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Le interviste della Druida: note sul paradiso e Roberto Stanzani

Per la prima volta sul blog ospito un’intervista.
Oddio, veramente era un po’ che pensavo di inserire questa sezione, facendo due chiacchiere con voi sul tema del viaggio e argomenti vari. Tra questo po’ e l’oggi, è successo nel frattempo che sono stata contattata da Roberto Stanzani, autore del libro Eden, Trova il tuo Paradiso Terrestre.
In breve:
Ho letto il libro.
Ho deciso che dovevo assolutamente condividerlo con voi.
Perché?
Perché questo libro non è solo un manuale per scegliere il proprio paradiso personale, come dice Roberto, ma una sorta di enciclopedia miniaturizzata.
Perché chi ha voglia di viaggiare e non può permetterselo, farà il giro del mondo in 500 pagine.
Perché chi farà questo giro del mondo virtuale, non lo farà da turista ma da viaggiatore.
Perché chi ha sete di conoscenza, troverà i dati che cerca.
Perché chi vuole andare via e non sa da dove cominciare, potrà trovare qualche idea.
Perché chi ha figli in età scolare, potrà appioppargli questo tomo e dire “tiè, figlio, studia qui che ci sta il ripasso della roba che fai a scuola” (“o che dovresti fare”).
Così, un lieve giorno di ottobre, in un sabato che tutto aveva tranne che del pigro e stanco fine settimana, ho chiesto le seguenti cose a Roberto.
(Sono le ore 16. Vorrei aggiungere che, sullo sfondo della nostra chiamata skype, dietro di me c’è una fantastica libreria che ospita pile di mie carte, bicchieri da vino, sale e pepe; dietro Roberto, c’è la campagna emiliana illuminata dal sole, lui è in maglia di cotone e un signore passeggia stancamente. Cose che noti, quando tu ti trovi nella terra della pioggia a vento.)
 
Roberto, la prima domanda che mi viene in mente, guardando la copertina del tuo libro, è questa: ci sono due autori, ma tu sei l’interfaccia ufficiale. Qual è il rapporto tra te e il secondo autore, Sergio Senesi?
Sergio è un ingegnere, un mio ex collega di lavoro. Mi ha supportato sia dal punto di vista organizzativo che emotivo perché l’opera è molto articolata e lunga, ha richiesto una approfondita ricerca di dati e grazie a lui sono riuscito a organizzare le scadenze necessarie per ordinare il materiale e portare a compimento il libro.

Io ho una versione del libro che è la 2.0. La prima edizione di quando è?
La prima è uscita tra il 2013 e il 2014; ora la abbiamo aggiornata perché è la natura stessa del libro che lo richiede. Ci sono dati raccolti da organizzazioni internazionali come l’ONU, la NASA, l’ESA, che cambiano a seconda dei rilevamenti ufficiali.
 
Chi ha parlato di voi, finora?
Turisti Per Caso, Caboto, siti del mondo dell’espatrio come Italians In Fuga e Voglio Vivere Così.
 
E ora siete anche su I Viaggi Della Druida. Info per chi vi legge: in quante lingue esiste il vostro libro e quanto costa?

C’è anche in inglese, con il titolo di “Paradise Found At Last”; costa €9,99, per offrire a tutti la possibilità di accedere ai dati che abbiamo raccolto.

 

Lui è l’autore del libro. In versione estiva nell’Oceano 🙂
Parliamo di questo. Arrivata alla fine della lettura mi sono detta “ok, come faccio a mettere insieme tutti i dati per capire qual è il mio paese ideale?” Poi ho scoperto che ci sono le mappe sovrapponibili. Fantastiche!
Vero, sono molto utili. Sono mappe visualizzabili su computer, oppure cartacee in formato A3. Si sovrappongono attraverso una mappa trasparente e in questo modo puoi selezionare o cancellare di volta in volta gli Stati che ti interessano di più, in base ai parametri che avrai trovato nel libro. Comunque, alla fine di ogni capitolo ci sono già delle mappe mondiali riassuntive per argomento.
 
