carte da gioco e dadi oro

La spinta del cuore

(202007061930)

 

Mentalmente, mi appresto ad andare. Verso dove è solo una bozza ancora tutta da chiarire, ma è certo che i tempi sono quasi maturi, e che l’unica cosa che mi guiderà sarà, come sempre, il cuore, perché una vita senza seguire il cuore non vale la pena di essere vissuta.”

La citazione che avete appena letto è di questo brano qui.

Quello che ho scritto a maggio e per il quale avevo promesso un chiarimento ‘a breve’.

Poi si sa come ‘a breve’ diventa per me. Diciamo che il concetto di tempo è molto esteso, per una che si chiama la Druida. Così, da maggio ad ‘a breve’, ci ritroviamo a fine luglio.

Il motivo per cui ho sentito il bisogno di chiarire il va-dove-ti-porta-il-cuore praticamente due minuti dopo che lo ho scritto (nonostante i due mesi dopo che lo ho fatto), è nato da una lettrice che ha lasciato un commento su Facebook sotto al post.

Le sono grata, mi ha dato modo di immaginare il concetto nella mia testa e di dargli forma: di modellarlo, così come lo intendevo io. Ed è per quello che oggi mi ritrovo a scriverne.

Il cuore che seguo non è un cuore di amore.

Lo sapete: l’amore è il mio tema centrale, fulcro di un viaggio, quello della Druida, fluttuante, tra il sogno e la realtà, l’immaginario e il reale, il tangibile e l’impalpabile.

E’ l’amore che mi muove, e questo amore non è quello dei Baci Perugina che vi state forse immaginando. L’amore di cui parlo è un concetto esteso universale, che va sopra e che va oltre. Above and Beyond.

Ma le scelte d’amore e le scelte di cuore sono due cose differenti.

Il cuore ha il suo protagonismo molto più ampio su altre scene, è “tutto un insieme vasto di esperienze, sapori e sensazioni, che hanno a che vedere con tutto il tuo essere, e l’amore è solo una parte di esse”, come scrivo in questo articolo per Donne Che Emigrano all’Estero.

Il cuore è il mio istinto.

Ho sempre cercato di fare le mie scelte seguendo l’istinto e non la mente, perché ogni volta che ho seguito la mente alla fine ho sbagliato.

E per sbagliato intendo che mi sono trovata scomoda e inadeguata. Non pentita, perché comunque se quella scelta la avevo fatta, aveva un senso, e c’era una lezione da imparare. Ma alla fine la morale era sempre la stessa:

la mia mente era in linea con il mio cuore?

Quando la risposta è stata no, il passo successivo è stato cambiare strada; indovinate per andare in quale direzione.

Non dico che seguire il cuore non porti dolore. Lo porta eccome.

Porta sofferenza e gioia, porta essere dilaniati, porta avere il coraggio di armarsi, porta il disturbo di rompere le proprie barriere. E dio sa se fa male a volte.

Ma dio, se ti dà quello che cerchi.

E quando quello che cerchi è tuo e lo ho hai costruito tu, nessuno te lo può togliere.

Immagino che a qualcuno (forse a più di qualcuno), tutto questo sembrerà folle o senza un senso concreto.

Seguire il cuore è l’equivalente di sedersi in una stanza neutra, chiudere gli occhi e pensare: “Cosa voglio davvero? Dove mi sento trasportato? Cosa mi fa sentire appagato?” e poi farlo.

A volte, seguire il cuore è anche sedersi in quella stessa stanza, chiudere gli occhi e pensare “Chi mi fa sentire completo?”, che significa ‘naturale’, ‘completementare’, ‘a casa’. Ma questo è un altro discorso. Questo è un altro articolo.

Il punto di oggi è il cuore come intuito, come istinto che ti dice sempre dove andare e dove sta la verità per te.

Puoi decidere di seguirla, o di utilizzare le barriere di convenzione.

