La quinta e ultima riguarda i diritti umani, quindi informazione e giornalismo, religioni, differenze di genere. Poi c’è una fase extra: i paesi più belli e le oasi naturali.
 
Non vuoi dire dove vivi per non condizionare il lettore, ma nel libro c’è un capitolo dedicato ai paesi belli. Sono belli in base al Patrimonio Unesco?
Sono belli in base all’interesse che suscitano dal punto di vista estetico e culturale partendo dal Patrimonio Unesco, perché questa ci sembrava l’unica raccolta sensata di bellezze paesaggistiche e culturali. Alla fine, progettando il libro, abbiamo dovuto tradurre su carta un pensiero e per farlo ci servivano dei parametri riconosciuti come oggettivi a livello mondiale.
 
Ecco, a proposito di tradurre su carta un pensiero: avete trattato un contenuto estremamente tecnico con un linguaggio molto evocativo, oserei dire quasi romanzato. Perché questa scelta?
Volevamo dare una forma narrativa a un manuale super tecnico per renderlo più piacevole da leggere. Il viaggio non è solo una costruzione di dati.
 
Se il viaggio non è solo una costruzione di dati, perché c’è una sezione dedicata al rapporto numerico tra donne e uomini?
Perché penso che questo sia un argomento che uno prende comunque in considerazione, anche se magari ufficialmente non si dice!
 
I paesi sono 196 vero?
In realtà sono 197 con il Vaticano, ma scegliere quest’ultimo come proprio Eden ci sembrava strano da immaginare, come concetto…
 
Avete anche un capitolo dedicato alle malattie, abbiamo detto. Che tipo di analisi avete fatto in questo caso?
Abbiamo tenuto in considerazione solo le malattie endemiche e infettive, che potenzialmente spaventano chi si sta spostando in un determinato posto. Volevamo concentrarci sulle patologie legate esclusivamente alla geografia del territorio.
 
Dopo la pubblicazione del libro, avrete ricevuto messaggi da parte dei lettori. Che idea vi siete fatti? Cerchiamo tutti il paese che ci esponga a meno pericoli?
Siamo tutti diversi… Perfino questi parametri non sono uguali.
 
Quindi non c’è un tratto comune che hai riscontrato, che muove ogni trasferimento?
No. Ad eccezione delle persone che si trasferiscono senza fare una vera ricerca e che scelgono il paese che va di moda in quel determinato periodo.
 
Ho un’ultima domanda: se diventi ricco con questo libro, ti licenzi e cambi paese?
Uhm… Il mio lavoro è anche divertente, quindi magari no. Facendo il designer, guardo un foglio bianco e penso a cosa ne potrà venire fuori: è come tornare bambini ogni volta.
 
È così che hai fatto il libro? Hai visto dei fogli bianchi e hai detto lo realizzo?
Eheh, sì. Il libro è stato realmente progettato come un prodotto ingegneristico.
 
Grazie Roberto, per il libro e per il tuo tempo. Buona fortuna!

 

Grazie a te, a presto!
Questa è la copertina del libro di cui abbiamo parlato fino ad ora.
Per i curiosi, il sito internet è qui.
ciboitalianoiviaggidelladruidainternazionalitC3A0nelpiatto

Cinque nazioni a cena con me: l’internazionalità è a tavola

Ho messo questa bella foto di cibo italiano al solo scopo di invogliarvi a leggere l’articolo.

In realtà, oggi parliamo sì di cibo, ma di quello quotidiano, e non di quello che vorrei, con quelle belle fettine di prosciuttino, yum.

Allora, oggi sono andata a fare la spesa in un supermercato turco.