Perché ti è venuta in mente l’idea di questo libro?
Mi è venuta in mente nel 2009, quando c’è stato il terremoto a L’Aquila. Ho iniziato a chiedermi se ci fosse un paese del mondo senza pericolo sismico. Ho fatto una prima ricerca e ho trovato la mappa mondiale del rischio sismico. Da quel primo argomento sono passato ad altri e, dopo un po’, mi sono accorto che stavo raccogliendo davvero tanto materiale, e questo materiale poteva interessare non solo me. Così, ho pensato di renderlo fruibile a tutti. Ne è venuta fuori un’opera di 500 pagine.
 
Quindi hai fatto questa ricerca solo spinto da una sorta di curiosità iniziale? O c’era una volontà di espatriare?
C’era comunque una volontà di espatriare. Non volevo vivere in un paese dove esiste il pericolo che mi cada il tetto sulla testa.
 
Però sei ancora in Italia.
In realtà ci sono parzialmente: vivo all’estero con la mia famiglia e alcuni mesi all’anno sono anche in Italia.
 
E quale paradiso hai scelto?
Preferisco non risponderti perché non voglio influenzare il ragionamento degli altri! Ti dico solo che il paese che ho scelto è solo quello che più si adatta alle mie esigenze personali e professionali.
 
Che lavoro fai? Te lo chiedo perché il materiale contenuto nel tuo libro e la sua rielaborazione richiedono delle competenze specialistiche; ogni capitolo è approfondito come se tu avessi una laurea in quella materia, o come se ti fossi consultato con un tecnico del settore.
Io sono uno stylist engineer e sì, in effetti è stato proprio così: ci ho messo circa 3 anni a scrivere tutto quanto. Anni durante i quali ho contattato varie personalità e scienziati.
 
Ho visto che hai contattato anche la NASA.
Già, ma vuoi sapere cosa mi ha stupito, in tutto questo? Tu scrivi e le organizzazioni importanti rispondono. Mentre, in Italia, scrivi a una e non ricevi feedback.
 
Quando hai contattato i vari specialisti avevi già una casa editrice?
Assolutamente no. Avevo solo l’idea, li ho contattati come privato e ho raccontato quella. Ho spiegato quello che stavo per fare. Si sono dimostrati tutti interessati e disponibili e mi hanno fornito i dati corretti.
 
Chi è diventata la tua casa editrice?
Nessuna, il libro è ancora autoprodotto ed è in formato e-book. Le case editrici che avevo contattato all’inizio mi dissero che il lavoro era ottimo ma molto grafico, quindi avrebbe richiesto una stampa a colori che avrebbe fatto lievitare il prezzo, per questo non se ne fece nulla. Vendiamo su Amazon e iTunes.
 
Roberto in versione invernale
Parliamo di come è strutturato il libro. Lo avete diviso in “fasi del viaggio”. Cosa significano?
Abbiamo cercato di raggruppare i temi secondo famiglie di argomenti. La prima fase è di geofisica: si parla di uragani, terremoti, climi… abbiamo 27 climi, lo sapevi?
 
Lo ho scoperto leggendo il libro, eheh!
Tutti quei climi significano che ognuno è davvero libero di scegliere secondo le proprie preferenze. Per dirti altri argomenti del libro, la seconda fase è l’analisi economica, quindi stipendi, disoccupazione, tasse, fare business all’estero, autosufficienza energetica; la terza fase è anima e corpo, cioè guerre, fumatori, alcool e droghe, malattie. La quarta è dedicata a istruzione ed educazione, internet e sistemi sanitari. La quinta e ultima riguarda i diritti umani, quindi informazione e giornalismo, religioni, differenze di genere. Poi c’è una fase extra: i paesi più belli e le oasi naturali.
 
Non vuoi dire dove vivi per non condizionare il lettore, ma nel libro c’è un capitolo dedicato ai paesi belli. Sono belli in base al Patrimonio Unesco?
Sono belli in base all’interesse che suscitano dal punto di vista estetico e culturale partendo dal Patrimonio Unesco, perché questa ci sembrava l’unica raccolta sensata di bellezze paesaggistiche e culturali. Alla fine, progettando il libro, abbiamo dovuto tradurre su carta un pensiero e per farlo ci servivano dei parametri riconosciuti come oggettivi a livello mondiale.
 
