vitadaangeli

Vita da angeli

(201012171300)

Ho un problema con la digestione di una certa realtà.

Faccio un esempio: sono interdetta di fronte a chi ha paura di scoprirsi. Di dire cose e non metterci la faccia, di asserire e poi ritrattare, di cambiare bandiera con la nave che tira, di esporre minacce criptiche ed accessibili solo a pochi edotti.

Ancora esempio: in un blog, come nella vita reale, il quesito non è trovare i contenuti, ma come metterli.

E il come metterli genera il quesito ‘commenti’, così nel blog come nella realtà. Quando scrivi, impari a riconoscere le sfumature dei tuoi lettori. Sono tutti indispensabili, ma i più pittoreschi sono i contestatori: un composto ultracomplicato di parole scelte mediante approfondita ricerca su vocabolario Google versione ‘clicca su sono fortunato’, allo scopo di scovare i termini più aulici e desueti, finalizzati ad offenderti e insultarti.

I commenti di questo tipo sono tutti marchiati di anonimato e macchiati da un briciolo di codardia. Mi chiedo se in giro ci sono tanti brutti ceffi o se io li raccolgo tutti con un’unica calamita.

Di nuovo esempio.

Potrei passare in rassegna la mia infanzia.
Potrei fare mente locale sui miei amici e su come alcuni rapporti siano terminati, per le meschinità che ho scoperto nel corso degli anni.
Potrei raccontarvi di quando ho coperto un uomo nella sua scappatella, quando sarebbe bastato alzare un dito e raccontare tutto a chi di dovere, mentre l’altro mezzo mondo lo sapeva già. Quell’uomo non ha temuto perché sapeva che io lo avrei aiutato.

Anche altri non mi hanno temuto, ma hanno sviluppato un interessante senso di colpa in proposito. Altri ancora, invece, hanno minacciato. Insomma ognuno si è dato da fare come meglio poteva e nessuno è stato intaccato.

A coprire tutti sono stata io.

Fortuna che sono una semplice viaggiatrice e alle punizioni divine ci pensa qualcuno più in carriera di me, però ho scoperto che la nostra vita non è tutta carta bianca. Tutti abbiamo un Angelo protettore che ci guida e ci consiglia nel nostro cammino, secondo indicazioni ben definite e che non dipendono da noi.

Ogni Angelo ha un compito, dunque ognuno di noi ha un compito.

Hanno regalato questo libro a mia madre, a Natale dell’anno scorso, ho letto le pagine che mi riguardavano e ho riso per tre giorni di seguito.
Poi ho smesso. Ed ho capito tutto.

Il mio Angelo dice che il mio compito su questa terra è di aiutare coloro che sono in difficoltà per qualsiasi motivo (astenersi richieste per prestiti bancari alla fine di questa lettura, grazie).

Devo dare indicazioni, aiutare le persone a trovare la strada giusta dentro e fuori di sé ed accompagnarle nel percorso finché non saranno pronte, aiutare le anime meno buone che hanno bisogno di un po’ di pulizia (a volte anche in senso fisico), sostenere i disagiati, i deboli, gli infelici, i sofferenti e i malati.

Un Angelo bellissimo, il mio, non c’è che dire. L’altruismo fatto molecole del sangue. Mi alzo la mattina e mi chiedo ‘oibò, chissà chi aiuterò oggi?’. Seguire il mio destino, specifica il libro, mi porterà alla felicità.

Nulla da dire.
Fico. Mi piace e ne sono contenta.Quando ho letto la descrizione del mio Angelo, ne sono rimasta entusiasta e mi sono sentita proprio nella mia pelle.

Poi è arrivata la clausola.

Quella scritta in piccolo, alla fine delle normali avvertenze: “Attenzione, qualora decideste di tenere per voi qualcosa di ciò che fate per gli altri, siano averi, proprietà, pagamenti in denaro, sarete puniti.”

Puniti, nemmeno declassati ad angioletto inferiore che può solo aiutare vecchiette a contare i centesimi in fila alla cassa del supermercato. Puniti. “E se per caso vi venisse in mente di non aiutare qualcuno e fare finalmente qualcosa per voi, sarete puniti.”
Pure.

Mi sono girata e ho guardato mia madre con un profondo senso d’odio, per non aver saputo tenermi nella pancia qualche giorno in più.

Almeno ora capisco perché i miei problemi sono sempre tutti vivi e quelli degli altri che vogliono aiuto lentamente guariscono.

Se qualcuno sta male, sa che può contare su di me. Anche uno sconosciuto. Lui non sa perché, ma mi scriverà. Io non sono Mr. Wolf e non risolvo problemi, però se sono qua evidentemente servo a qualcosa.E poiché anch’io sono umana, ogni tanto un conforto lo vado a cercare in quelli che sono i miei veri amici. I quali sanno che io non parlo molto di me. Ma quando lo faccio, significa che sono al limite. E quando supero il limite, io mi ammalo ed entro in sciopero.

E qui la questione muta ancora una volta: qualche amico potrebbe smettere di cercarmi, per delicatezza dice lui, perché fondamentalmente non te ne frega un cazzo, dico io. La terza opzione è che hanno un Angelo custode meno hippie del mio che li esorta a pensare ai fatti loro. Solo che poi io ci rimango male.

Ora, mi chiedo: alla luce della scoperta del mio Angelo, e dopo essere arrivati alla conclusione che il mondo è pieno di stronzetti egocentrici, ha senso che io svolga ufficialmente la funzione di capro espiatorio dei problemi sanitari degli altri?