Volevo sapere cosa vendono, cosa c’è di caratteristico e, soprattutto, cosa c’è di turco.
In Olanda è normale trovare cibi misti in un supermercato qualunque, da AH (Albert Heijn), a Jumbo, a Dirk – che sarebbero i Conad, Coop ed Esselunga della situazione.
Capirete che un supermercato che si dichiara turco attiri la mia attenzione curiosa come sono, e pure tanto.
Primo impatto: è tutto costosissimo. Madò. Hai capito li turchi.
Più costoso di un supermercato olandese. E no, non sono le spese di importazione, alcuni di quei prodotti ci sono già alla Coop locale e costano meno.
All’ingresso ho trovato mega cassette di frutta e verdura come quelle dei mercati generali.
Dentro, ho trovato il gotha dei prodotti turchi.
Un enorme bancone, ordinato per il lato lungo della struttura, e animato da un inserviente (un tizio vivo), ospitava cibi pronti come in rosticceria. Ovviamente turchi, quindi non ho capito cosa fossero.
Non ho chiesto perché il mio olandese non è a un livello tale da poter chiedere “scusi, che cos’è questa cosa” e sentire la spiegazione in olandese con accento turco. Senza contare che io non posso mangiare pesce. Non so se in Turchia si mangi pesce, ma meglio non rischiare, quindi ho tirato avanti.
Alla fine del bancone, lo stesso tizio vivo gestiva anche il reparto macelleria, la slagerij. Certi tagli di carne che il mio amico Adriano direbbe “addio Roma, vado via, da zero a 100 km in 5 secondi e senza rancore”. Grandi, spessi, di taglio magro e basso-basso costo.
Ho tirato avanti, perché ero entrata per curiosare, ma ci devo tornare per quella carne, promesso.
Venti minuti, per girare tutti gli scaffali pieni di ogni ben di dio, o almeno credo, perché era scritto tutto in turco, quindi, in effetti, non saprei a quale ben di quale dio io stessi ammiccando esattamente.
C’era l’angolo pentolame, come Mondial Casa, o come Panorama oppure Auchan. Sia mai che ti si rompe un bicchiere. Mi pare una cosa intelligente, da mettere in un supermercato.
Poca scelta di rotoloni da cucina, discreta carta igienica, mega pacchi di riso di ogni tipo e tanto henné.
No pane, a parte quello confezionato tipico turco.
La parte di sinistra, tirata su tutta a suon di noccioline, altra frutta secca e mais tostato.
Merendine, cornetti, nutella.
Un cella frigorifera con prodotti così ambigui che non ero sicura di stare decifrando correttamente, e poi avevo freddo, la temperatura era simile a quella delle sale operatorie, il mio cervello stava smettendo di funzionare. Sono uscita prima che il ghiaccio mi attaccasse, ma non senza aver sfilato l’unica confezione che ho capito.
Mi sono detta ‘meno male che non vivo in Turchia, morirei di fame. No beh, forse starei studiando il turco, non morirei di fame. Comunque shampoo si scrive simile, i capelli me li potrei lavare. E se invece per lavarli sto prendendo una salsa idratante di noccioline?’
Ovetti kinder alla cassa, il marketing degli scaffali non muore mai.
Se ho visto cose strane? Penso tutte, erano turche e incomprensibili.
Non ho visto cibo Dutch. O se c’era, dormivo. O mi hanno narcotizzata per non farmelo ricordare.
Gli impiegati erano turchi. I clienti sembravano turchi e parlavano turco. Una cassiera scocciata dalle fattezze turche faceva il conto in olandese.

Alla fine sono uscita con una spesa esemplare e con 10€ ho comprato questo, che vado ad illustrarvi:

Savoiardi tipici turchi:
Wafer al cioccolato fondente tipici turchi:
Cellentani turchi e conchigliette turche, marca diversa per provare come tengono la cottura:
Cracker salati in superficie turchi:
Affettato di tacchino turco (o ‘affettato turco di turkey’, il mio gioco di parole preferito di questo articolo):
Una confezione di rotoloni per la cucina
(photo missing, ci servivano e abbiamo subito aperto il pacco.)
Risultato:

I savoiardi sanno di savoiardi italiani, tengono bene inzuppati nel latte, ci devo fare il tiramisu, sono prodotti in Austria.
I wafers sanno di wafers italiani, con crema al cacao, proprio buoni, sono prodotti in Austria pure questi.
I cellentani sanno di pasta italiana, tengono la cottura perfettamente, che bello finalmente ci sbarazziamo delle solite penne! Io poi, che detesto la monogamia pastara nel piatto. Sono prodotti in Turchia, by the way.
Pure le conchigliette ho visto che sono prodotte in Turchia, mi daranno le stesse soddisfazioni, lo sento.
I crackers non saprei dirvelo perché il pacco è finito in camera di mia figlia.
L’affettato di tacchino turco non è prodotto in Turchia, ma ha un marchio di garanzia del consorzio Islamici in Germania.
I rotoloni per la cucina hanno una profumazione a base di detersivo, molto allettante quando ti servono per pulirti la bocca. Io sapevo che per l’alito pesante bastava non mangiare topi morti e lavarsi i denti con regolarità.

In sostanza, non sai mai cosa mangi, avoglia a leggere le etichette.

No, non mi do al bio-macro-veg-etc.
Sì, sono una sperimentatrice in tutto quello che faccio, dal lavoro al cibo. Non ho comprato niente di più solo per ragioni di allergie. (Per il momento).
Ho pensato a Federica, corrispondente dalla Turchia per Donne Che Emigrano, promessa sposa di un fantastico ragazzo turco, e mi sono chiesta “ma che mangia quella ragazza?”. Federica, se mi leggi, cosa mangi?
Tutto il mondo è paese e dovunque vai trovi sempre la Nutella. Incredibile.
Andare al supermercato è divertente!
Non siamo gli unici a produrre pasta vera.
Stasera ho cenato con un italiano, un turco, un austriaco, un tedesco e un olandese, e me la sono goduta.

Ho messo questa foto solo perché lo sapete che sono una fissata della spiaggia; in realtà, ho cenato a Utrecht.

Ps.
La salsa idratante di noccioline non esiste.
Almeno spero.
Settembre 2017
Giacomo Del Colle Lauri Volpi in scena con Van Gogh La Discesa Infinita

FCO – AMS: in volo sulle note della musica

Io un compositore di musica classica non lo avevo ancora conosciuto.

Ho studiato violino, strimpello il pianoforte (i tecnici mi perdonino per la bassezza del mio modo di esprimermi), ho conosciuto musicisti di ogni genere musicale, ma il compositore di classica davvero, davvero, mi mancava.

La cosa bella è che questa intervista è arrivata in modo casuale.

Ero andata ad Amsterdam, a vedere uno spettacolo a teatro: ‘Van Gogh, la discesa infinita’. Una pièce teatrale tratta dal libro di Giordano Bruno Guerri, messa in scena da Paola Veneto e con un cast di attori che sembrano usciti dal libro di storia dell’arte.

Giacomo musica il tutto.

Per farla breve: mi sono innamorata di quello che ho visto, ne ho scritto una recensione, ho contattato la crew, e com’è come non è mi sono ritrovata con Giacomo, di fronte a una birra, con il suo amico e socio Marco Cucco che in tutto questo vive ad Amsterdam, seduti al Bar Lebowski di Utrecht.

Eh sì, esiste un Bar Lebowski.

Ok. Facciamo che tu ti presenti e mi dici chi sei e cosa fai.

Ok. Faccio il compositore di musica classica, da 12 anni. Ho lavorato in RAI, ho cominciato sonorizzando la televisione, cioè documentari e spettacoli tv. Poi ho fatto pubblicità con Antongiulio Frulio, ero il suo assistente. Quando lui è andato negli Stati Uniti, io sono rimasto a Roma, in un giro che ormai cominciavo a conoscere bene. Lavoravo già con la computer music, in un’epoca in cui non esistevano software campionati, quindi capisci che la scelta della Produzione era pagare un sacco di soldi a un’orchestra vera, o dare a me un decimo del budget. I primi anni ho lavorato davvero molto.