Ecco, a proposito di tradurre su carta un pensiero: avete trattato un contenuto estremamente tecnico con un linguaggio molto evocativo, oserei dire quasi romanzato. Perché questa scelta?
Volevamo dare una forma narrativa a un manuale super tecnico per renderlo più piacevole da leggere. Il viaggio non è solo una costruzione di dati.
 
Se il viaggio non è solo una costruzione di dati, perché c’è una sezione dedicata al rapporto numerico tra donne e uomini?
Perché penso che questo sia un argomento che uno prende comunque in considerazione, anche se magari ufficialmente non si dice!
 
I paesi sono 196 vero?
In realtà sono 197 con il Vaticano, ma scegliere quest’ultimo come proprio Eden ci sembrava strano da immaginare, come concetto…
 
Avete anche un capitolo dedicato alle malattie, abbiamo detto. Che tipo di analisi avete fatto in questo caso?
Abbiamo tenuto in considerazione solo le malattie endemiche e infettive, che potenzialmente spaventano chi si sta spostando in un determinato posto. Volevamo concentrarci sulle patologie legate esclusivamente alla geografia del territorio.
 
Dopo la pubblicazione del libro, avrete ricevuto messaggi da parte dei lettori. Che idea vi siete fatti? Cerchiamo tutti il paese che ci esponga a meno pericoli?
Siamo tutti diversi… Perfino questi parametri non sono uguali.
 
Quindi non c’è un tratto comune che hai riscontrato, che muove ogni trasferimento?
No. Ad eccezione delle persone che si trasferiscono senza fare una vera ricerca e che scelgono il paese che va di moda in quel determinato periodo.
 
Ho un’ultima domanda: se diventi ricco con questo libro, ti licenzi e cambi paese?
Uhm… Il mio lavoro è anche divertente, quindi magari no. Facendo il designer, guardo un foglio bianco e penso a cosa ne potrà venire fuori: è come tornare bambini ogni volta.
 
È così che hai fatto il libro? Hai visto dei fogli bianchi e hai detto lo realizzo?
Eheh, sì. Il libro è stato realmente progettato come un prodotto ingegneristico.
 
Grazie Roberto, per il libro e per il tuo tempo. Buona fortuna!

 

Grazie a te, a presto!
Questa è la copertina del libro di cui abbiamo parlato fino ad ora.
Per i curiosi, il sito internet è qui.
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La via per la felicità

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Devo raggiungere un posto.

Non chiedetemi quale sia, devo raggiungerlo e basta. 

Finalmente mi decido a prendere la bicicletta.

Dopo tanti mesi passati a dire che non ce la avrei fatta – per via del ginocchio, e poi non vado in bici da una vita chissà se ne sarò ancora davvero capace, scopro che non solo ci so andare ma il ginocchio non fa neanche male.

Così, salgo in sella sotto al semaforo rosso, accanto a un motociclista, un signore sulla cinquantina che guida un bolide in stile Ducati.

Quando scatta il verde parto io. Dritta, in linea, senza sbandare, sorpasso perfino il motociclista, che mi guarda ammirato.

Come se una bici potesse superare una moto… eppure è successo.

Percorro un rettilineo che mi ricorda il ponte di Corso Francia a Roma, imbocco altre due strade un po’ tortuose, sottopassi e cavalcavia, sono ancora dritta, mi stupisco; sempre con andatura liscia e sfrecciante.

Arrivo vicina alla mia meta e, nei circa 500 metri che precedono l’arrivo, uno stuolo di ragazze in maglietta bianca si allinea lungo il bordo delle strade finali e comincia a sparare con un mitra.

Tutte ne hanno uno, ma anche io ne ho uno: lo stesso loro, guarda caso, e senza mai frenare lascio andare la bici e comincio a scivolare quasi a velocità supersonica, come se fossi ugualmente su due ruote, o come se avessi le ali.

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Che sensazione incredibile.