Ogni scelta è buona. Nessuna è condannabile. L’importante è l’accettazione.

(photo credits: Matt Flores on Unsplash)

druida-covid-ritratto

Druida pandemica

Mezz’ora per trovare un titolo a questo breve pezzo. Meh.

Lo so che è luglio e siete impegnati con le vacanze.

Probabilmente sarete anche al mare, o a farvi un aperitivo da qualche parte.

Sicuramente sarete a godervi il sole, se siete in un posto baciato da questa grazia.

Ma mi conoscete, e sapete come sono fatta. Quanto più vi state rilassando, tanto più vi arriva la mia considerazione del giorno. E questo accade perché la Druida vive in versione scritta solo nel mio tempo libero. Ma questa è un’altra storia.

Insomma, la questione è che, tempo fa, ho creato questo sito:

(cliccarci sopra, prego)

covidpatientsnotrecovered .

Ho deciso di inverstirci soldi, tempo e anima, perché la salute ce la ho già messa, a riguardo. E sto cercando di sensibilizzare quante più persone.

Lo sto pubblicizzando come Druida, perché da qui già mi conoscete, e mi è più facile farmi leggere e spingere più lontano la mia voce.

Credo che questa sia una delle imprese più impossibili in cui mi sia imbarcata nella mia intera vita. Ma continuo lo stesso.

Anche se fa caldo ed è vacanza, la gente sta male.

Le frontiere sono chiuse, le famiglie sono spaccate, i sintomi non sono spariti.

Solo, non li vedete perché si parla di altro. Giustamente, perché la vita va avanti.

Fantascienza o realtà, pantomima o meno, questa è la vita che migliaia di persone stanno vivendo.

Per colpa di chi o che cosa non si sa, ma poco ti interessa questa cosa a un certo punto, quando stai male.

Non voglio cominciare a interessere polemiche, o discorsi politici o complicati. Mi interessa solo mostrarvi la verità; aprire una finestra su un mondo che vi hanno detto che esiste, ma che in buona parte non avete mai toccato, e forse dubitate pure che ci sia mai stato.

Il mio mestiere qui è mostrare, usando le armi che conosco. So scrivere; uso le parole.

Il sito è in inglese, perché il Covid è una patologia mondiale, e il sostegno che vuole offrire va oltre i confini. Almeno questo può prendere il volo senza gli aerei.

Se siete stati vittima del virus, o se conoscete qualcuno che lo è stato, potete aiutare gli altri a sentirsi meno soli.

Potete condividere la vostra storia, da pazienti o da amici/famigliari.

Potete condividere il sito.

Questo sito qui: covidpatientsnotrecovered

Sarebbe un bel gesto.

Detto da qualcuno che ha cercato per mesi queste informazioni e questo appoggio, e alla fine ha pensato di costruirlo per gli altri.

Qualunque sia la vostra scelta, vi ringrazio per essere arrivati a leggere fino a questo punto.

Speriamo che tutto questo abbia una fine, un giorno.

Ciao e, comunque, grazie.

Il rito di passaggio

Si tratta di far uscire le parole.

Si tratta di cominciare a scrivere i pensieri che circolano in testa, i ricordi, i frammenti, le immagini.

Volti, sensazioni, dolore, flash.

Ale, il telefono, il respiro flebile. Un filo di voce mentre respiro piano, e lentamente. Affannata. come se l’anima volesse scivolare via ma una parte restasse agganciata alla gabbia toracica. Quel frammento strappato e filamentoso tiene in vita. ansimando.

“Ale, ho paura”. 

Ogni normale attività, fino al decimo giorno.

Quella febbre che cominciava. Le guance un po’ rosse, che in fondo fanno tanto salute.

Il dubbio. “Sarà meglio sentire il medico, tanto per essere sicuri”.

Il riposo a letto, tanto per essere sicuri, e approfittarne un po’ per riposarsi.

Poi, il declino.