Questo era quello che volevi fare da grande?

Sì, assolutamente. Anche se tutto è un’evoluzione, man mano che vai avanti scopri nuovi punti di arrivo.

Compositore di classica, hai detto. Cosa hai studiato?

Ho un diploma di composizione e flauto traverso al Conservatorio di Santa Cecilia.

Tu vivi e lavori a Roma?

Anche, sì.

Hai mai pensato a trasferirti definitivamente?

Eehh… Intanto devi tenere conto che mia madre è spagnola, per me il concetto di doppia nazione è normale. Nel 2008 ho pensato di andare a vivere in Spagna ma, per una serie di circostanze indipendenti da me, non lo ho più fatto. Fino ad adesso sono rimasto a Roma e al momento, con Spettro Sonoro, il progetto che condivido con Marco, stiamo collaborando con Sky, anche se Marco è già fisso in Olanda; ma riusciamo a gestire i lavori.

Va sempre tutto liscio? Non si risente della crisi?
Alcuni periodi si fatica un po’. Al momento non potrei farmi una famiglia: io ho 36 anni, è un’età in cui cominci a pensare anche a queste cose.

E questo non è un incentivo a trasferirsi?

Assolutamente sì! Ho pianificato regolarmente evasioni stile Fuga da Alcatraz, ma alla fine succedeva sempre qualcosa che mi tratteneva in Italia. C’era sempre qualcosa da fare, o da lasciare.

Hai detto che alcuni periodi si fatica un po’. Come si affronta il possibile buio che compare all’orizzonte?

Nei momenti morti, componi comunque. Ma per te stesso. Setacci un aspetto interiore della musica.

C’è una tecnica che si segue per comporre, o si va a sensazione?

C’è una tecnica. Ma la musica sta cambiando, c’è una tecnica precisa a seconda delle varie cose: dipende da quello che devi fare. Se componi per te, l’impresa più stimolante è che la tecnica te la cerchi tu. Per esempio, se vuoi fare un pezzo sui semafori di Utrecht, decidi di sonorizzare verdi, gialli, rossi… ma è una roba tua, sarà difficile da vendere.

Suona tutto come molto tecnico. Come vedi il rapporto tra il linguaggio della musica e quello della matematica?

La matematica è la parte preponderante. Nel futuro io mi immagino a collaborare nelle università, come ricercatore, a stipulare un programma che funziona in suoni sul DNA.

E poi che ci fai?
Niente, lo tengo per me.

Parliamo del motivo per cui ci troviamo qui io e te in questo istante. Come sei arrivato a comporre Van Gogh?

Cerco di riassumerti la storia. Giordano Bruno Guerri scrive il libro “Follia? Vita di Vincent Van Gogh”, dove sviluppa una tesi parallela a quella ufficiale, ossia che Van Gogh non fosse folle ma si fingesse tale per avere i mezzi per continuare a dipingere. Paola Veneto decide di fare promozione al libro, mettendo in scena una pièce teatrale. Contatta, allora, Alessandro Parise. Siamo nel 2009. Alessandro mi chiama, perché in scena serve un musicista.

Un incontro casuale di anime.

Sì. Abbiamo cominciato facendo prove, tentativi. Non avevamo fondi, solo un pianoforte. Ci siamo messi tutti insieme a leggere il libro e a sottolineare i punti che dovevano essere maggiormente valorizzati secondo Paola, che è sì la regista, ma ci ha sempre lasciato carta bianca nell’interpretazione. Quindi lo spettacolo è nato un po’ così: con pezzi che erano bozze da libreria fissate sull’hard disk, bozze come quelle scritte nei famosi momenti no, di cui parlavamo prima. Avevo un Maestro che diceva “la musica è come il maiale, non si butta via nulla”.

Il tuo Maestro a quanto pare aveva ragione. I linguaggi della comunicazione sono decisamente imprevedibili. E anche la storia di questo spettacolo lo è: se ho capito bene, è nato come attività promozionale e a distanza di 8 anni ancora gira.

