(202005051954)
L’otto marzo pubblicavo l’ultimo post prima di questo. Oggi è il 5 maggio, come al solito mi sto dimostrando incostante.
In realtà un motivo ce l’ho, questa volta, per non aver scritto in – praticamente – due mesi, e pure bello grosso. Ma non ne parlerò. Questo è un po’ il guaio dell’essere un personaggio pubblico (una sorta di): se dai in pasto la cosa sbagliata, diventa un casino.
Dunque, allontanate pure le congetture dalle vostre menti, che tanto sarebbe assolutamente inutile perché non vi dico niente, e passiamo al punto dove vi voglio portare.
Quanto siete cambiati dentro?
In inglese, la sveglia dal torpore si dice wake-up call.
La wake-up call è la scossa, un campanello d’allarme, il segnale che è ora di cambiare, la chiamata alle armi; quella catasta di roba che vi si rovescia addosso e non potete ignorare.
Ho avuto molte wake-up call nella vita, quindi le cose sono due: avevo un sacco di lezioni da imparare oppure non sono ancora arrivata a svoltare l’angolo giusto.
O magari sono entrambe le cose. E con questo non voglio dire che stavolta ci sono, perché come fai a capire quale sia l’angolo giusto diciamo che con certezza ancora non lo so.
In ogni caso: è suonata un’altra sveglia.
In un paese, qui, dove puoi fare un po’ come ti pare, rispetto alle chiusure forzate di altre nazioni; dove la mascherina non è obbligatoria; dove non ti sparano addosso; dove l’approccio elastico ha trovato la mia approvazione (ah, cosa ho detto!); dove il silenzioso razzismo si stampa anche nella discriminazione di un essere umano malato.
Per questo ultimo motivo e per tanti altri, mentalmente mi appresto ad andare.
Verso dove è solo una bozza ancora tutta da chiarire, ma è certo che i tempi sono quasi maturi, e che l’unica cosa che mi guiderà sarà, come sempre, il cuore.
Perché una vita senza seguire il cuore non vale la pena di essere vissuta. Ricordatevi che è oggi il tempo in cui siete.
Né ieri, né domani.