Velocissimamente, dalla terra precipitare verso il basso senza nemmeno accorgersi.

La febbre che sale, poi scende, poi sale di più, e quel dolore al petto, quel dolore, quella morsa mortale, quella stretta che ti brucia l’anima, quel macigno che ti sfonda le costole.

Quegli occhi che bruciano. 

Poca tosse, ti dici, “io non sto come gli altri”, ma non ti rendi conto che tu stai facendo come gli altri: tu sei ‘gli altri’.

Cominci a dormire, una, due, tre ore al mattino, e poi anche al pomeriggio.  

Cominci a tremare; non ti senti più gli arti. Mani e piedi formicolano quando parli, quando cammini, quando ti alzi. 

E’ l’ossigeno che manca.

Ti guardi le labbra.

Le dita.

Le unghie.

Controlli di non essere blu.

Ti accontenti di un leggero mal di stomaco, felice di non avere forti gastriti e vantandoti di non avere mai perso l’olfatto. Per poi scoprire solo sentendo un profumo dalla cucina 30 giorni dopo che, in realtà, lo avevi perso anche tu.

Ancora la febbre, ancora il respiro. Il suono del vento che sibila da dietro a una porta, piazzato dentro ai tuoi polmoni.

Non c’è più una realtà.

Ci sei solo tu, nel silenzio della tua stanza, e nel vuoto del tuo universo.

Fissi le pareti senza nemmeno cercare un’uscita, perché la tua unica uscita è quel filo di aria, che ti ostini a far suonare più forte di come in realtà è, vendendolo come capace di una normale conversazione telefonica.

Tu non ti senti, le persone invece sì. Le persone ti dicono che non stai andando bene.

Qualcuna mente, e ti dice che non sente niente.

Qualcuno ti ascolta, ti ascolta e basta, ti distrae e ti fa parlare dei tuoi sogni, delle tue speranze, ti fa riflettere, mentre tu sei lì, semiseduta a distrarti cercando un perché, cercando di capire perché te.

Non esistono medicine. Non c’è niente per fare scendere la temperatura, niente per calmare il mal di testa, niente per respirare meglio. 

C’è solo l’attesa. E il panico dell’ammalarsi di una malattia che nessuno conosce, e di cui non si conoscono gli effetti nel tempo. Mentre tutti ripetono di scappare e chiudersi in casa, nessuno sa cosa accade a chi è colpito. C’è il vuoto del nulla. Il cosmo sotto ai tuoi piedi. Il punto interrogativo negli occhi della gente. Le domande irrisolte.

Tu e te stesso. Il tuo corpo che combatte senza aiuti.

C’è lo scoramento.

E a un certo punto, c’è un’infinitesimale voglia di mollare. perché sei stanco di stare così male.

Meditazione.

Convincersi che stai bene, ripetersi che stai bene, fino a consumare le parole, fino a terminare il vocabolario, fino alla nausea. Fogli, frasi, suoni, canti, om, “il mio corpo è un tempio, il mio corpo è sano, il mio corpo è in armonia”. Ogni frase mi risuona dentro, si fracassa nel torace. Lo sguardo piatto e sbarrato senza sorriso impedisce alle lacrime di parlare e intontisce il cervello fino all’ossessione.

Fumi di idrossiclorochina dall’America risalgono lentamente offuscando i pensieri. Il farmaco è lontano. La guarigione pure. Ma il calore di alcune persone no.

E allora capisci.

Il senso di tutto. 

Di quella esperienza, di questa vita, di quelle parole, di quelle telefonate.

Capisci come tutto segua un suo percorso. 

Sono passati mesi e il ricordo del dolore fisico ogni tanto è ancora vivo; lo shock è più acuto; la guarigione ancora un po’ lontana; ma la febbre rallentata; il respiro migliorato; il cuore più aperto; lo sguardo più chiaro; la visione più netta; la vita cambiata. Il percorso di una vita è alla fine, mentre una nuova ha inizio.