Sì, ha avuto un successo inaspettato. Abbiamo girato palchi importanti, siamo andati anche a “Cortina Incontra”.

E perché lo offrite ancora in maniera gratuita?

Lo spettacolo è rimasto a titolo gratuito per rispettare il motivo originale, cioè la promozione del libro. Ma poi ci piace tantissimo tutto quello che si è creato, e anche il gruppo di lavoro, la storia stessa. Alcune date le abbiamo fatte senza percepire compenso.

Van Gogh è cambiato, nel corso del tempo, vero?

Van Gogh è cambiato tre volte. Il nocciolo duro è Paola-Giordano-Alessandro-io.

Perché Van Gogh è cambiato?

Perché come dice Marco, il mio socio, il protagonista muore alla fine della rappresentazione, ahah! Il Vincent attuale, Antonio Gargiulo, sembra il Vincent vero, è impressionante. Lo ha chiamato sempre Alessandro.

Ora che avete girato per Amsterdam, è capitato che qualcuno fermasse Antonio o lo guardasse incuriosito?

Di base no, perché lui si confonde bene con gli olandesi, sembra uno di loro. Ma c’è stato un momento in cui siamo passati accanto a un negozio con alcune forme di formaggio che avevano il viso di Van Gogh, lui si è messo vicino al formaggio per farsi una foto e alcune persone si sono fermate per fare una foto a lui e al formaggio!

Perché questo spettacolo viene fatto ancora, a distanza di quasi 10 anni?

Perché ci piace farlo. Anche se ognuno di noi ha un altro lavoro, quindi riusciamo a riunirci solo ogni tanto. Ma questa volta è stata diversa.

Perché?

Forse perché all’estero non ci eravamo mai esibiti. Ed eravamo pure nella terra di origine di Van Gogh. Tutte quelle frasi, le pagine di libro, le battute di scena, le stavamo vedendo nel loro contesto naturale. Avevano una potenza diversa. Per la prima volta abbiamo potuto dire “andiamo a vedere dal vivo le terre in cui Vincent ha vissuto”.

Deve essere stato emozionante.

Lo è stato. Eravamo anche stremati fisicamente. Abbiamo avuto una giornata lunga, non abbiamo dormito per le 24 ore precedenti alla rappresentazione. Sono successe cose per le quali uno direbbe “hey: che situazione ostile”.

“Hey che situazione ostile”: e certo, chi non lo direbbe?

Fa molto western, ahah… Abbiamo anche una chat di gruppo, che si chiama “Van Gogh ad Amsterdam”.

Beh, da spettatrice, ti posso dire che quelle emozioni le avete comunicate tutte. Mischiando note, parole, sentimento, luci, danza e volti difficili da dimenticare.

Grazie!

No, grazie a voi. È stato un piacere scoprirvi, e spero di rivedervi di nuovo all’opera.

Il piacere è stato nostro, di esserci potuti esibire ad Amsterdam. Tra l’altro, una città che si è rivelata di grande ispirazione.

Io Amsterdam ormai la conosco da un po’ e so quanta ispirazione può dare.

Ma in questo caso, ciò che mi ha ispirata insieme a tutto il resto è stata la musica di Giacomo.

C’è un piccolo assaggio di quello che ha prodotto, un brano di due minuti che lui mi ha gentilmente concesso in utilizzo per la recensione che ho scritto sullo spettacolo: lo trovate qui, se volete ascoltare qualche nota. Davvero ve lo consiglio.

 

Ps. Volete sapere com’è andato il resto dell’intervista e cos’altro ci siamo detti con lui e con Marco, il suo socio? Cliccate qui.

foto Paola Ragnoli e Giacomo Del Colle Lauri Volpi insiemeUna versione estiva di me e Giacomo a Roma, nel mitico Bar Vanni. I sorrisi hanno abbagliato la camera, per questo la foto è venuta sfocata.