Sparo a mia volta. So che nessuno si farà male e se fosse una vera battaglia la strada sarebbe già rossa, ma non è una vera battaglia e io comunque sto vincendo.

Con grazia e senza il freno di alcuna pesantezza arrivo alla meta, ed entro.

L’edificio ha alti e bassi. Un teatro al piano terra – livello più alto, un vasto teatro da opera classica dove si stanno svolgendo le prove generali della pièce che andrà in scena la sera, è una prima.

Al piano più sotterraneo: una piscina e altre sale sportive dove sono in corso tornei pseudoamatoriali ma con presenza obbligatoria, capitanati dall’insegnante di ginnastica di mia figlia.

La sala è gremita, tutti mi attendono.

Sono la regina indiscussa, non so perché. Sono amata, stimata.Persone di ogni età si avvicinano a me e mi chiedono consigli, uno sguardo, sorrisi.

In particolare, una signora sulla settantina, dall’apparenza molto snob e ricca, elogia la mia persona e dimostra affetto e simpatia. 

Ma io ho voglia di un caffè. Ho bisogno di un caffè.

Al piano delle piscine c’è una macchinetta di bevande pronte, io vorrei un bar.

Anzi, non voglio un caffè, ma un cappuccino, con quella sua bella schiuma corposa e densa.

Salgo a livello. Altri signori si fermano a parlare, altre chiacchiere, altre ammirazioni. Mi serve quel caffè.

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“Scusi, posso avere un caffè?”, “mi spiace il bar è chiuso”, dice la signorina al bar del teatro.

Esco, vado in strada, fluttuo veloce, “devo tornare presto nell’edificio”, non c’è un bar. Non vedo un bar. Non c’è mai un bar quando serve.

Lo dico anche al mio caro amico e confidente che mi chiama in quel momento per parlarmi delle sue figlie e di come gli va la vita, “non trovo un bar, sembrano scomparsi tutti. Ah no, aspetta, forse ne ho trovato uno”.

Sguscio all’interno, con il telefono in una mano salto in alto per sbirciare dall’enorme muro che separa i tavolini dal bancone. Salto in alto. Io. Come sono elastica e senza peso, meraviglia.

Lo faccio passando tra due uomini seduti a conversare.

Sono affascinanti, uno in particolare attira la mia attenzione,con il suo sguardo luminoso, i capelli neri, il sorriso. Longilineo. Più o meno la mia età. Vivo. Mi piace.

Portano entrambi il cappotto.

Arrivo al bancone del bar e chiedo un cappuccino.

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La barista esce dal bancone, farfuglia qualcosa, aggiunge che lei parla anche inglese e non c’è bisogno che io mi sforzi di parlare olandese, per giunta con l’accento italiano, che si sente.

La detesto. E dov’è il mio cappuccino?

Vado via, esco, torno indietro, decido di optare per la macchinetta.

Lungo la strada, mi fermo sotto un ponteggio a rispondere a una chiamata importante: è la commissione papale che mi informa che mia figlia ha vinto il concorso, con il suo saggio su Garibaldi.

Rientro nell’edificio.

Vado alla macchinetta, apro il portafoglio e guardo: ho circa 5 euro in monete. Ho una moneta nuova da 2, e una nuovissima da 3, la hanno appena fatta, è tra le primissime in commercio. La guardo: è enorme e lucente, bellissima, grande quanto una fetta di patata. Non la prenderà nessuna macchinetta.

La riguardo ancora e penso che l’inflazione è una brutta cosa.

Guardo la moneta, la macchinetta, la moneta, la macchinetta.

Non c’è il caffè.

E nemmeno il cappuccino.

Penso che ho tutto quel che apparentemente si possa desiderare. La velocità, volare, un’arma per vincere, affetto e ammirazione, monete lucenti. Sono ricca, e non posso comprare nemmeno un caffè.

In quel momento mi raggiunge mia figlia, che mi chiede “mamma, ma allora ho vinto? Alla fine abbiamo partecipato a quel concorso?”

“Sì, tesoro, hai partecipato. Ma lo hai fatto in un sogno. È tutto un sogno, come lo è anche questo.”