C’è un racconto di Čechov, che ho letto da ragazzina, che parla della capacità di assimilare il perdono. Mi torna in mente ogni volta che mi accade di vivere una situazione in cui mi sento di aver sbagliato e non so come uscirne.
La storia, della quale non ricordo il titolo, fa più o meno così: c’è un tizio, a teatro, che durante lo spettacolo starnutisce in testa a un vicino di posto, forse calvo, se non ricordo male. Il tizio si scusa, il vicino educatamente risponde che non c’è problema, ma il tizio, evidentemente imbarazzato per l’inconveniente, non riesce più a concentrarsi e si fissa con questa faccenda dello starnuto e sul fastidio che ha recato. E’ così a disagio che chiede nuovamente scusa al malcapitato, non una, ma due, tre, dieci volte, fino a che ovviamente il vicino comincia ad innervosirsi per questo atteggiamento. Il tizio nota il comportamento stizzito dell’uomo e si agita ancora di più. Non capisce che non è lo starnuto ad aver generato il problema, ma quello che sta facendo ora, per tentare di riparare, sebbene sia in totale buona fede. Il racconto finisce con il tizio che si toglie la vita, per l’incapacità di gestire il peso della situazione che aveva creato.
Ho sempre trovato Čechov un po’ pesante.
All’epoca, quando lo stavo leggendo, avevo circa 16 anni, mi sembrava davvero tutto fuori luogo, capivo il pelato che si era ritrovato la testa spruzzata di starnuto, trovavo assurdo che una persona potesse scusarsi così all’inverosimile. Eppure Čechov parlava di problemi comuni dell’animo umano, questo aspetto non lo avevo colto.
Suicidarsi per uno starnuto è più o meno ciò che a volte commettiamo, quando incappiamo in un errore comportamentale. Una frase detta senza pensare, un gesto commesso, a volte pur avendo considerato le conseguenze ed avendole trovate non traumatiche per l’altra persona, a volte addirittura vedendoci del buono, e si apre un mondo di reazioni inaspettate che ci gettano nel panico. Non era quello che volevamo intendere, non era nostra intenzione causare danno.
Non vogliamo che le persone abbiano di noi un’impressione diversa da quella che trasmettiamo all’esterno.
Con l’età impariamo ad ammorbidire questi aspetti, ed a ridare il giusto peso alle cose, ma c’è quella via di mezzo, quella fascia prima che diventi maturo ed acquisti consapevolezza della vita, in cui uno starnuto è ancora importante, ed a nulla vale, nel profondo del nostro cuore, dichiarare a gran voce che noi non temiamo il giudizio degli altri. Questo è parzialmente vero nel lavoro, molto vero nell’amicizia, terribilmente vero nell’amore, perché la tua figura vacilla di fronte agli occhi dell’amato, e questo è un problema.
Chi è grande e mi sta leggendo, probabilmente sorriderà. Forse si ricorderà di quando un banale virus passeggero è stato condizionante anche per lui. Ma come si fa a chiedere scusa?
Io credo si faccia con l’educazione.
Si fa con la riservatezza di chi sa rendersi conto del proprio limite e umilmente chiede perdono, e impara dal proprio errore a non farlo più. Certo, a volte uno starnuto non lo puoi comandare, a volte è così sincero e spontaneo che non è colpa di nessuno se non lo si riesce a trattenere, ed è qui che entra in gioco la seconda componente del perdono: l’altro.
Si può chiedere scusa quando l’altro sa accettare i limiti dello sbaglio, riconoscendo che certe cose possono capitare a chiunque. Si chiede scusa quando l’altro è dotato di raziocinio, quando riporta alla giusta dimensione il gesto commesso.
Sto parlando di sciocchezze, naturalmente, non di grandi buchi. Però sono quelle sciocchezze che ci fanno passare la notte in bianco. Quelle che ti alzi la mattina e aspetti che passino almeno 48 ore per poter dire che tutto è tornato a posto. Quelle sciocchezze che, appena hai finito di parlarne e l’altro ti dice ‘non c’è problema è tutto ok’, tu resti lì come un idiota a chiederti ‘chissà se è davvero ok, se non ci pensa più. Mi devo far perdonare’. Mi devo far perdonare. Glielo devo spiegare.
Rischiamo di diventare come il tizio di Čechov.
Forse è qui la soluzione: nel giusto equilibrio tra le parti.
Come sempre accade, la virtù sta nel mezzo. Non possiamo soffocare di scuse l’altra persona, non possiamo toglierci ore di pace alla ricerca di giustificazioni che non ci daranno mai la certezza che siamo stati compresi.
Quello che possiamo fare, però, è augurarci di ragionare, e di diventare più grandi in fretta. Ci possiamo augurare di sviluppare la capacità di chiedere scusa per noi, e di dare perdono per l’altro. E ci possiamo augurare di essere bravi ad invertire le parti.
Non è una recitazione di teatro, è la vita.
Starnutire sul vicino è un incidente di percorso, che capita a tutti, e che tutti, tizi e vicini, dovrebbero imparare a gestire. Auguriamoci di trovare un compagno di avventura che sia disposto a passare oltre la cosa, e non a passare sopra noi.
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