Se mi pagassero, forse potrei anche prendere in considerazione questo originale mestiere già accennato dall’esimio Daniel Pennac. Ma non mi pagano.

Chissà, voi che mi state leggendo, quale Angelo siete.

Non mi resta che rimettermi alla frase di Gibran che diceva: “La realtà dell’altro non è in ciò che ti rivela, ma in quella che non può rivelarti. Perciò, se vuoi capirlo, non ascoltare le parole che dice ma quelle che non dice.”

Postilla: Questo racconto è frutto della fantasia dell’autrice. Ogni riferimento a fatti, persone e personaggi della vita reale è puramente casuale.

photocredits: Basizka photography

ladridistelle

Ladri di Stelle

(201012111200)

L’aeroporto di notte non è la stessa cosa. Bisogna provarlo, per capire cosa significa.L’aeroporto, di notte, ha qualcosa di magico. La sua aria è diversa, più pulita, e non solo quella che respiriamo nelle particelle di monossido di carbonio; entra proprio in maniera più fluida nelle narici del naso ed arriva dritta fino al cervello. Non è calda né fredda, non importa in che stagione siamo, uscire dalla porta automatica per vedere gli aerei in partenza o per fumare una sigaretta prima dell’imbarco danno sulla pelle lo stesso surreale effetto. Lo stesso dei baci, un saluto sospeso consumato a non staccarsi, in un tempo a scadenza. Baci in punta di viaggio.

L’aeroporto di notte è diverso dallavitafrenetica della luce del giorno. Per raggiungere quello della mia città, io devo fare un viaggio molto lungo. Devo andare con la macchina, per un’ora di strada. Devo prendere un taxi. Devo prendere un treno e, prima del treno, la metropolitana. Prendere un treno di giorno non è la stessa cosa. La notte cambia le prospettive, anche quelle del viaggio di contorno. L’attesa   s  i  d  i  l  a  t  a ,    non c’è fretta. È come camminare su un materasso.

L’aeroporto di notte non ha lo stesso rumore. Non ci sono distorsioni, niente rumori di fondo a intercettare le idee. Niente inquinamento eccessivo ed inutile, nessuna ansia, nessuna canzone troppo ritmata. Il senso della notte segue sempre movimenti a fisarmonica.

L’aeroporto di notte non ha nemmeno lo stesso sapore, perfino il cappuccino al bar è diverso. I dolcetti sanno di preconfezionato come l’attesa stereotipata nella sala d’imbarco, ma ce li mangiamo ugualmente senza fare storie. I panini non sanno di autogrill, ne hanno solo l’aspetto.

L’aeroporto, di notte, ha i negozi tutti chiusi. È come camminare in una città fantasma del far-west, dove noi siamo lo sceriffo che sta inseguendo o il furfante che sta scappando. Giochiamo a guardie e ladri senza vincere e senza perdere. Nell’aeroporto di notte siamo ancora di più il cantastorie che si è fermato al bancone del bar a chiedere qualcosa di forte, prima di ricominciare.

L’aeroporto, di notte, non ha il bicchiere della staffa. Ha un unico lungo tempo, con intarsi strumentali, in cui noi sincopiamo i pensieri mischiandoli alle tracce dell’mp3 nelle nostre orecchie. Non c’è nemmeno la voce della signorina che annuncia i ritardi e i passeggeri che si sono smarriti, probabilmente intrappolati dal fascino del duty-free e lì rimasti ad osservare gli sconti.

L’aeroporto, di notte, ha le luci più affascinanti del mondo. È bianco sulle piste, rosso di pensieri e verde di speranze, è giallo di case giocattolo viste dall’alto, è blu del tempo immobile. È nero delle stelle.

Ed io alle stelle ci sono particolarmente affezionata.A forma di carro dell’Orsa Maggiore, di biscotti di pasta frolla, di ciondoli per collane e diportafortuna tintinnanti.

Una stella racchiude la magia dell’universo, che solo un volo in cielo può toccare da vicino.

Il vantaggio delle stelle è che, da qualunque posto del mondo noi le stiamo osservando, vediamo sempre la stessa cosa. Per questo, se ho una persona lontana che porto nel cuore, cerco di scovare il punto dal quale entrambi possiamo vedere le stesse luci. Il carro è il più facile da trovare. Dopo quasi trent’anni che abito in questa casa, improvvisamente ieri sera,per caso,lo ho visto. Credevo non si potesse fare più, magari a causa delle luci della città, e ad essere onesta mi ero arresa. Invece, era lì. Con i suoi manici, le sue rotelline. Nell’altra città lo avevamo già trovato, ovviamente durante una strana notte, racchiuso nella corte di un palazzo popolare. Il contrasto mi ha affascinata.

Quando sentiremo la mancanza l’uno dell’altro,basterà guardare il cielo e cercare il carro. Allora, sarà come guardarsi negli occhi.In quel momento, saremo vicini.

A volte penso che le stelle ci abitino, in aeroporto.

Ecco allora, a cosa servono. A dare coordinate.
E a questo serve l’aeroporto di notte: a percorrere fisicamente la distanza, sfiorare la via lattea e rubare un po’ di quella polvere di luce, sperando di rinchiuderla in una teca a casa.

Sarebbe un furto perfetto.

Credits:
Foto: Pqphotography, Catching Stars
Music: Susbonica, Eden